di Armando Polito
Il titolo non ha la pretesa di essere la parodia di Agosto, moglie mia non ti conosco, il noto proverbio; l’operazione, infatti, sarebbe stata miserabile poiché esso fu adottato già nel lontano 1930 da Achille Campanile, uno dei più grandi umoristi del nostro tempo, per un suo romanzo pubblicato a Milano da Treves. Esso non contiene neppure un riferimento ai cambiamenti climatici che hanno portato alla progressiva e neppure tanto lenta scomparsa delle stagioni, per così dire, intermedie (autunno e primavera). Qui intendo solo mettere in risalto due connotati antichi del mese in questione, dei quali, se il primo è scontato, il secondo apparirà piuttosto curioso.
Per il primo mi avvarrò di una stampa del XVII secolo che riproduco di seguito traendola da http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b84036447.r=Les+mois+de+l%27ann%C3%A9e.langEN
Essa fa parte di una serie recante la firma dell’incisore Le Blond (1635-1709) e dedicata ai mesi dell’anno, in cui, però, ad ogni mese viene accoppiato un peccato.
Liquiderò sbrigativamente la figura femminile (seduta, con la destra scopre il seno destro, nella sinistra stringe la zampa sinistra di una scimmia che, poggiata nello spazio tra il braccio e il fianco sinistri della donna e notevolmente inarcata in avanti, è nell’atto di masturbarsi1) dicendo che essa risponde perfettamente a tutti i canoni della pittura barocca; la mia frettolosità, forse, è dovuta alla non perfetta coincidenza delle sue forme con i miei criteri estetici. Sarà una mia fantasia ma, per esempio, il seno sembra uno di quelli gonfiati e un po’ innaturali cui la chirurgia estetica, probabilmente nei suoi esiti più infelici, ci ha ormai abituati, anche se è molto più lineare e storicamente corretto dire che per quel dettaglio anatomico è rispettato il criterio rappresentativo tipico della pittura dell’epoca e l’esame comparativo con altre incisioni della stessa serie, ove ce ne fosse stato bisogno, lo confermano. Eccone solo alcune, tratte anche queste dal sito della Biblioteca Nazionale di Francia.
Nonostante la fretta prima dichiarata, però, non posso fare a meno di dire come sarebbe forse azzardato considerare tout court la stampa come una rappresentazione non tanto “laica” quanto blasfema e stupidamente dissacrante del tema della Madonna con Bambino, in cui tutti i valori subiscono una polverizzazione e perfino il tema la bella e la bestia vede amplificata la sua originaria dose di perversione. Per quanto riguarda gli altri elementi iconografici, infine, potrebbe sembrare che le spighe e l’uomo (ma ha tutte le sembianze di un dio) con i loro fasci in alto a sinistra giungano un po’ in ritardo rispetto alle scadenze normali dell’attività agricola; ma bisogna tener conto della diversa latitudine rispetto al nostro territorio.
A sinistra ed a destra (per chi guarda) di le Blond excud(it) avec Privilege du Roi (Le Blond incise con privilegio del re): LUXURE 3 (lussuria 3; la cifra indica il posto occupato nella graduatoria dei vizi capitali secondo la morale cattolica) e AOUST 8 (agosto, ottavo mese).
Segue un testo in tre quartine, costituite ognuna dall’alternanza di un novenario e di un ottonario con rima AB/AB. Trascrivo e traduco:
Da notare nel testo originale, accanto a forme tipicamente secentesche (Aoust per Août; au fonds per au fond; bruslent per brulent; esclair per éclair; eschaufe per eschauffe) veri e propri errori di stampa (de’au per d’eau; nempeche per n’empeche).
Speravo che la didascalia mi fornisse un qualche aiuto nella corretta interpretazione della stampa, ma essa instaura solo un parallelismo abbastanza scontato tra il caldo d’agosto e il calore della passione d’amore, anzi, tout cour, carnale, con un riferimento, credo, altrettanto banale, di quel versatore d’acqua agli improvvisi e brevi temporali tipici di questo mese.
Passo ora al connotato, sempre antico, curioso. Chi l’avrebbe detto che nel medioevo il mese di agosto non godeva certo di quelle simpatie che ne hanno fatto il mese simbolo della vacanza, della spensieratezza, del divertimento, tutti concetti che, con i chiari di luna correnti, possono tradurre in realtà solo i ladri, i parassiti e gli evasori fiscali?
