di Gianni Ferraris
Praticare la sanità da comuni cittadini a volte riserva sorprese piacevoli, più spesso, parlando di burocrazia, imbarazzanti.
ASL di Lecce, banalissima pratica di cambio medico. Arrivo alle 12,15 la signora, gentilissima e sorridente, mi dice “Lo sportello è aperto al pubblico dalle 8,30 alle 11,30 però venga per le otto, altrimenti finiscono i numeri e deve ritornare, sa, con la riduzione del personale allo sportello c’è un solo addetto” Per il resto della conversazione mi ha fornito informazioni puntuali, precise e cortesissime, una che ne sa, ho pensato.
L’indomani alle 8,15 sono lì a cercare il mio numero. In ogni salumeria, supermercato al banco affettati, in panetteria, in uffici diversi esiste una macchinetta dove prendi il tuo numero, un self service. Alla ASL di Lecce non c’è. Dietro una scrivania ci sta la signora sorridente e gentile del giorno prima, mi avvicino con un sorriso in risposta al suo, lei mi riconosce e mi porge il numerino, identico a quelli delle macchinette. Si vede che le ristrettezze economiche fanno si che l’ASL possa acquistare i numerini e non le macchinette. Poi mi siedo sulle panche assieme alla folla di chi già stava lì alle sette e mezza, ho il 77 e chiamano il 68. La chiamata però non è un display come dal fruttivendolo, neppure come dal salumiere, no, è una signora che esce dall’ufficio e chiama. Parlo con il signore che sta vicino a me, si occupa di immigrati “sono qui per loro, lavoro in un ufficio accoglienza e ci sono mille problemi”. Qualche considerazione sull’edificio, in stile decisamente del ventennio, con un dipinto sopra gli ex sportelli per il pubblico che ritrae lavori di campagna, tabacchine. Non c’è né pesca, né mare. “Li avranno fatti per la bonifica” mi fa notare il vicino.
Finalmente il 77, entro e saluto tutti… Beh, tutti, saluto lui, l’unico impiegato che riceve il pubblico. Fatti i conti ci sono tre persone che lavorano, uno ascolta, consiglia e si occupa di pratiche, una ha il compito di dare i numerini, la terza di chiamare i numerini. In sostanza, due su tre svolgono un lavoro, per quanto dignitoso, assolutamente inutile, la folla non è poca lì fuori. Esco alle 10,30 circa.
Poi debbo prenotare una radiografia. Se uno fuma per quarant’anni non si deve meravigliare se poi respira quanto, come e se capita. Vado in parafarmacia (i parafarmacisti mi stanno simpatici, i farmacisti meno, sembrano nobili in fase di decadenza). La ragazza prende la richiesta, digita sul computer e mi dice “A Lecce per metà ottobre, a Maglie e Poggiardo in agosto. Il ticket è di 46,50 euro”.
Parliamo un po’ e mi fa, visto che devi pagare vedi se te la fanno privatamente, al massimo torni e facciamo la richiesta. Vado dal privato e mi dice “in convenzione sono 20 euro per metà agosto, a pagamento 40 euro e la facciamo immediatamente”.
Ma non è la sanità pubblica che costa meno al paziente? Mah… Mistero… Ah, a proposito, sappiate che per l’esenzione del ticket siamo considerati ricchi se guadagniamo una cifra pari o superiore a 8236,31 Euro (688,634 mensili). Non per dire, ma quei 31 centesimi fanno la differenza fra un povero e un ricco. Poi dici che i politici non fanno una mazza, sapete quanto ci vuole per arrivare a concepire 0,31 euro? Almeno tre intere sedute a camere riunite.
complimenti per il l’esposizione dell’accaduto (drammatico!) ma che simpaticamente raccontato rende benissimo l’idea di ciò che succede ogni giorno in molti uffici della ASL, a dir la verità non solo della ASL, forse è più corretto dire in molti uffici pubblici. io voglio molto bene all’azienda per la quale lavoro, ma non si può negare che una qualche riorganizzazione per migliorare i servizi ai cittadini bisognerebbe pur farla… Una volta un bravo dirigente dopo alcune mie proposte finalizzate a semplificare e migliorare un servizio all’utenza mi disse: caro mio non ci vuole molto a giungere alle tue conclusioni, ma finchè la ASL non diventerà una vera azienda non cambierà mai nulla… in un primo momento non riuscì a capire fino in fondo il significato delle sue parole. ma aveva detto una grande verità, in un’azienda privata probabilmente ci sarebbe stata un’organizzazione diversa, molto più efficace, invece nel pubblico no! io credo di avere ben chiaro il perchè, ma non è questa la sede per parlarne… di sicuro raccontare, discutere, condividere queste esperienze credo possa solo fare del bene a tutti… vorrei aggiungere un dettaglio al racconto dell’autore dicendo che alle riunioni in seduta comune per stabilire che la differenza tra ricchi e poveri la fanno quei 0,31 euro probabilmente partecipano anche dei sapienti e dotti esponenti sindacali… p.s. un grande rispetto però è dovuto a coloro, e per fortuna ci sono, che lavorano con impegno forza e passione e ogni giorno si fanno carico non solo del lavoro, ma anche delle responsabilità di altri…
Certamente vera la storia dello 0,31 deciso in interminabili sedute plenarie alla presenza di ogni tipo di papavero.. Spero comunque sia uscito il massimo rispetto verso tutti quelli che lavorano, anche in compiti che vengono loro affidati e sono inquietantemente “bizzarri”. La signora di cui parlavo, nel dialogo del primo giorno, mi ha dato un sacco di informazioni precise, puntuali e informate. Essendo delegata a dare numerini avrebbe potuto semplicemente dire “torni domani”. Perchè quella signora non può fare sportello per gli utenti? Mistero dell’amministrazione pubblica. Rimane un mistero su chi siano i veri poveri e i veri ricchi.
