di Armando Polito
Il titolo di oggi non mi è stato ispirato da qualche recente fatto di cronaca che ha visto i NAS protagonisti nel sequestro di qualche partita di formaggio avariato, ma dall’esigenza di parlare di un prodotto che per secoli da alcuni è stato considerato anche nel nostro territorio una vera e propria leccornia e che ha il gemello nel sardo casu marzu (cacio marcio). Per chi ha uno stomaco poco reattivo c’è questo filmato tratto da http://www.youtube.com/watch?v=qG0y1eMc6GQ e, di caratura internazionale visto il commento in inglese, quest’altro in http://www.youtube.com/watch?v=vZ_-JzM-YQg.
Per completezza dico pure che casu cu lli ièrmi ha anche la variante sinonimica casu puntu (cacio punto; da chi si capirà dopo …).
Fa, comunque, senso ai più pensare di mangiare, sia pur involontariamente, qualcosa che ha già visto come non gradito commensale un verme, pensate a me che butto all’aria il piatto di verdura quando nell’acqua di cottura vedo, per quanto microscopico, un bruchetto già morto, a differenza dei vermi di cui sopra.
E non cambio opinione nemmeno considerando che, se il verme del formaggio non è morto, non morirei neppure io e che, al limite, nel formaggio più invitante del mondo potrebbero nascondersi additivi e conservanti in grado di farmi morire nel volgere di pochi anni. Il verme si vede, le sostanze chimiche (per non parlare di quelle di base usate talora nella preparazione del prodotto …) no; ma tant’è e, siccome, purtroppo, non credo di essere il solo a ragionare così, il numero in questo caso non fa la forza, ma, senza che ce ne rendiamo conto, la debolezza.
Quando ASL era uno dei pochi acronimi la cui nascita e proliferazione non poteva essere immaginata nemmeno dalla più sfrenata delle fantasie la vendita del casu cu lli ièrmi non era un reato come lo è oggi. Oltretutto, leccornia per pochi a parte, bisogna ricordare che erano tempi in cui l’economia era ispirata al principio del niente si butta, proprio il contrario di quanto avviene nei nostri tempi.
Poi, magari, ci sarà la solita ricerca dei soliti studiosi americani che metterà in relazione l’età untracentenaria di alcuni pastori sardi con la consumazione abituale di casu marzu. Anche se, grazie alla loro scoperta, mi dovesse essere garantito che vivrei cent’anni ed oltre cominciando a mangiare da subito casu cu lli ièrmi, non cambierei di una briciola i miei gusti alimentari.
A quegli eventuali ricercatori, però, voglio ricordare un aneddoto: il nonno materno di mia moglie, brindisino, consumava giornalmente questa specialità e si divertiva anche a tenere allenati i suoi riflessi catturando al volo e mangiando le larve della mosca [Piophila casei, in basso; piophila è dal greco πύον (leggi piùon)=pus, marcio+φίλη (leggi file)=amica; casei è genitivo del latino càseus=cacio. Piophila casei, perciò, alla lettera significa amica del marcio del formaggio) che punge la forma.
Queste larve sono in grado di spiccare salti notevoli rispetto alla loro dimensione: anche di venti cm.; il che, tenendo conto che in lunghezza, di centimetri, non ne superano uno, equivarrebbe per un saltatore in lungo alto m. 1,80 ad un salto di 36 m.!
Il nonno morì, se mi hanno bene informato, a 78 anni. Starà a quei ricercatori indagare il nesso tra età raggiunta e modalità di consumazione e scoprire, per esempio, che il regolare e semplice cibarsi di casu cu lli ièrmi ti garantisce di superare i 75 anni e la connessa caccia alla larva saltellante (il movimento è vita, non per la larva ma per chi se ne ciba …), ti fa, magari, centenario. Se è così, vuol dire che il nonno, piuttosto pigro, esercitava saltuariamente quel tipo di caccia …
brindisino!!!!!!!!male informato caro prof. anche per altro…
Cara Maria Grazia, ormai la lotta in famiglia è avviata e mi auguro che proceda, anche perché nel campo dei ricordi altrui, e non solo, ho tutto da imparare. Cominciamo da “brindisino”: ho sbagliato perché tuo nonno era leccese e non cerco giustificazioni di sorta, anche se potrei dire che si è trattato di un lapsus freudiano, quasi fosse una vergogna attribuire ad un leccese ciò che nemmeno un brindisino, teoricamente, potrebbe aver fatto ed ammetto pure di aver caricato un po’ troppo, quasi alla maniera giornalistica (ma il mio post non pretendeva di essere saggio né un saggio) l’immagine del nonno cacciatore di vermi.
