Cerèa e ssignurìa: differenze e punti di contatto tra la stessa formula di saluto in piemontese e in salentino

di Armando Polito

Quel che segue vuole essere la cortese e grata risposta al commento di Sergio Notario ad un recente post di Gianni Ferraris (https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/08/01/non-e-pizzica-ne-taranta-era-jazz-a-sogliano-cavour/#comment-10243) per la parte in cui venivo nominato. L’impossibilità di inserire nei commenti immagini mi ha costretto a scrivere queste poche righe e ringrazio la redazione per aver dato loro il rilievo di regola riservato ad un post “normale”.

Spero che i diagrammi A e B che ho approntato in formato immagine riescano a dare un’idea più efficacemente di quanto sarebbero stato in grado di farlo le parole.

Nel salentino SSIGNURIA (usato assolutamente come formula di saluto, anche se sottintende, secondo me SALUTE A) credo che il raddoppiamento di S sia di natura espressiva e non fonetica [da AD SIGNURIA>ASSIGNURIA (assimilazione)>’SSIGNURIA (aferesi)]; me lo fa pensare il fatto che tale raddoppiamento è presente anche in frasi in cui di un originario ad non c’è nemmeno l’ombra: Cce ddici ssignuria? (alla lettera, in una simpatica commistione confidenzial-reverenziale: che dici tu signoria?)

È da respingere l’ipotesi che in CEREA ci abbia messo lo zampino il greco χαίρω (leggi chàiro); questo lo dico per motivi fonetici (a parte la strana terminazione non si capisce perché si sarebbe dovuta perdere l’aspirazione originaria) ma soprattutto per l’analogia di formazione (il componente principale è unico) per la voce piemontese e per quella salentina.

Al prossimo gemellaggio, anche se non esistono solo il piemontese e il salentino; non so, però, se manterrei la stessa incosciente disinvoltura  di fronte a qualche voce che dovesse arrivarmi, per esempio, dalla Groenlandia …

 

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8 Commenti a Cerèa e ssignurìa: differenze e punti di contatto tra la stessa formula di saluto in piemontese e in salentino

  1. Cito: Sapete come nacque questo antico e nobile saluto sabaudo? Pare che Ambrogio Olerio, aio del futuro Carlo Emanuele I (figlio di quell’Emanuele Filiberto “testa ‘d fer” che spostò la capitale della Savoia da Chambéry a Torino nel 1563) usasse salutare il principino suo allievo con un “kere” (in greco antico pari al “salve” latino).
    Tale saluto, imitato per gioco prima dai cortigiani e poi dalla servitù, si diffuse tra la gente, mutando in “ceréa”. Evidentemente i borghesi della Torino di allora scimmiottavano spesso usi e linguaggi di corte per darsi arie di essere “del giro”. Esattamente come succedeva quattro secoli dopo sotto i nuovi Savoia di Villar Perosa, cioè gli Agnelli. Nella Torino prona alla Fiat del secondo ‘900 molti yuppies, per darsi arie di appartenere “al giro che conta” imitavano ‘Giuanin lamiera’ (Gianni Agnelli) portando l’orologio sopra il polsino della camicia e la cravatta sopra il pullover. Nihil sub sole novum… (https://manliocollino.wordpress.com/page/6/ )

  2. Caro Gianni, ti ringrazio della segnalazione. Più volte su questo blog ho presentato esempi, credo convincenti, dei molteplici danni che il romanzo storico, quando assunto come opera scientifica e non letteraria, può procurare.

    Nel nostro caso il padre dell’aneddoto (avrebbe fatto bene a dirlo l’autore del pezzo da te citato, ma lo faccio io) è Luigi Gramegna (1846-1928) col suo romanzo, appunto storico, Monsù Pingon (il protagonista è Emanuele Filiberto di Pingone, storiografo di casa Savoia e il romanzo è ambientato intorno al 1536). Non sapremo mai se il Gramegna a proposito di cerèa ci abbia tramandato una verità storica o una sua invenzione, ma il passaggio dal “pare che” a “cerèa è da kere” è breve e sempre in agguato, pronto a far incappare tante prede nella rete.

    Continuo perciò a dubitare dell’origine greca di cerèa. Alle difficoltà fonetiche già illustrate (non ultimo lo spostamento dell’accento, che prima non avevo rilevato) si aggiunge l’altra derivante dal fatto che nel passo citato si mette in campo un greco kere che vorrebbe essere la trascrizione, nello stesso tempo ad usum delphini (l’aio e il principino) et sardarum (cortigiani e servitù) … di χαίρε (leggi chàire), imperativo di χαίρω (leggi chàiro). Sottolineo, a bella posta alla fine, la valenza aneddotica, non certo scientifica, del “ pare che …” iniziale.

