di Piero Barrecchia
Lecce gentile, imponente, cinta dalle sue mura urbiche che si possono, ora, notare a scorci. Lecce, capitale di Terra d’Otranto, briosa, come il suo barocco. Lecce archeologica, restaurata, nobile e popolare, conservatrice. Lecce, antica, innovata e innovatrice. Lecce, Città aperta, invitante ed ospitale, che accoglie nel suo ventre gli innumerevoli visitatori dai suoi varchi più famosi: porta Rudiae, porta S.Biagio e porta S.Giusto (più nota, ora, come porta Napoli).
Da quest’ultima fece il suo ingresso un uomo, al volgere del 1500, la cui fama aveva preceduto la sua venuta ed al quale i leccesi sarebbero rimasti legati, consegnandogli la chiave di quegli accessi e dell’intera Città.
Giace, quella chiave in una tomba, ai piedi del patrono dimenticato.
No, non parlo del trio agostano: Oronzo, Giusto e Fortunato, né della precedente gestione, affidata ad Irene! Per tutti questi elencati vi è la consegna della Città a seguito di interventi attribuiti “post mortem”. Parlo della consegna delle sorti cittadine ad un uomo, in quel tempo vivente, capace di intendere e di volere, non ancora canonizzato. Insomma, una consegna a corpo presente! Parlo di un dialogo tra vivi, anche se uno lo sarà ancora per pochi giorni, al quale gli viene riconosciuto lo sconvolgimento positivo della Città, da quando è arrivato in zona, da quando ha abbattuto ogni tipo di barriera, da quando è presente tra quella gente. A lui, per la Città, il signor sindaco chiede la tutela, gratuita da vivo e promessa da morto!
Un patrono, ora, dimenticato, che, però, è l’unico a detenere la chiave lupiense.
Si chiama Bernardino Realino, padre gesuita. Lui, non ha i natali in queste contrade, viene dal territorio modenese, da Carpi, ma, è a Lecce che il suo sapiente spirito crea. La sua formazione culturale ed umana lo vide, prima, membro dell’Accademia degli Affumati in Bologna e successivamente, socio della Compagnia di Gesù, che lo destinò al nostro territorio, dove non conobbe limiti nel dialogare, comprendere, studiare e costruire.
Un gran personaggio che andrebbe riscoperto nella fede e soprattutto, nella cultura, che da sempre connota il suo ordine e per quella missionarietà, peculiare dei gesuiti, che conquistano terre con il sapere (non sempre, ma questo è il caso!), compreso questo lembo salentino.
A Lecce, Bernardino, sovrintende alla costruzione della magnifica Chiesa del Gesù (e del Buon Consiglio) e dell’attiguo istituto, a tutti, successivamente, noto come collegio “Argento”. Non mi dilungherò narrando di biografia ed agiografia, né mi soffermerò sulla fenomenologia del soprannaturale che accompagnarono le vicende del Nostro. Basti pensare al sol fatto che Bernardino operò una scelta fondamentale per la sua vita. Tra i fasti della sua brillante carriera amministrativo-giudiziaria, predilesse la strada che lo condusse alla sequela di Ignazio di Loyola, nella Compagnia di Gesù, che non contemplava, nello statuto, la ricerca di alcuna autorità. Venne, dunque, a Lecce, che mai più lascerà fino alla morte. Anche se più volte, gli alti vertici stabilirono il suo trasferimento, per la sua chiara fama, un Vertice, ancor più alto, impedì ogni suo spostamento dall’ospitale Città, lacerandolo con febbri improvvise, misteriosamente annullate con la revoca dei provvedimenti.
Tuttavia, consiglio una sbirciata ad una delle sue tante biografie che non lascerà indifferente il lettore, donandogli, oltre alla narrazione della vita del Nostro, uno spaccato storico di Lecce agli albori del barocco, alla sua conformazione geografica e politica. Ed in quel contesto, la figura carismatica del nostro Bernardino, di levatura spirituale e culturale fuori dal comune. Passa il tempo e gli stili.
operaio è fuori dalle mura di città, intento a terminare il suo operato quotidiano, magari, chinato sulla rubra terra che dissoda, in quel meriggio afoso. unica sua compagnia. Nelle urbiche mura, in uno stabile alle spalle del Gesù, in una galatea stanza, un crocefisso, in cartapesta, riceve gli ultimi sguardi di un moribondo che gli fa da ombra distesa, sul penultimo giaciglio, come fuori fa il sole, calante sulle spighe.
Bernardino riceve le ultime, illustri visite. Sigismondo Rapana, sindaco della Città, accompagnato da alcuni notabili, si reca presso quel corpo, non ancora esanime, per aver il tempo di porgere l’ultimo saluto ad un uomo che tanto ha fatto per Lecce, per tutta quella popolazione. E’ un uomo fortunato, Bernardino! Oltre alle quotidiane e comuni fatiche e dolori, in fondo, a lui non è andata poi così male. Anzi, la sua posizione di riconosciuta integrità, non ha dovuto combattere tanto, contro i poveri diavoli locali e sorprendentemente, mentre altrove si bruciano libri e si stagliano duelli, Bernardino, nella sua umiltà, ha trasformato gli animi. Tutti gli vogliono bene. Può andar via soddisfatto!
