di Nerino
* Approfittando di una delle rare assenze del mio padrone e sfruttando un programma di traduzione gattese-italiano da me stesso scritto (altro che il coding del ministro Giannini!) e che funziona meglio di tutti i traduttori on line e di parecchi umani …, dopo avergli fregato l’indirizzo della redazione che teneva gelosamente nascosto (leggi paura della mia concorrenza), ho appena finito di inviare un mio lavoretto. Così tutti sapranno chi sono io; e me ne frega meno di una scatoletta di infima marca se dopo di me si sentiranno in diritto di fare altrettanto cani e porci …
Qualcuno (chi riesce ad individuarlo è veramente bravo, visto che esistono decine di attribuzioni ad autori di tutte le epoche campate in aria, cioè senza citazione dell’opera-fonte) ha detto che quanto più conosce gli uomini tanto più ama le bestie. Potrei ribaltare la frase miagolando che quanto più conosco gli uomini tanto più amo i miei simili, ma non voglio essere ingeneroso nei confronti del mio padrone che non sarà certo uno stinco di santo ma mostra, a modo suo, di volermi bene.
Però, nonostante la cultura che tutti gli umani dicono di avere e che, forse, non manca neppure a lui, spesso incorre in incongruenze per me incomprensibili. Per esempio, da quando sto con lui, in pratica da quando (tre anni fa, non avevo più di un mese e mezzo) mi presentai al suo cancello, soprattutto in estate mi inonda di rimproveri ogni volta che gli porto in dono un animaletto. Le prime volte, pensando di fargli cosa gradita, glieli ho portati vivi seguendo quelle stessa logica umana che si esalta, senza un minimo di pietà per il povero malcapitato, quando nel comprare o nel ricevere in dono un pesce o un polpo lo senti esclamare (da ora in avanti riporterò in corsivo ogni sua espressione): – Cce bellezza, ggh’è ancora iu! – (- Che bellezza, è ancora vivo!-).
Puntualmente mi ha strappato dalle fauci o dalle zampe ‘nnu ciddhuzzu (un uccellino) ‘nnu scursone1(uno scorzone), ‘nnu suricìcchiu2 (un topolino), ‘nna zòccula3 (grosso topo femmina), ‘nnu crucùddhu4 (una cavalletta), ‘nnu zzuzzuìu5 (una mantide religiosa), ‘nna lucerta fracitana6 (un geco), esclamando come un forsennato: – Nerinu, ‘sti cose no ssi fàcinu! – (- Nerino, queste cose non si fanno! -).
E subito dopo, rivolto alla mia preda già nelle sue mani (vale solo per l’uccellino e la cavalletta, per gli altri, compresa la mantide religiosa di cui ha, stranamente un vero terrore, la procedura è molto più lunga e complicata …): – Beddhu/a mia, mo ti salvu iò! – (- Bello/a mio/mia, ora ti salvo io! -). E, dopo avermi chiuso in casa, l’ho visto allontanarsi e liberare il frutto della mia caccia. Ho visto, così, vanificate in un attimo pericolose arrampicate sugli alberi, contatti con rovi e simili col rischio di rimetterci il pelo.
Parecchi esemplari quando hanno le stesse dimensioni sembrano uguali, sicché spesso non ha capito neppure che quello che dopo qualche ora o giorno gli stavo riportando era esattamente quello che aveva liberato qualche tempo prima. La scena descritta, però, si ripeteva puntualmente. A quel punto ho pensato che non gradisse il fatto che glieli portassi vivi e ho cominciato a portargli le stesse prede di prima agonizzanti o addirittura da me ammazzate qualche minuto prima. Àprite cielu e ‘nghiùttite li Massarei!7. Le mani nei capelli (lo può fare perché, nonostante l’età li ha tutti …), il viso atteggiato ad una tristezza indicibile, uno sforzo sovrumano per reprimere le lacrime, e poi: – No, quistu no mmi l’eri ffare! Osce no bbiessi cchiù e queddha scatoletta ca ti piace tantu scordàtila! -(No, questo non dovevi farmelo! Oggi non esci più e quella scatoletta che tanto ti piace scordatela!).
Nella sua incongruenza, però, il mio padrone che, per la storia, ammesso che non l’aveste capito, si chiama Armando, è coerente, cioè imparziale: l’altro giorno l’ho sentito fare una sfuriata tremenda al cane, e tutto per un riccio di macchia che Billy (questo è il suo nome; non è che si sia sforzato a chiamarlo così ma credo che la sua fantasia abbia toccato il fondo quando ha deciso il nome da dare a me …) durante la notte aveva ammazzato, anzi, era una riccia, perché gli ho sentito farfugliare: – Piccatu, a pparte tuttu era puru incinta! –
Giacché ci sono, termino la carrellata ricordando gli altri con cui condivido il “padronaggio” (da intendersi in senso attivo sì, ma riferito a noi , perché in realtà i padroni siamo noi …): Molly e Tigre. Nel caso in cui Billy e io fumassimo, non so se Armando consentirebbe pure a noi di fare quello che delle due contesse è documentato nella foto che segue, oltretutto stragattate sul divano più pregiato. E lui, invece, non fa in tempo ad estrarre dalla scatola il suo toscanello che senti sua moglie aggredirlo: Va ffùmatilu ddha ffore; no ggh’è ca m’ha ‘mpuzzunire totta la casa! (Vai a fumartelo fuori; non è che mi devi riempire di puzza tutta la casa!).