Visto l’argomento in oggetto che riguarda la mal sanità e tutta l’inutile burocrazia che la circonda, vorrei descrivere un caso che in famiglia abbiamo vissuto alcuni mesi fa.
Una notte, di quest’inverno appena passato, mia moglie ebbe un forte mal di testa, siccome è cardiopatica, ci preoccupammo di eventuali conseguenze e decidemmo di andare al pronto soccorso di Lecce per assicurarci che il forte mal di testa non fosse dovuto a qualche problema circolatorio dei vasi sanguigni cerebrali.
Alle 7 del mattino eravamo al pronto soccorso gremito di una ventina di persone in attesa di essere visitate. Verso le 9, dopo oltre 2 ore di penosa attesa, arrivò il nostro turno, il medico dopo un’affrettata visita stabilì di sottoporre mia moglie ad una visita specialistica neurologica. Con la sua richiesta ci recammo al reparto neurologico e dopo un’attesa di circa mezz’ora fu ricevuta da una dottoressa la quale la sottopose ad un’accurata visita e stabilì che per poter fare una diagnosi precisa necessitava di una tac. Con la richiesta della neurologa ci si avviò al reparto radiologico e dopo una lunga attesa arrivò il suo turno, ma la richiesta della neurologa non bastava, serviva l’autorizzazione del P.S.. Tornati al P.S. altra lunga attesa finchè lo stesso medico di prima non dette il suo consenso scritto all’esame radiologico, tornati in radiologia altra lunga attesa finchè non arrivò il suo turno. Terminati gli esami, dopo pochi minuti ci consegnarono le lastre con la relativa diagnosi, ritornammo in neurologia per consegnare gli esami alla neurologa e con sorpresa ci fu detto che non poteva prenderne visione perché dovevamo tornare al P.S. per ottenere la loro ulteriore autorizzazione. Tornati al pronto soccorso, altra lunga attesa, finalmente il medico visto l’esito della radiologia ci consegnò il visto per essere rivisitata dalla neurologa. Dopo un’altra lunga attesa in neurologia, fu rivisitata (con l’aggiunta del responso radiologico) e alla fine della visita fu chiesta alla dottoressa il suo responso, con molta sofferenza (come se ci stesse facendo un grande favore), rispose che non vi era nulla di grave e che per avere la diagnosi completa e dettagliata dovevamo ritornare, con le sue documentazioni, al P. S.
Altra corsa al P. S. dove ci attendeva un’altra straziante lunga fila di attesa. Finalmente alle ore 13 (dopo ben 6 ore e QUATTRO estenuanti va e vieni dal P. S.) il medico del P.S. ha preso visione del tutto ed ha confermato che non c’era niente di patologicamente grave e che al tutto era sufficiente qualche compressa di tachipirina.
Mi chiedo: Perchè tutto questo superfluo e sprecoso va e vieni dal P.S. ai reparti e viceversa? Perchè tanti intasamenti e attese che snervano pazienti e medici del P.S.? Perché non si snellisce l’inutile burocrazia? Il medico-primario-dirigente del P. S. non le vede queste anomalie? Perchè non si prodiga per eliminarle? Cosa ci sta a fare? Per sconfiggere la burocrazia non serve scomodare illustri primari e luminari della medicina, loro hanno interesse a conservare il loro status quo e alimentare gli inutili e dispendiosi iter burocratici. Al loro posto basterebbero dei modesti, umili e disciplinati ragionieri, costerebbero di meno e si otterrebbe di più.
Non sono un addetto ai lavori sanitari, ma mi chiedo, perchè non si pone il medico del P.S. nelle condizioni di effettuare solo la prima visita, stilare la propria diagnosi e dimettere il paziente, salvo poi, se necessario, smistare definitivamente il paziente al reparto specialistico appropriato, il quale reparto dovrebbe stabilire se ricoverarlo e approfondire con ulteriori accertamenti clinici la loro patologia o se chiudere autonomamente la pratica dando il responso direttamente al paziente e dimetterlo senza far fare altre file a altre perdite di tempo, per lui e per gli stessi operatori sanitari, risparmiando tempo e spreco di denaro? In questo modo quanto tempo si guadagnerebbe? Quante lunghe file d’attesa si eliminerebbero? Quanto tempo in più guadagnerebbero i medici del P.S.?
Basterebbe poco per ottenere molto, invece si chiede molto per dare poco.