Le altre informazioni le ho assunte da tua sorella Annarita, nonché mia moglie, e da tuo fratello Giuseppe, meno quella dell’età, per la quale non mi hanno saputo dare indicazioni precise; e non era il caso di scomodare Concettina, tua madre, o, e qui forse ho sbagliato per la seconda volta, te che, probabilmente, anche se sprovvista di un atto ufficiale, ricordi con precisione la data di nascita e di morte di tuo nonno. Per ora gli altri, numerosi, componenti della famiglia son rimasti fuori, ma non è detto che lo rimangano per molto; non vorrei, comunque, che stamattina fosse solo mia moglie a pagare per tutti … (“Ammazza la moglie per un verme del formaggio in meno e per un anno in più dell’età di morte di suo nonno” come titolo sui giornali non sarebbe da buttare e le copie andrebbero a ruba).
Un caro saluto e grazie per la correzione di “brindisino” e di quant’altro potrà venir fuori, naturalmente non solo sul “casu cu lli iermi”.
Lo abbiamo anche in Piemonte, mio caro Armando, e si chiama “bross” (da leggere bruss)…viene messo in contenitori di terracotta e lasciato macerare, normalmente con la grappa, fino a quando non produce i famosi vermi che ho visto che proprio ami alla follia…io l’ho mangiato, ma non ti so dire se è quello che mi ha permesso di raggiungere i miei attuali 80 anni, so solo che io, in ogni paese in cui sono stato ho sempre voluto assaggiare il cibo del luogo. Tanto per dire sono stato in Cina dove usano mangiare i serpenti e il salame di cane ed io li ho assaggiati tutti e due, molti altri del gruppo li hanno rifiutati. Per me è conoscenza anche questa; forse sbaglio, ma sono fatto così. Spero di non aver perso un amico.
Caro Sergio, un amico non si perde per un dettaglio tanto secondario. E poi, se proprio debbo dirlo alla mia maniera, qualche problema potrebbe porsi solo nel caso di un reciproco bacio non con o sulle labbra ma in bocca, ipotesi che ritengo fantascientifica, a meno che tu non riesca a trasformarti in una donna bellissima e allora sì che la cosa sarebbe fattibile, anche se essa fosse reduce da una scorpacciata di cacio con i vermi …
Oltretutto credo che il vostro “bross” sia molto simile alla nostra “ricotta scante” (tradotto in italiano con “ricotta forte“); “scante” è per aferesi da “uscante”, participio presente di “uscare” che è dal latino “ustulare”(>*ustlare>*usclare>*uschiare>uscare)=bruciare, a sua volta da “ustum”, supino di “ùrere”. Bene, di “ricotta scante” (spalmata su una fetta di pane appena appena grigliata è una delizia) sono ghiottissimo, anche perché i vermi, se ci sono, saranno visibili solo con un microscopio di ultima generazione …
Se nemmeno questo fosse, comunque, sufficiente a salvare la nostra amicizia, ho il classico asso nella manica, anzi più di uno: secondo me “bross” e “scante” sono, semanticamente parlando, fratelli gemelli; credo, infatti, che la voce piemontese potrebbe essere connessa con l’italiano “bruciare” (con riferimento al gusto forte e non alla grappa), per il quale concordemente viene scomodato un latino “*brusiare” che secondo alcuni è di probabile origine preindoeuropea. Nulla cambia se “bross” dovesse essere parente del romanesco “brusco”=abbrustolito (che, col derivato “bruschetta” è da “bruscare”, a sua volta da un latino “*brusicare” intensivo del precedente “*brusiàre”) o di “brusco”=aspro, che è dal latino tardo “bruscum”=pungitopo, a sua volta dal classico “ruscum”.
E poi, anche se questi assi nella manica dovessero risultare carte false, amici eravamo, siamo e resteremo.
Caro e preparatissimo amico, ti ringrazio perchè avevo cercato invano di capire donde derivasse la parol “bross” e non avevo mai avuto una risposta soddisfacente…ci voleva Armando per risolvere l’arcano; il latino “brusiare” nel senso di “gusto forte” che è tipico del “bross” direi che va a pennello e i vermi saltellano, un pò per il bruciore e un pò perchè ubriachi (cioch, leggesi ciuch). Grazie Amico Armando, sempre più Amico.
Grazie, Sergio, per avermi cambiato, non potrò nemmeno dire “a mia insaputa”, il cognome da “Polito” ad “Amico”. Credo, però, che avrò un bel da fare con gli infiniti pezzi dell’apparato burocratico; e il primo che farà storie sarà il “Fisco Amico” …
Negli anni 60/70 (centro storico di Lecce) mio nonno me lo faceva mangiare a colazione con le “cepuddhe a candelora” o “spunzali” , pane “niuru” e vino, e qualche verme più grosso me lo toglieva con “l’assugghia” (punteruolo da calzolaio). Mio nonno è morto all’età di 90 anni…. io ci spero…. Saluti/e a tutti.
l’ho assaggiato anch’io in Piemonte. Saltavano fuori veramente e stupendamente. Mah, probabilmente riproverei.
Io questo formaggio non lo mangio, però trovo folle la legge che ne proibisce la vendita e se la legge è uguale per tutto dovrebbero proibire anche la vendita di frutta, perché anche in essa, in particolari condizioni, le mosche depongono le uova e quindi la fomazione di larve (vedi per esempio, cachi, albicocche, ciliege etc) Un saluto.