    Tutto ciò, beninteso, non esclude che pure la mia ipotesi etimologica sia, quantomeno, discutibile. E che discussione sia! Comincio io per primo chiedendo se cerea si accompagna nell’uso abituale con sostantivo corrispondente a “signore”, per esempio: cerèa, monsù (le mie scuse, se la locuzione è maldestra, a te e a tutti i piemontesi …). In tal caso sarebbe strano che cerea avesse quasi lo stesso etimo di monsù e l’aneddoto potrebbe corrispondere, nel dettaglio, alla verità. A denti stretti sarei costretto a rinnegare pure il gemellaggio Piemonte-Salento che pure avevo confezionato con tanto amore. E, parafrasando al contrario Renzi, bisogna riconoscere che, ma solo in questo campo …, le ragioni del cuore debbono cedere a quelle del cervello.

  3. Per la serie “Mi rispondo da solo” … (non è un rimprovero ai lettori, ma un esercizio di autoironia): da un controllo fatto in rete risulta che la locuzione “cerea, monsù” mostra molte attestazioni nella produzione letteraria in piemontese (il che fa capire quanto dev’essere frequente anche nell’uso corrente della lingua). Prima, però, di giungere alle amare conclusioni finali del messaggio precedente (che miserabile, adesso mi affeziono pure ad un etimo!), penso, però, che bisognerebbe indagare sulla fonte, se esiste, da cui il Gramegna avrebbe potuto trarre la notizia. Se la fatica non fosse immane (anche perché il numero di romanzi storici da lui scritti è enorme e la maggior parte di loro è reperibile solo in biblioteche per la stragrande maggioranza piemontesi) varrebbe la pena estendere l’indagine a tutta la sua produzione per studiare non solo le fonti delle quali abitualmente si serviva ma soprattutto il modo in cui le utilizzava. Solo un’indagine di questo tipo, secondo me, potrebbe mettere la parola fine alla questione. Nel frattempo ho notato (prima non l’ho cconsultata perché pensavo che la voce non poteva esservi registrata) che la Treccani on line (http://www.treccani.it/vocabolario/tag/cerea/) conforta la mia opinione. Il conforto, però, è ridimensionato dal fatto che probabilmente i compilatori della voce hanno tenuto in conto solo (per ignoranza del Gramegna o perché ritenuto poco attendibile?) quanto si legge nel vocabolario piemontese-italiano di Giovanni Pasquali, Moreno, Torino, 1870: “Cerea (saluto, da sere, signore; prova ne sia il bona se’, serea, buona sera, signore, dei nostri villici)”.

  4. La nota sarà a margine, ma non marginale. Ringrazio, infatti, Gianni per questa ulteriore informazione che costituisce un altro indizio a favore dell’aneddoto del Gramegna. La limitata diffusione potrebbe, infatti, essere paragonata come ad una sorta di terremoto il cui epicentro fu Torino (dove Ambrogio Olerio, noto grecista, avrebbe propiziato la nascita di cerèa da chàire) e le cui scosse ebbero un’area di propagazione non molto estesa. Insomma, un fenomeno “recente” (anche se connesso con la riesumazione di una voce greca),“locale” e che rimase quasi in loco, a differenza di quanto è avvenuto con alcune voci di uso comune. Per giungere alla verità, però, non bastano gli indizi, servono le prove; e in filologia spesso una o due non bastano. Quasi quasi butto giù la sceneggiatura della telenovela Cerèa, ma se non c’è il produttore …

  5. Piccolo contributo.
    Ieri sera, per puro caso, ho visto un pezzo del programma Rai 1 “Techetechetè” che viene trasmesso a seguire il TG delle 20. Il programma (per chi non lo avesse mai visto) è un collage di brani tratti da vecchie trasmissioni Rai e – quando dici le coincidenze – c’era Macario che cantava una canzone che nel testo aveva,a mò di intercalare, proprio il termine “Cerèa”.
    Io sono salentino, per cui passo volentieri la palla a Gianni Ferraris per eventuali approfondimenti

  6. bel pezzo, mi era sfuggito. Che dire? La torenisità di Macario è incontestabile. Come d’altra parte quella di Farassino. Andreasi era attore più completo e nazionale, ricordo alcuni camei in qualche spettacolo qua e là in piemontese. Nulal da approfondire in realtà. Grazie per la segnalazione.

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