Si allungano le ombre delle dimore ed un mascherone barocco, apotropaico, cangia il suo aspetto, mentre la luce sfiora il suo profilo e proietta la sua grigia ombra sul pavimento della stanza, preludio alla notte. Ma ancora, in questo tenue bagliore, si intrattengono gli ospiti di Bernardino, forse silenziosi. Mentre il signor Sindaco, implora dal morente la futura protezione sulla Città, così come ha dimostrato da vivo. Un rantolo, un conato assale Bernardino, che, vorrebbe dar risposta certa ma, stenta a parlare quel predicatore di una vita! Allora, con tutta la forza che un agonizzante può avere e con un luccichio negli occhi anziani, che hanno visto anche questa, Bernardino dà la sua rassicurazione! La mano, tremula sul petto, appena sollevata, batte più volte sul cuore! Un sorriso accennato ed appagante; poi, un breve cenno del capo, che a fatica si discosta da quel cuscino ed a stento, si percepiscono alcune parole : “…Signori, ….sì!”.
In quel modo, Bernardino diviene, ufficialmente, figlio onorario e padre dell’amata città di Lecce. Vibra, l’ultimo dardo, il disco infuocato e cala la sera. Torna a casa il forese ed anche il sindaco ed i notabili. Tutti un po’ più soli, attendendo l’estremo e sicuro verdetto, contando le ore che li separano da quella promessa strappata in tempo. Tutti un po’ più soli, tranne Bernardino che, solo in quella stanza, nell’estrema ora, ha tutti i leccesi al suo fianco. Lecce, 1616, vespro del due luglio. Un altro sole tramonta su Lecce. Ormai giace, quel corpo esanime nella sua chiesa del Gesù, tra la sua gente, nel giorno della Visitazione e dell’annuale ricorrenza della traslazione delle reliquie di Irene, patrona, alla quale Bernardino, da non ancora santo, farà compagnia, fino al rinnovato culto oronziano.
Il 22 giugno del 1947, in occasione della canonizzazione, così Pio XII, ufficializzò il forte legame che unì Bernardino Realino e Lecce : “Onore e incoraggiamento si spande anche sopra di voi, cari pellegrini di Carpi, di Modena, di Napoli, e soprattutto figli di quella « nobilissima, devotissima e cortesissima città di Lecce », come il Realino si compiacque di chiamarla. (…) siate ben sicuri che, se egli accolse da vivo la domanda di essere vostro patrono, nella gloria celeste non mancherà di dimostrarsi quello che promise e volle essere, grande intercessore” (ACTA PII PR XII IN SOLLEMNI CANONIZATIONE BEATORUM IOANNIS DE BRITTO MARTYRIS, BERNARDINI REALINO ET IOSEPHI CAFASSO CONFESSORUM DIE XXII MENSIS IUNII A. MDCCCCXXXXVII IN VATICANA BASILICA PERACTA).
Non si poteva scegliere di meglio. Bernardino Realino, tra un patrono e l’altro, lui sta nel mezzo ed è l’unico a detenere la civica chiave, che, come è sicuro il ritorno dell’alba, ancora è lì, in un’urna, ai piedi di una cornice barocca, immortalante la scena familiare della consegna di Lecce al suo patrocinio, nella sua Chiesa del Gesù, dove i leccesi farebbero bene a tornare, anche per rispolverare un po’ della loro storia, a conoscere quell’instancabile benefattore di Lecce ed a vedere che fine abbia fatto la chiave della loro Città!
Preciso, che, per concordanza delle fonti, non vi è dubbio che la richiesta del patronato sia coeva ai fatti narrati. Non la stessa sicurezza, si può ostentare per quel che concerne la vicenda della chiave. Infatti, i testi consultati, così doviziosi di particolari nelle scene e nella descrizione delle suppellettili, ci privano della visione della chiave.
L’unica testimonianza che ci riporta alla consegna dell’urbica chiave è una memoria marmorea che risale, al 1937.
Peraltro le fonti parlano di un monumento funebre a Bernardino, ma non accennano alla visibilità dei suoi resti mortali, come si possono scorgere adesso. Non si fa menzione inoltre, del simulacro ligneo, ai cui piedi è adagiata, su un cuscino recante lo stemma civico lupiense, la chiave urbica. Tale urna, contenente il simulacro, è anteprima a quella retrostante, contenente i sacri resti, così ricomposti nell’ultima ricognizione del 22.10.1894. In ogni caso, nessun torto a nessuno, se la Città gode di più protettori ed il suo stemma civico è assegnato a tutti!
E mentre Oronzo scruta dall’alto la Lupa ed il Leccio, Irene, a breve distanza , li reca scolpiti sul frontespizio teatino e a chiare lettere ne reclama il patronato, Bernardino, privilegiato nell’essere stato eletto patrono da vivo, custodisce il civico simbolo forgiato sulla chiave urbica. In questa celeste competizione, appaiono considerazioni molto più umane. Infatti, si può, senza dubbio, affermare che Lecce sia la città sperimentale della “par condicio”, che i leccesi, sapientemente, colgono tutte le occasioni possibili, strappando anche i patronati, che io non abbia mai visto, in qualsiasi parco nazionale, tante lupe e lecci più di quanti ve ne siano in Città e che, infine, Lecce sia un regno dei cieli visto dalla terra!
Per ulteriori approfondimenti, segnalo, tra gli altri, i seguenti siti:
https://archive.org/details/storiadellavita00ventgoog
http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-bernardino-realino_(Dizionario-Biografico)/.