di Maria Grazia Presicce
Pensando alle more mi ritornano in mente gli assolati e lunghi pomeriggi in campagna che invogliavano alla ricerca delle piante di scrascie[1] , lungo muretti a secco diroccati e siepi alla raccolta di zezzi[2]. Non era facile raccogliere gli allettanti frutti da quei rami serpeggianti e pungenti e, pur di assaporarli, qualche graffio eri costretto a subirlo.
Le spine delle scrascie sono ben nascoste dalle foglie e i suoi tralci striscianti e intricanti non facilitano la raccolta dei frutti.
A questa pianta e alla sua natura è legata un’antica leggenda[3] che non conoscevo e che mi faceva piacere diramare, sperando di fare cosa gradita a quanti non ne hanno mai sentito parlare.
Si narra che Caino dopo aver ucciso e seppellito Abele, suo fratello, tranquillamente continuasse a pascolare il gregge.
D’un tratto la voce di Dio lo raggiunse e quando gli chiese se avesse visto Abele, lui rispose che non ne sapeva nulla e che di certo non era il suo guardiano.
Il Signore s’avvicinò al luogo dove Caino aveva sepolto Abele e s’accorse che dalla terra smossa spuntava una strana pianta che Lui non aveva creato. La pianta, invece di innalzare al cielo i suoi rami, li faceva crescere rasenti al terreno.
Tenne d’occhio la pianta che, nei giorni seguenti, cresceva a vista d’occhio nutrendosi del sangue di Abele.Un giorno, s’avvicinò per meglio osservarla e notò che era una pianta senza fiori né frutti, aveva solo tante foglie e tante spine. D’un tratto avvertì una flebile voce. Era la pianta che lo implorava di farle avere fiori e frutti come tutte le altre piante, scusandosi per essere nata, senza il suo consenso, dal sangue di un innocente. Iddio, colpito dalla sua gentilezza, le rispose che ci avrebbe pensato e che comunque un giorno il suo desiderio sarebbe stato esaudito.
Il tempo trascorreva e la pianta cresceva e si moltiplicava con facilità, invadendo siepi, anfratti e cortili.
Un giorno in un cortile, vicino ad un cespuglio spinoso di rovi, stava un uomo ad una colonna legato con intorno dei soldati che sghignazzavano deridendolo e ponendogli in mano una canna e sulle spalle un drappo rosso, insultandolo, lo chiamavano Re.
D’improvviso un soldato s’avvicinò al cespuglio di rovi, ne staccò alcuni tralci, li intrecciò a mò di corona e con violenza la conficcò sulla testa dell’uomo legato. Un urlo di dolore uscì dalle sue labbra, mentre il sangue scorse a rivoli dalla fronte sul volto e le colò sul corpo e alcune gocce finirono sulle foglie del cespuglio di rovi. Un brivido infuocato percorse la pianta fin nelle radici, mentre una voce mormorava “ sei nato da sangue innocente e sarai rigenerata dal sangue di un giusto”.
Il cespuglio inorridì a quest’ annuncio e guardando il volto insanguinato dell’uomo non voleva che a prezzo di tanta sofferenza potesse essere esaudito il suo desiderio. Ma la voce continuò “ non disperarti, quello che accadrà era stato già scritto. Le tue spine hanno incoronato la fronte di un giusto e la tua umiltà sarà ricompensata. Da oggi avrai fiori e frutti. I tuoi fiori avranno il colore delle cose pure e il succo dei tuoi frutti sarà del colore del sangue versato per la rigenerazione dell’umanità”.
E così avvenne .I fiori dei rovi son bianchi sfumati di un rosa- violaceo, quel colore che si ottiene quando il sangue si fonde con l’acqua, il succo delle more invece ricorda proprio il colore del sangue.
[1] Forma dialettale salentina della pianta del rovo
[2] Forma dialettale del frutto delle more
[3] Da google: “la leggenda del rovo” di Mario Cerruti, http://adozionigiuste.datafox.it/leggende.htm
Viviamo in tempi in cui sentiamo il bisogno di favole consolatorie, senza renderci conto che quelle ammanniteci dai detentori ufficiali (quasi sempre esecutori, quasi mai mandanti …) del potere (politico, economico, religioso, etc. etc.) ci hanno ridotto nelle condizioni attuali.
Si tratta di una spirale maledetta che è impossibile spezzare, ma occorre pur sempre conservare un minimo di lucidità e di spirito critico, anche se il potere continuerà a basarsi sull’inganno perché a gran parte dell’umanità piace, consapevolmente o no, di essere ingannata (riflessione da pubblicare su facebook, magari a nome di Armand Politowsky; non mi chiedete chi è perché, a causa del rincoglionimento, non so nemmeno quando è nato o se è già morto).
La storiella è senz’altro suggestiva e va dato atto all’autrice del post di aver contribuito a “diramarla”. L’operazione, però, nasconde delle insidie per via dell’etichetta “antica leggenda”. In realtà si tratta di una fiaba tutta moderna, come d’altra parte è detto senza possibilità di equivoco al link segnalato.
Non vorrei che qualche studioso della domenica, trascinato da “antica leggenda”, scrivesse qualche saggio ipotizzando che nella fiaba in questione potremmo riconoscere la trasfigurazione cristiana, naturalmente un po’ meno antica, del mito pagano di Piramo e Tisbe.
Può darsi che l’autore, il signor Mario Cerruti, si sia ispirato alla favola antica o che i collegamenti ravvisabili tra questa e la sua siano del tutto casuali; in ogni caso gli sarei grato, nel caso in cui dovesse leggermi, se me lo facesse sapere.
Devo confessarti, caro professor Polito o Politowsky, che effettivamente il termine “antica” mi è sfuggito, Comunque trattandosi di una leggenda uno pensa, chissà poi perchè, che sia sempre antica…A parte questa precisazione, però,quando ho deciso di “diramarla” non ho minimamente pensato che potesse apparire una favola consolatoria, mi era piaciuto l’impostazione della storia di là che fosse moderna o antica e il fatto che parlasse della pianta usata per la corona di spine di Cristo e te ne spiego il motivo.
Mi occupo di restauro e con tutto ciò, devo ammettere,che non sapevo di che pianta fossero i tralci usati per la corona di spine di Gesù Cristo. Questa “moderna” leggenda è servita anche a questo!
… “questo” (con riferimento alla fondatezza della nozione acquisita, grazie alla fiaba, che le spine della corona di Cristo sarebbero state quelle del rovo) “non credo”, direbbe Antonio Razzi e, sotto l’effetto di qualche allucinogeno, aggiungerebbe “anche perché gli Evangelisti parlano di una generica corona di spine, senza alcun altro dettaglio descrittivo”. Comunque, buon restauro! Io, intanto vado a farmi una birra, naturalmente … alla spina.
Io non ho mai sentito prima d’ora questa leggenda, però ricordo un fatto legato alla pianta delle more. Quando da bambina andavo in campagna con mia nonna e lungo la strada raccoglievo qualche mora, lei mi diceva che prima di mangiarla dovevo farmi il segno della Croce per allontanare il diavolo che in questo frutto trovava dimora. C’è qualche collegamento?