Stavo per dimenticarmi di Ugo, una tartarughina molto simpatica e discreta perché non esce mai dalla vaschetta che la ospita, nella quale mi piace ogni tanto abbeverarmi, nonostante nella mia scodella ci sia sempre dell’acqua (Fiuggi, dice Armando, ma ho dei dubbi e, poi, a me piace di più quella di Ugo).
Per chiudere, torno alla spiacevole punizione seguita ai doni non compresi: a guisa di un umano, in queste circostanze mi dissocio ma fingo il pentimento e me ne sto in un angolo apparentemente abbacchiato. Non son passate nemmeno due ore e giunge puntuale una carezza e con il perdono, quasi io fossi un cannibale, una fetta di salame … di felino8. Vai a capire la logica degli umani! …
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2 Diminutivo di sòrice, che è più fedele al latino sòrice(m) di quanto non lo sia l’italiano sorcio.
3 Forse da un latino *sòrcula(m) [da un precedente *sorìcula(m) a sua volta dal classico sorex/sòricis, il cui accusativo (sòricem) è stato citato nella nota precedente, probabilmente pure incrociato con zoccolo nel significato traslato di persona rozza.
4 Deformazione, per influsso della seguente c, di vrucùddhu (in uso nel Leccese a Castrignano dei Greci e a Martano) che è da un *brucùllu(m), a sua volta da un *brùculu(m), diminutivo del latino medioevale brucus, che è dal tardo latino bruchus, a sua volta dal greco βροῦχος (leggi Bruchos)=locusta, da βρούχω (leggi brucho) o βρύκω (leggi briùco). Inutile aggiungere che l’italiano bruco ha la stessa etimologia.
5 Per il Rholfs dalla sua voce zzu-zzu. Concordando con il mio padrone, dubito che la voce abbia origine onomatopeica, anche perché non so chi mai abbia sentito questo zzu-zzu. Piuttosto, pensando alle varianti tuzzuvia (in uso nel Leccese ad Alessano, Andrano, Castro, Miggiano, Ruffano e Spongano) e tuzzuìa (in uso nel Leccese a Veglie e nel Tarantino a Manduria), zzuzzuìu potrebbe essere sua deformazione (con passaggio da t– a z– per lo stesso motivo per cui, come s’è detto nella nota precedente, da vrucùddhu si è avuto crucùddhu) e, perciò, da tuzzare=percuotere e iu=vivo, con allusione al fatto notorio che talora la femmina divora il maschio subito dopo l’accoppiamento o, in alternativa, al noto potere distruttivo delle locuste in genere. Se pensate che queste mie ipotesi siano troppo fantasiose, allora chissà quante ve ne saranno sfuggite del mio padrone!
6 https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/08/11/uno-strano-modo-per-selezionare-gli-amici/
7 Apriti cielo, e inghiottiti i Massarei (è il nome del quartiere periferico, in passato in aperta campagna, oggi molto meno meno, di Nardò dove vivo col mio padrone. Comunque, la frase (usata per stigmatizzare una situazione in cui la furia di qualcuno, ma anche degli eventi naturali, fa da protagonista) originale è Àprite cielu e ‘nghiùttite Ggisaria! (Apriti cielo e inghiottiti Porto Cesareo!), a sua volta adattamento di Àpriti, celu, e aggiuttimi, terra!, un verso di un anonimo poemetto in ottave, La Barunissa di Carini, ispirato dalla sfortunata vicenda amorosa di questo personaggio e trasmesso oralmente a partire dalla seconda metà del XVI secolo, la cui prima registrazione scritta avvenne solo con Salomone Marino che pubblicò a Palermo nel 1870 La baronessa di Carini, leggenda storica popolare del sec. XVI in poesia siciliana.
8 Lui non sa che io so benissimo che Felino (per il gioco di parola l’ho dovuto scrivere con l’iniziale minuscola), riferito al salame, prende il nome da Felino in provincia di Parma. Perciò accetto di far pace, gli faccio capire che una fetta sola mi fa il solletico e, tutto sommato, per tutto il salame del mondo non cambierei i Masserei con Felino. E mi addormento felice come il gatto certamente più famoso ma non più felice di me, Felix, per il quale gli umani, credendo di mostrarsi intelligenti, hanno sostituito con x che fa tanto esotico la s finale di felis (che in latino è il nome del gatto).
Ti sei veramente divertito e quanto si è divertito Ner(o)ne, pardon, Nerino giocando con il tuo latino? Quanto ci siamo divertiti noi?
Sergio