Basti per tutte la testimonianza di Bonvesin da Riva (1240 circa-1315 circa) in De controversia mensium (cito dall’edizione a cura di Giovanni Orlandi, in Felix olim Lombardia. Storia di studi padani dedicati dagli allievi a Giuseppe Martini, s. n., Milano, 1978), v. 150: Palidus Augustus facie, tamen intus iniquus (Agosto pallido in volto, tuttavia non calmo nell’intimo); vv. 257-260: … Augustus, sit licet aeger,/cum baculo veniens, cum quo substentat, iniquo/accedit vultu, baculo multumque minatur/a longe (Agosto, per quanto malato, venendo col bastone con il quale si regge, avanza con volto minaccioso e col bastone minaccia molto da lontano).
Lo stesso Bonvesin provvide a tradurre in versi in volgare (con il titolo Tractato dei mesi) l’opera scritta in esametri. Ecco le parti ( ottava 73, vv- 1-2 e ottava 112, vv. 3-8. ) che ci interessano (cito dall’edizione a cura di Eduardo Lidforss, Romagnoli, Bologna, 1872): Con su vulto infermizo/Avosto se rancura (Col suo volto malaticcio agosto manifesta le sue rimostranze); Avosto, mese infermizo/con so lomentamento,/a pigliù un baston,/ke ge dà sustantamento;/tuto ziò k’el sia infermizo,/el è d’un fer talento (Agosto, mese malaticcio per lamentarsi ha pigliato un bastone che gli dà sostegno; nonostante sia malaticcio, ha un bel caratterino).
Sembra che si sia ispirato proprio ai versi di Bonvesin l’anonimo autore dell’affresco rappresentante agosto nel ciclo dei mesi (XIII secolo) nella Chiesa di Santa Maria del Castello a Mesocco, in Svizzera.
Cicli pittorici di epoca successiva mostrerebbero, secondo me, l’evoluzione semantica e tutta umanistica del bastone, non più come sussidio all’infermità ma come strumento di lavoro (pungolo per i buoi e, probabilmente, da utilizzare, nella fase successiva non rappresentata, per la battitura del raccolto) tipico del mese, come mostra un affresco, datato agli inizi del XV secolo), anche questo anonimo, facente parte del ciclo dei mesi raffigurati su un muro interno di Torre dell’Aquila nel Castello del Buonconsiglio a Trento.2
In fondo, però, parte della negatività del concetto medioevale è rimasto fino ai nostri giorni, se si pensa all’espressione fa un caldo da morire, il sole ti ha dato alla testa e, senza scomodare gli effetti, talora fatali, del colpo di sole, allo stato di disagio fisico che, specialmente dalle nostre parti, complice lu sciroccu ‘ncuddhusu (lo scirocco appiccicaticcio), procura, soprattutto ai metereopatici come me, l’elevato tasso di umidità.
Traccia e, probabilmente, sintesi di tutto questo è nel proverbio Acostu ti li muta li chimere3 (Agosto te li cambia, i sogni), se, dal riferimento iniziale esclusivo al mondo agricolo e soprattutto alle grandinate in grado di distruggere interi vigneti, ha assunto un significato più generico (Agosto tradisce le tue aspettative).
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1 Per dare ampia possibilità al lettore di dire la sua riproduco di seguito il dettaglio ingrandito:
Esclusa la possibilità che la scimmia stringa una cornucopia, ci sarebbe da dire che le dimensioni del presunto membro contrastano con quelle medie della specie (non eccelse, se raffrontate con quelle della nostra) e la scimmia rappresentata, fra l’altro, se veramente è il contraltare del Bambino, non dovrebbe essere adulta. Rimane da pensare che l’incisore abbia volutamente esagerato per sottolineare gli effetti di agosto sulla lussuria, pure quella animale.
