di Armando Polito
Esordisco con miei complimenti all’autore del recente post (https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/08/29/olio-e-imbonitori/) per lo splendido scritto che, seppur datato, non avevo avuto ancora occasione di leggere, nonostante mi ritenga un topo di rete … non fognaria.
Mi permetto, però, di muovere un solo rilievo all’affermazione “sempre dall’ulivo viene l’arco con cui il re d’Itaca compie la Nemesi verso i Proci”.
Conosco molto bene il legno d’ulivo per averlo lavorato, anche al tornio, prima che la passione per l’informatica prendesse definitivamente il posto di quell’hobby (perciò, non fatevi illusioni: non si accettano ordinazioni …). Si tratta di un legno durissimo ed assolutamente non flessibile, quasi come l’acciaio: si spezza ma non si piega. Tra tutti i tipi di legno credo che sia il più vivo, nel senso che è sensibile all’ambiente e non è raro veder comparire nei manufatti, di qualsiasi dimensione, delle crepature (segno che la stagionatura, in un certo senso la morte, non giunge mai a compimento) anche a distanza di parecchi decenni.
La serie di foto che segue vuole essere la dimostrazione che non racconto balle e la rozzezza degli oggetti lo dimostra. Non accampo giustificazioni per quest’ultima ma faccio presente che si tratta di lavori realizzati con un tornio da cavernicolo: su un panchetto di legno abbastanza pesante era fissato un binario sul quale era stato saldata ad un’estremità quella che aveva la pretesa di essere la testa (un pezzo di ferro dentellato); sul binario poi scorreva la contropunta e perpendicolarmente era stato saldato un altro binario su cui scorreva un supporto regolabile sul quale tener fermo lo scalpello nel corso del lavoro. La testa era collegata con una cinghia ad un motore sottratto al ventre di una lavatrice in attesa di rottamazione. A ripensarci mi chiedo come per tanti anni sia riuscito non solo a sopravvivere ma anche a non procurarmi alcun danno con quell’aggeggio infernale.
Comincio con una foto d’insieme di alcuni oggetti collocati (poteva essere diversamente?) su un tavolo il cui piano è costituito da un unico pezzo di olivo (per poterlo ridurre nelle condizioni in cui è ho distrutto tre trapani e due levigatrici e consumato un numero imprecisabile di mascherine …).
Presento ora in dettaglio qualche oggetto più significativo. Comincio con due contenitori.
Proseguo con gli immancabili mortai. Questo avrebbe fatto comodo a Polifemo …
… questi altri sono più a misura d’uomo …
… una cornice, certamente indegna della bellezza della donna in foto …
… una specie di scultura (?) morta …
… un uovo, come quello usato dalle nostre nonne per rammendare i calzini (se continua la situazione economica attuale, quasi quasi mi rimetto a fabbricarli, questa volta in serie) …
… uno dei tanti modelli di pipa; parecchie le ho usate prima di passare ai sigari.
Per quanto osservato posso affermare senza rischio di essere smentito che anche oggi un arco ricavato dall’ulivo (anche con una struttura multistrato) potrebbe essere solo un bell’oggetto di arredamento. Per quello che può interessare: quando esercitavo quell’hobby (sto parlando di più di trent’anni fa …) mi costruii pure (questa volta solo usando sega, seghetto, trapano e levigatrice) una racchetta da pingpong, grazie alla quale (mi ero studiato ben bene, però, le reazioni della pallina nell’impatto con quel tipo di legno) per qualche anno non ce ne fu per nessuno (e nessuno, naturalmente era in grado di usarla con la stessa efficacia; insomma, un Ulisse del pingpong … poi subentrò l’artrosi e cominciò l’odissea …). Ecco l’immagine di quella che avevo battezzato micidial ’81 (come si legge nel dritto … manco fosse una moneta), personalizzandola con ulteriori scritte in cui spicca per modestia optima optimo (la migliore per il migliore). So già cosa state pensando: la locuzione è ellittica di qualcosa e va ricostruita così: la migliore (racch[i]etta) per il migliore (scorfano).
Tra una racchetta da pingpong ed un arco corre, però, una bella differenza. Ma c’è di più: se è ipotizzabile che nell’antichità gli archi potessero essere di legno (ma non d’ulivo), l’arco di Ulisse non lascia adito a dubbi. Ecco come Omero descrive i preliminari, non meno importanti dell’atto che l’eroe si appresta a compiere (naturalmente la strage dei Proci …, che vi aspettavate con quei preliminari e il successivo atto?): “Prima guarda bene se è integro, poi lo passa attentamente sul fuoco e infine monta la corda”. Queste parole ci fanno inequivocabilmente capire che l’arco di Ulisse era di corno, il materiale di regola usato, oltre al legno, nella fabbricazione degli archi, ma che, a differenza di questo, andava preventivamente riscaldato in quanto la cheratina da cui è composto in tal modo si ammorbidisce e lo rende flessibile. Con questo trucchetto Ulisse fottè i Proci, che, nel tentativo di tenderlo a freddo, si ritrovarono tutti con una bella ernia e subito dopo vittime dei missili e dell’operazione chirurgica (la sua autentica, non fasulla e propagandistica in stile americano …) dell’eroe di Itaca.
