di Armando Polito
Le stampe antiche, in fondo, corrispondono alle foto dei nostri giorni, hanno, cioè la preziosa funzione di trasformare il presente in passato da consegnare al futuro. E anche se nelle une e nelle altre la composizione e l’inquadratura, per non parlare del gioco di luci ed ombre, tradiscono, comunque, l’interpretazione della realtà, tuttavia, per entrambe resta nel tempo una certa valenza fedelmente documentaria.
Così la rappresentazione della vendemmia emergente da una foto di oggi avrebbe ben pochi elementi in comune con quelli che entrano nella composizione della tavola di seguito riprodotta (immagine tratta da http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8496044k.r=callot+le+mois.langEN).
Quasi quattrocento anni1 si fanno pesantemente sentire. Oggi sarebbe impossibile condensare in un’unica immagine tutte le attività visibili nella stampa, nemmeno usando un grandangolo spintissimo all’interno di qualche azienda vinicola integrata, i cui vigneti, cioè, siano contigui alla fabbrica in cui si svolgono tutte le attività di lavorazione del prodotto, fino all’imbottigliamento ed all’invecchiamento del vino.
Tante movenze, tanti passi, tanti gesti, tanti moti sentimentali sono stati resi irripetibili dal progresso tecnologico e faccio questa riflessione, senza avventurarmi in più o meno lambiccate considerazioni sociologiche implicanti un giudizio negativo: anche se fossero calzanti, equivarrebbe a sputare nel piatto in cui mangio, visto che senza la rete difficilmente avrei saputo dell’esistenza di Callot e che per stilare queste righe non sto usando certo la penna d’oca …
E, continuando nelle riflessioni, debbo dire che difficilmente una foto moderna avrà una didascalia in latino2 e altrettanto difficilmente, in qualsiasi lingua corrente sia scritta, avrà un potere evocativo che riesca a travalicare i semplici, rozzi e brutali caratteri descrittivi. Magari, credendo di fare una cosa grandiosa, l’autore o, più probabilmente, l’utilizzatore ci accoppierà la solita citazione dotta di stampo facebookiano, cioè la quintessenza della saggezza di oggi …
La vera disgrazia, secondo me, non è il cosiddetto progresso, ma la progressiva incapacità di notarne le storture o, peggio, dopo averle notate, fare spallucce, cioé quasi fatalisticamente accettarle.
E così settembre sarà destinato a diventare il simbolo dell’autunno della nostra umanità in attesa dell’ineluttabile suo inverno.
Che ancora stia facendo effetto sul mio cervello il caldo, per quanto non intenso, di quest’estate ormai metereologicamente (altra differenza rispetto al passato …) alle spalle?
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1 La tavola è di Jacques Callot (1592-1635).
2 Nella nostra tavola due distici elegiaci da cui trapela un connubio-uomo natura non inquinato ancora dalle legge del bieco profitto o, come oggi si dice, del libero mercato : Septimus a Martis September mense locatus/vasa, cados, cuppas doliaque ampla parat./Grata maturas aura vendemiat uvas/Sole fruente astro, pendula Libra, tuo [Settembre, collocato al settimo posto a partire da marzo, prepara vasi, barili, coppe e capienti tini. [La gradevole stagione vendemmia le uve mature, mentre il sole gode, o costellazione della Libbra sospesa (nel cielo), della tua stella].
Quanto alla pendula Libra, di ascendenza ovidiana (Fasti, IV, 385), essa entra nella formula (questa tutta in esametri) in voga tra gli astronomi del secolo XVI: Zodiaci caput est Aries, et veris, et anni/Aestatis Cancer, Autumni pendula Libra,/incipit ex imo pluvialis Hiems Capricorno [Capo dello Zodiaco e della primavera e dell’anno è l’Ariete, dell’estate il Cancro, dell’autunno la Libbra sospesa (nel cielo), incomincia dal profondo Capricorno il piovoso inverno].