2 Il lettore avrà notato il contrasto tra la figura maschile del malaticcio agosto nell’affresco e l’immagine florida della donna della stampa, assurta (in onore al più bieco maschilismo risalente ai tempi di Adamo ed Eva) a simbolo di lussuria. Niente di nuovo sotto il sole se si pensa che già Esiodo (VIII-VII secolo a. C.), Le opere e i giorni, vv. 582-596, ricordava: Ἦμος δὲ σκόλυμός τ᾽ ἀνθεῖ καὶ ἠχέτα τέττιξ/δενδρέῳ ἐφεζόμενος λιγυρὴν καταχεύετ᾽ ἀοιδὴν/πυκνὸν ὑπὸ πτερύγων, θέρεος καματώδεος ὥρῃ,/τῆμος πιόταταί τ᾽ αἶγες καὶ οἶνος ἄριστος,/μαχλόταται δὲ γυναῖκες, ἀφαυρότατοι δέ τοι ἄνδρες/εἰσίν, ἐπεὶ κεφαλὴν καὶ γούνατα Σείριος ἄζει,/αὐαλέος δέ τε χρὼς ὑπὸ καύματος· ἀλλὰ τότ᾽ ἤδη/εἴη πετραίη τε σκιὴ καὶ βίβλινος οἶνος,/μάζα τ᾽ ἀμολγαίη γάλα τ᾽ αἰγῶν σβεννυμενάων,/καὶ βοὸς ὑλοφάγοιο κρέας μή πω τετοκυίης/ πρωτογόνων τ᾽ ἐρίφων· ἐπὶ δ᾽ αἴθοπα πινέμεν οἶνον,/ἐν σκιῇ ἑζόμενον, κεκορημένον ἦτορ ἐδωδῆς,/ἀντίον ἀκραέος Ζεφύρου τρέψαντα πρόσωπα,/κρήνης τ᾽ αἰενάου καὶ ἀπορρύτου, ἥτ᾽ ἀθόλωτος,/τρὶς ὕδατος προχέειν, τὸ δὲ τέτρατον ἱέμεν οἴνου.
(Quando il cardo fiorisce , e la canora cicala posata su un albero diffonde il suo stridulo canto col fitto vibrare delle ali nella stagione dell’estate che affatica, allora le capre sono molto grasse, il vino è il migliore, le donne libidinosissime, gli uomini, invece, veramente fiacchi, poiché Sirio debilita testa e ginocchia e per il caldo la pelle diventa secca; ma proprio allora ci sia l’ombra di una roccia e vino di Biblo, una focaccia impastata con latte e carne di capre che non siano in calore e di mucca che ha pascolato nei boschi e non abbia figliato e di capretti frutto di primo parto; (conviene) berci sopra limpido vino, seduto all’ombra, sazio in cuore di cibo, volgendo il viso verso il fresco Zefiro e una sorgente perenne e corrente e che non sia intorbidata; (conviene) mescere tre parti di acqua, la quarta dev’essere di vino).
E Alceo (VII-VI secolo a. C.), frammento 347v, a distanza di un secolo, con un ricalco che sfiora il plagio: Τέγγε πλεύμονας οἴνωι, τὸ γὰρ ἄστρον περιτέλλεται,/ἀ δ’ ὤρα χαλέπα, πάντα δὲ δίψαισ’ ὐπὰ καύματος,/ ἄχει δ’ ἐκ πετάλων ἄδεα τέττιξ …/ἄνθει δὲ σκόλυμος, νῦν δὲ γύναικες μιαρώταται/λέπτοι δ’ ἄνδρες, ἐπεὶ [καὶ] κεφάλαν καὶ γόνα Σείριος/ἄσδει …
(Bagna i polmoni con il vino, infatti l’astro gira intorno, la stagione è terribile, tutto ha sete per il caldo, riecheggia dolce la cicala dalle foglie, fiorisce il cardo, ora le donne sono turpissime, gli uomini smunti poiché … Sirio debilita la testa e le ginocchia …).
3 https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/06/06/cinque-proverbi-estivi/
‘ncuddhusu, sarebbe l’italiano “colloso”? Per quanto riguarda il membro della scimmietta-fanciullo il “peccato masturbatorio” lo trasforma in qualcosa di anomalo, serpetubifera,,,il serpente di Eva; potrebbe?
Sergio
Sì, ‘ncuddhusu corrisponde all’italiano colloso, ma la voce dialettale presenta in più un in- che poi ha subito l’aferesi. Per il resto credo che il significato allegorico della tavola sia piuttosto complesso e, per quanto riguarda il serpente, mi sarei aspettato una forma più sinuosa. Ne approfitto per aggiungere (era elementare ma nel post non l’ho detto) che la scimmia evoca immediatamente l’Africa e questa il caldo.