di Armando Polito
Carte 56 e 57.
Et spento il foco onde aghiacciando io arsi, Petrarca, Canzoniere, CCXCVIII.
Fit obice maior (Diventa più grande dell’ostacolo). L’attribuzione ad Orazio è errata.
In Francesco De Pietri, I problemi accademici, Savio, Napoli, 1642, s. p., l’autore, membro della napoletana Accademia degli Oziosi col nome di Impedito, parlando di se stesso così scrive: Taccio le particolari Imprese di tanti Illustrissimi, e dignissimi Accademici, delle quali, mi riserbo altrove à favellare; ma fra tante non vo tacer la mia, sotto nome d’Impedito, di cui il corpo è un Ruscello corrente, ch’arrestato, & impedito, allagando si rende maggiore, quasi un mare, col Motto d’Ennio Obice maior.
Con tutto il rispetto per l’accademico De Pietri debbo dire che pure l’attribuzione di Obice maior ad Ennio è fasulla; aggiungo, anzi, che in tutta la letteratura latina questo nesso non è attestato. Siccome il De Petri insieme con Giovanni Battista Manso, Giovanni Andrea Di Paolo, Giovanni Battista Della Porta, Giulio Cesare Capaccio e Giambattista Basile era stato uno dei fondatori dell’Accademia nel 1611, non è azzardato pensare che da lì il nostro frate abbia tratto il motto sostituendo alla originaria attribuzione, come s’è detto fasulla, un’altra anch’essa fasulla.
A questo punto sospetto che il De Pietri si sia inventato la paternità enniana del suo motto, destinato, però, a far furore. Esso, infatti, sarà ripreso nel tempo in forme ampliate. La prima, VIRTUS OMNI OBICE MAIOR, (La virtù è più grande di ogni ostacolo) è in una stampa di Charles Le Brun e Gérard Audran, La Vertu surmonte tout obstacle: le passage du Granique ((1650-1675 c.), custodita a Dole nel Musée des beaux-arts (1650-1675 c.).
La seconda, AB OBICE MAIOR ([Reso] più grande dall’ostacolo), è in una medaglia di Luigi XV datata 1743.
Ritorno per un attimo alla questione della paternità del motto affermando che il De Pietri, se non ha tentato una nobilitazione truffaldina di una sua invenzione, potrebbe aver commesso un errore attribuendo ad Ennio un verso di Claudio Mario Vittore (V secolo d. C.), che al momento della scelta del motto gli era venuto in mente, senza preoccuparsi, fra l’altro, di citarlo esattamente. Il Vittore, infatti, nel Commentarius in Genesim I, 70-75 aveva scritto a proposito del fiume Tigri: Sed Tygris, nigro tamquam indignatus averno,/prosilit aethereas motu maiore sub auras,/et rursum spelaea subit, mersusque cavernis/intus agit fremitus, et fortior obice factus/multiplicatur aquis, atroque citatior antro/exit et Assyrios celeri secat agmine campos (Ma il Tigri, come se fosse adirato col nero averno, si solleva in aria con un movimento maggiore e di nuovo entra nelle rocce e immerso nelle caverne freme all’interno e divenuto più forte dell’ostacolo ingrossa di acque e più veloce esce dalla nera cavità e con celere corso attraversa i campi assiri).
La stampa con la presenza del fiume Granico e la medaglia nel cui verso è raffigurato in primo piano un fiume in piena sembrerebbero confermare la mia ipotesi sulla paternità del motto e sugli adattamenti da esso via via subiti e dei quali è testimonianza quest’emblema tratto da Symbolographia sive de arte symbolica di Iacopo Bosch uscito ad Augusta nel 1702 per i tipi di Bencard, ove il motto è: FIT MAIOR MULTIS OBSTANTIBUS (Diventa più grande a causa di molte cose che l’ostacolano).
Torniamo ora al nostro manoscritto.
Carte 58 e 59.
Cagion sarà, ch’innanzi tempo i’ moia, Petrarca, sonetto Orso, e’ non furon mai fiumi né stagni (non inserito nel Canzoniere) 11. La sostituzione di moia con pera fa pensare che il frate abbia utilizzato un’altra tradizione manoscritta o che abbia citato a memoria.
Virgilio, Georgiche, III, 110: nec mora nec requies; at fulvae nimbus harenae (né indugio né pace; ma una nuvola di bionda sabbia); Lucrezio, De rerum natura, IV, 227: nec mora nec requies interdatur ulla fluendi (non sia concesso alcun indugio né interruzione dello scorrere). Strana l’omissione del nec iniziale, mentre la sostituzione di mora con quies può andar bene dal punto di vista semantico ma è improponibile metricamente.
Carte 60 e 61.
Da sì lieti pensieri a pianger volta, Petrarca, Canzoniere, CCCV, 4. Da notare l’adattamento di volto per volta.
Matronae puerique, vocat labor ultimus omnis (le matrone e i fanciulli; l’ultima fatica chiama tutti), Virgilio, Eneide, XI, 476.
Carte 62 e 63.
Sì ch’a la morte in un punto s’arriva, Petrarca, Canzoniere, XXX, 14.
Insuetum per iter gelidas enavit ad Arctos (Per un inconsueto cammino nuotò verso le Orse), Virgilio, Eneide, VI, 16.
Carte 64 e 65.
Caduta è la tua gloria, et tu nol vedi, Petrarca, Canzoniere, CCLXVIII, 23.
Di, si qua est caelo pietas quae talia curet (Dei, se in cielo c’è una qualche pietà che curi tali cose), Virgilio, Eneide, II, 536. Quel per prima di si costituisce un errore veramente inspiegabile, anche perché è difficile immaginare, pure in poesia, una preposizione (per) seguita da una congiunzione (si).
Carte 66 e 67.
Perduto ho quel che ritrovar non spero, Petrarca, Canzoniere, CCLXIX, 3.
Si quis in adversum rapiat casusve deusve (Se o un caso o un dio rapisca verso l’avversità), Viriglio, Eneide, IX, 211.
Carte 68 e 69.
Et io del mio dolor ministro fui, Petrarca, Trionfi. Trionfo d’Amore, II, 61.
Laomedontiaden; sed cunctis altior ibat (Il figlio di Laomedonte; ma andava più altero degli altri), Virgilio, Eneide, VIII, 162.
(CONTINUA)