Comunque, se l’arco esce di scena, ci sono due nuove entrate, sempre riferite all’eroe omerico e sempre dall’Odissea:
1) V, 474-487: Ulisse trova riparo nella cavità di due olivi (di cui uno selvatico) insieme intrecciati a formare quasi un unico corpo.1
2) IX, 319-330: di ulivo è il tronco divelto da Polifemo per farsene un bastone, lasciato a stagionare nella caverna e utilizzato da Ulisse per accecarlo (quello che per Polifemo doveva essere uno strumento per far fronte all’artrosi diventa la causa di un male ben peggiore …).2
Gruppo frammentario rinvenuto nel 1957 nella caverna che fungeva da stanza da pranzo estiva nella villa di Tiberio a Sperlonga, conservato nel locale museo. Immagine tratta da http://www.ettorehippodamos.com/sites/ettorehippodamos.com/files/Odiseo%20y%20Polifemo.jpg
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1 Ὣς ἄρα οἱ φρονέοντι δοάσσατο κέρδιον εἶναι/βῆ ῥ᾽ ἴμεν εἰς ὕλην· τὴν δὲ σχεδὸν ὕδατος εὗρεν/ἐν περιφαινομένῳ· δοιοὺς δ᾽ ἄρ᾽ ὑπήλυθε θάμνους,/ἐξ ὁμόθεν πεφυῶτας, ὁ μὲν φυλίης, ὁ δ᾽ ἐλαίης./Τοὺς μὲν ἄρ᾽ οὔτ᾽ ἀνέμων διάη μένος ὑγρὸν ἀέντων,/οὔτε ποτ᾽ ἠέλιος φαέθων ἀκτῖσιν ἔβαλλεν,/οὔτ᾽ ὄμβρος περάασκε διαμπερές· ὣς ἄρα πυκνοὶ/ἀλλήλοισιν ἔφυν ἐπαμοιβαδίς· οὓς ὑπ᾽ Ὀδυσσεὺς/δύσετ᾽. Ἂφαρ δ᾽ εὐνὴν ἐπαμήσατο χερσὶ φίλῃσιν/εὐρεῖαν· φύλλων γὰρ ἔην χύσις ἤλιθα πολλή,/ὅσσον τ᾽ ἠὲ δύω ἠὲ τρεῖς ἄνδρας ἔρυσθαι/ὥρῃ χειμερίῃ, εἰ καὶ μάλα περ χαλεπαίνοι. Τὴν μὲν ἰδὼν γήθησε πολύτλας δῖος Ὀδυσσεύς,/ἐν δ᾽ ἄρα μέσσῃ λέκτο, χύσιν δ᾽ ἐπεχεύατο φύλλων.Ὡς δ᾽ ὅτε τις δαλὸν σποδιῇ ἐνέκρυψε μελαίνῃ/ἀγροῦ ἐπ᾽ ἐσχατιῆς, ᾧ μὴ πάρα γείτονες ἄλλοι,/σπέρμα πυρὸς σώζων, ἵνα μή ποθεν ἄλλοθεν αὔοι,/ὣς Ὀδυσεὺς φύλλοισι καλύψατο (Mentre a lui che pensava era in dubbio che cosa fosse più conveniente, capitò di andare verso la selva; la trovò vicino all’acqua in un luogo splendido; si nascose sotto due arboscelli nati insieme, uno di ulivo selvatico, l’altro di ulivo domestico. Dentro di loro non soffiò forza di venti spiranti umidità né mai lo splendente sole li battè con i suoi raggi, né pioggia battente vi penetrò, così reciprocamente intrecciarti erano cresciuti. Sotto di loro entrò Odisseo. Subito con le proprie mani si preparò un comodo giaciglio; infatti c’era uno strato di foglie smisuratamente spesso tanto da coprire due o tre uomini nella stagione invernale, anche se fosse stata estremamente rigida. Vedendo le foglie si rallegròil tanto sofferente divino Odisseo, si distese dunque nel mezzo e si sparse addosso uno strato di foglie. Come talvolta uno in isolata campagna, in cui non vi sono altri vicini, nascose un tizzone sotto la nera cenere salvando il seme del fuoco per non attizzarlo da qualche altro luogo, così Odisseo si nascose sotto le foglie).
