di Massimo Vaglio
La coltivazione del lupino (Lupinus albus L.) risale a più di tremila anni addietro, e pare, che fosse molto comune anche nell’antico Egitto ove, i suoi semi, venduti cotti e salati, agli angoli delle strade, costituivano un cibo popolare diffuso fra le classi più povere della popolazione.
Il suo areale di coltivazione, che un tempo comprendeva tutta la regione mediterranea ha subito secoli di progressivo declino, in quanto, la sua granella, per essere utilizzata nell’alimentazione umana, deve essere trattata onde eliminare la lupanina, alcaloide amaro e velenoso contenuto appunto nel seme. Per quanto sopra, anche nel Salento il lupino è stato sempre considerato un legume povero, destinato con le dovute cautele prevalentemente agli usi zootecnici, tanto che la sua coltivazione si è nel tempo sempre più sporadicizzata, limitata alla produzione di foraggio verde e soprattutto al sovescio.
Negli ultimi anni, in seguito alla selezione di nuove varietà a basso contenuto di lupanina, questo legume sta in diverse nazioni riconquistando velocemente terreno, anche grazie alla sua grande produttività, alla scarsa laboriosità della coltivazione e al fatto che offre ottimi risultati anche su terreni poveri e aridi, che grazie alla capacità che hanno queste piante di fissare l’azoto atmosferico, vengono anche migliorati a vantaggio delle coltivazioni successive. L’interesse però è enormemente cresciuto quando recenti indagini biochimiche hanno rilevato in esso straordinarie proprietà dal punto di vista nutrizionale, terapeutico e persino dietetico. In primis, il tasso proteico che è del 50, contro il 40 circa della soia, rispetto alla quale, presenta il vantaggio della quasi totale assenza di fitoestrogeni, sostanze che possono interferire con gli ormoni sessuali e che per questo vengono ormai guardate con estremo sospetto dai nutrizionisti.
Per quanto riguarda invece le proprietà terapeutiche: è stato appurato che il lupino riduce il livello di colesterolo negli animali e nell’uomo, è stato infatti calcolato che basta assumere 50 grammi di lupini al giorno per avere un calo del dieci per cento del colesterolo totale e del dodici per cento dell’LDL, il cosiddetto colesterolo cattivo.
Così il lupino sta gradatamente sostituendo il riso che sappiamo essere molto povero di proteine, ma anche la soia in tutta una serie di prodotti dietetici come quelli privi di glutine e in quelli ancora più specifici come quelli destinati alle persone con ridotta funzionalità renale. Dal punto di vista dietetico, infine, chi vuole o deve mangiare di meno, può adoperare con ottimi risultati del pane fatto con l’aggiunta di farina di lupini, in quanto le fibre in essa contenute hanno la facoltà di amplificare il senso di sazietà e quindi contribuiscono a ridurre le calorie introdotte, ciò dipende dalla capacità di questa farina nel ridurre la produzione della grelina, un ormone dell’appetito.
L’uso tradizionale di questo legume, ovvero quello del consumo diretto della granella dopo averla sottoposta ad una sorta di concia, è oggi più che mai limitato e sopravvive soprattutto nella nostra Regione, ove anche diverse aziende conserviere, con le loro moderne tecnologie, tengono in vita questa antica tradizione.
Il procedimento a cui vengono sottoposti i lupini per poter essere resi commestibili è una semplice deamarizzazione che consente di eliminare la già citata lupanina, questa, secondo il procedimento tradizionale, si ottiene nel modo che andiamo a descrivere: mettete i lupini a bagno per qualche ora in acqua fresca, scolateli e calateli in una caldaia con abbondante acqua bollente, quando questa riprende bollore, scolateli e lasciateli a bagno per un paio di giorni in acqua fresca corrente. Infine poneteli in acqua salata perché si insaporiscano bene, e a questo punto, saranno pronti da consumare. Queste due ultime operazioni un tempo venivano compiute in riva al mare, la difficoltà di reperire nella sitibonda Puglia, una cospicua fonte di acqua dolce corrente imponeva il ricorso alle sorgenti naturali che in larga parte della regione sfociano, a causa della natura carsica dei terreni, solo in mare; in queste sorgenti di acqua salmastra venivano posti direttamente i sacchi contenenti i lupini a deamarizzarsi, infine, gli stessi venivano semplicemente spostati in acqua completamente marina ove, ben presto, assorbendo per osmosi il sale, si insaporivano.
Il fatto di essere stati “curati” in acqua marina costituiva una referenza che i venditori non mancavano di declamare durante le fasi di vendita. I venditori di lupini di Nardò, il mio paese, assicuravano alla canna della bicicletta un lucido “limbu” (contenitore di argilla smaltata dalla forma svasata) pieno di lupini e utilizzando un lindo bicchiere come unità di misura nelle lunghe sere invernali giravano fra le strade e i vicoli del paese, rompendo il silenzio che vi regnava gridando a intervalli regolari : “laaa vera marinaaa…” e rafforzavano di tanto in tanto l’arcano concetto con un più esplicito “so’ di mare vagliò”. E’ interessante rilevare come i negletti lupini incontrino in genere il favore di tutti, spesso anche di coloro che li assaggiano per la prima volta, per cui anche alla luce delle nuove scoperte, sarebbe auspicabile una rivalutazione di questo antico, curioso, strano legume come simpatico e salutare snack da aperitivi.
Sulle sue proprietà, di recente scoperte, leggi: