di Armando Polito
Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto,/chi ha dato, ha dato, ha dato…/scurdámmoce ‘o ppassato,/simmo ‘e Napule paisá! recita il ritornello della celebre tarantella di Fiorelli-Valente. Sono passati esattamente 70 anni da quando la canzone venne composta, ben 167 dalla composizione dell’Inno di Mameli, inno che potrebbe essere più realisticamente surrogato dalla canzonetta napoletana dopo aver sostituto il Napule dell’ultimo verso (che poi corrisponde al titolo) con Italia. La sostituzione, però, non è agevole né corretta metricamente parlando ed è come se perfino la tanto malandata Napoli si rifiutasse di indossare le vesti di questa sgangherata penisola.
Così l’invito di lasciare da parte il passato e pensare al futuro suona beffardo e quasi una celebrazione musicale del noto principio gattopardesco, soprattutto alla luce di quel chi ha avuto, ha avuto, ha avuto,/chi ha dato, ha dato, ha dato, che per una sorta di maledizione sembra voler continuare ad estendere il passato prossimo nel presente e nel futuro.
E il futuro evoca ciò che già in altre nazioni, che abbiamo ancora l’incosciente spudoratezza di definire meno evolute di noi, è stato realizzato da tempo: la famigerata agenda digitale, nesso con cui la politica si sciacqua giornalmente la bocca sputando ovvie banalità che la maggior parte di noi, purtroppo, si precipita a bere, deprivata com’è pure della capacità di provare quel sentimento nobilissimo che si chiama schifo.
Si prospetta ancora una volta una valanga di parole, una montagna di progetti, uno sperpero di pubblico denaro (per la stesura di quei progetti e poi per la loro, si fa per dire, realizzazione) nella ripetizione di un copione giudicato fallimentare dagli stessi interessati, come chiunque può rendersi conto leggendo (arrivare fino in fondo e non spaccare il monitor costituisce un bonus pari alla metà di punti necessari per andare dritti dritti in Paradiso …) quanto è riportato al link http://documenti.camera.it/leg17/dossier/Testi/TR0146.htm.
Non mi meraviglierei, perciò, se si ripetesse quanto successo in passato, quando parecchi settori della pubblica amministrazione erano stati informatizzati con attrezzature avveniristiche costate almeno il doppio rispetto al prezzo di mercato ma col risultato brillante di non servire praticamente a nulla perché non in grado di dialogare tra loro per motivi legati all’hardware o al software (esilarante per quest’ultimo l’adozione di sistemi operativi diversi e incompatibili tra loro).
Più di una volta ho stigmatizzato in questo stesso sito la nostra scandalosa arretratezza relativamente alla digitalizzazione e all’immissione in rete, per una fruizione totalmente gratuita, del nostro sterminato patrimonio culturale. Nel frattempo, mentre gli altri sono felicemente in azione già da decenni, non è successo nulla e debbo riconoscere di essere un povero ingenuo quando, pur avendo insegnato latino e greco, dimentico che agenda (gerundivo neutro plurale diventato, poi in italiano femminile singolare) in latino significa cose da fare e che acta, invece, significa cose fatte. Allora, fino a quando si parlerà di agenda e non di acta (o, con assimilazione, atta, neologismo che non brevetterò …) digitale, che cosa pretendo? Non conta niente, poi, che in JobsAct il secondo componente deriva dal latino actum, singolare del precedente acta? Siamo, perciò, sulla buona strada e la smettano pure i gufi e disfattisti di parlare, con riferimento a quello attuale, di governo degli annunci; cosa dire, allora, del precedente governo del fare (non del da fare …) per il quale l’agenda digitale era una delle priorità? Almeno questo è sincero, come sincero, rispetto all’esito finale, è stato chi ha progettato il MOSE in cui, come ho avuto occasione di dire (https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/06/11/il-ponte-tra-otranto-e-apollonia-con-uno-sguardo-al-presente-e-purtroppo-anche-al-futuro/), S sta per sperimentale; con questi precedenti, per lui devastanti, solo un pessimista incorreggibile può sospettare che, in ossequio a questa nefasta (sempre secondo lui) sincerità, pure la banda larga diventerà un allargamento della banda dei soliti disonesti e, più o meno, noti.
Ora dovrei dire – Passiamo a cose più serie! -, come se queste non lo fossero …
Dopo aver ringraziato per analoghi lavori precedenti il sito della Biblioteca Nazionale di Francia, oggi intendo farlo con quello della Biblioteca Nazionale di Spagna e rendere partecipe il lettore che ne ha interesse di una vera e propria chicca, il Theatrum civitatum nec non admirandorum Neapolis et Siciliae regnorum pubblicato ad Amsterdam da Jean Blaeu, famoso cartografo olandese, nel 1663. L’opera è visibile e scaricabile in alta definizione al link http://bdh-rd.bne.es/viewer.vm?id=0000001517. Il file integrale in pdf è molto pesante (ben 518 MB) e per avviare l’operazione basta cliccare sul simbolo del dischetto in alto a sinistra e poi farsi con gli amici un giretto per tutti i bar della città o del paese.
Chi non ha amici o del bar odia pure la parola ma dispone di un secondo pc può visionare, cliccando sulla relativa miniatura, la pagina (sempre in pdf) che desidera e poi salvarla. Quando la riaprirà con Acrobat reader potrà continuare ad avvalersi dello zoom e studiarne così agevolmente ogni dettaglio.
Riporto di seguito il frontespizio e le pagine relative alle mappe (tralascio per motivi di spazio il testo in latino che le accompagna; se a qualcuno interessa me lo faccia sapere e provvederò subito all’integrazione) di Brindisi, Gallipoli e Nardò, gli unici centri di Terra d’Otranto che hanno avuto l’onore di trovare ospitalità nell’opera, a testimonianza dell’importanza che essi avevano all’epoca. Cliccando sul link che compare in calce ad ogni mappa (qui per ovvi motivi in bassa definizione) il lettore accederà direttamente alla pagina nella definizione originale.
(il TARENTO della carta è un errore, per cui vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/09/09/brindisi-e-il-suo-porto-cornuto/)
La cartografia del passato è come sempre affascinante e molto interessante… l’immagine intitolata “Tarento” raffigura in realtà Brindisi… grazie della segnalazione.
E pensare che l’errore, che ho già provveduto a correggere, avevo avuto occasione di stigmatizzarlo in un mio precedente post! (https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/09/09/brindisi-e-il-suo-porto-cornuto/)
Colpa dell’età, più che della fretta? La ringrazio della segnalazione.