2 Κύκλωπος γὰρ ἔκειτο μέγα ῥόπαλον παρὰ σηκῷ,/χλωρὸν ἐλαίνεον· τὸ μὲν ἔκταμεν, ὄφρα φοροίη/αὐανθέν. Τὸ μὲν ἄμμες ἐίσκομεν εἰσορόωντες/ὅσσον θ᾽ἱστὸν νηὸς ἐεικοσόροιο μελαίνης,/φορτίδος εὐρείης, ἥ τ᾽ ἐκπεράᾳ μέγα λαῖτμα·/τόσσον ἔην μῆκος, τόσσον πάχος εἰσοράασθαι./Τοῦ μὲν ὅσον τ᾽ ὄργυιαν ἐγὼν ἀπέκοψα παραστὰς/καὶ παρέθηχ᾽ ἑτάροισιν, ἀποξῦναι δ᾽ ἐκέλευσα·/οἱ δ᾽ ὁμαλὸν ποίησαν, ἐγὼ δ᾽ ἐθόωσα παραστὰς/ἄκρον, ἄφαρ δὲ λαβὼν ἐπυράκτεον ἐν πυρὶ κηλέῳ/καὶ τὸ μὲν εὖ κατέθηκα κατακρύψας ὑπὸ κόπρῳ,/ἥ ῥα κατὰ σπείους κέχυτο μεγάλ᾽ ἤλιθα πολλή. (Nella spelonca del Ciclope giaceva un grande bastone verde, di ulivo; l’aveva tagliato perché fosse usato una volta secco. Guardandolo ci sembrò come albero di nera, grande nave mercantile a venti remi, che solca il vasto mare, tanta era a guardarsi la grossezza, tanto lo spessore. Avvicinatomi ne tagliai quanto due braccia aperte, la passai ai compagni e ordinai loro di pulirla; essi lo resero uniforme, io accostatomi appuntii l’estremità, subito poi afferratolo lo temprai nel fuoco ardente e lo nascosi accuratamente sotto il letame che giaceva abbondante nella spelonca).
Concordo con quanto scritto sopra sull’arco di Odisseo. Aggiungo soltanto che nella lettura dell’interessante articolo “Olio e imbonitori”, di cui apprezzo non solo i riferimenti classici, ma anche, essendo olivicoltore, la vena polemica da cui scaturisce, avevo colto il riferimento ad alcuni manici in olivo per utensili usati dai greci antichi. In effetti alcune fonti ricordano che per i manici veniva usato l’olivastro. Allo stesso modo le drupe dei olivo selvatico erano raccolte e molite per ottenere un olio dal sapore forte utile ad alcuni medicamenti o usi non gastronomici. Se trovassi un frantoiano disposto a seguire i miei vezzi, farei volentieri un po’ d’olio da olivastro…ma per decenza non avanzo pretese…
FILOLOGIA E DENDROLOGIA (gr.: “déndron” – albero e “lògos” – studio/scienza).
L’ULIVO E ULISSE: L’ALBERO DELLA VITA … *
IL SEGRETO DI ULISSE: “[…] v’è un grande segreto /nel letto lavorato con arte; lo costruii io stesso, non altri./ Nel recinto cresceva un ulivo dalle foglie sottili,/rigoglioso, fiorente: come una colonna era grosso./Intorno ad esso feci il mio talamo […]” (Odissea, Libro XXIII, vv. 188-192).
ORIGINI DEL TEMPIO GRECO: Secondo quanto suggerisce Vitruvio (De architectura, 2,1,3) la struttura del tempio greco trasse la sua origine da primitivi edifici in argilla e travi di legno, inizialmente usati come abitazione (Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Tempio_greco )
RIPENSARE L’EUROPA!!! Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA. La buona-esortazione del BRASILE. Una “memoria”: “[…] In origine il nome “Europa” designò un territorio ristretto, forse la regione a nord dell’Egeo; in seguito i geografi indicarono con questo nome tutte le terre a nord del Mediterraneo. E, se ci fidiamo delle parole greche, significava e indicava un “buon” (gr.: “Eu”) luogo dove si poteva “far fascine”, “far legna” (gr.: “ropeuo”). Lì, i greci impararono a ‘orientarsi’ e a ‘leggere’: a ‘scegliere’, a ‘raccogliere’, a ‘legare’ e a ‘collegare’, cioè a “far legna”, e a “far fasci” … ma non di tutte le erbe, né di tutta la legna!!! […] (cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=901) *
* (AD AMPLIAMENTO DEL DISCORSO E) A OMAGGIO dello splendido intervento di Pino de Luca (https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/08/29/olio-e-imbonitori/) e della brillantissima risposta di Armando Polito (https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/08/31/ulisse-e-lulivo/), sul tema, si cfr. anche “La Terra d’Otranto in una mappa dell’Europa del secolo XVI” (cfr. https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/09/26/la-terra-dotranto-mappa-delleuropa-del-secolo-xvi/)
Federico La Sala