Carpignano Salentino, 2 luglio 1568. Il Santuario della Madonna della Grotta, un prezioso scrigno di fede e di arte del Salento
di Sandro Montinaro
Se i primi di luglio vi capita di passare per Carpignano Salentino non perdete l’occasione per rendere omaggio alla Madonna della Grotta e visitare l’omonimo santuario, eretto nel XVI secolo, appena fuori paese, in contrada Cacorzo, sulla strada che porta a Borgagne.
La tradizione orale, trasmessa fino ai nostri giorni, vuole che il 2 luglio del 1568 al vecchio Frangisco Vincenti, detto Lo Pace – effettivamente vissuto – rifugiatosi per un temporale in una delle grotte presso Cacorzo, apparve in sogno una bella signora con un bambino in braccio che gli disse:
Io sono la Madre di Dio e questo è il mio figlio diletto.
Qui in questa grotta, io voglio tempio ed altare, ove sia invocato il nome mio: prometto protezione.
Il giorno seguente fra le macerie della grotta, nei pressi fu ritrovata una raffigurazione bizantina della Vergine.
Il contesto in cui si inserisce il nostro santuario, pur se tipicamente salentino, è impreziosito dalla quattrocentesca torre colombaia e dalla presenza di numerose grotte, alcune delle quali trasformate nel corso del tempo nelle utilissime ma desuete neviere.
Sulla cripta, già dedicata a San Giovanni Battista, fu realizzato il nostro santuario per volontà di Annibale Di Capua († 2-IX-1595), allora abate, che una promettente carriera ecclesiastica avrebbe poi portato alla nomina di arcivescovo di Napoli (1579), quindi nunzio a Praga (1576), a Venezia (1577-1578) e in Polonia (1586).
Annibale era figlio di Vincenzo Di Capua, terzo duca di Termoli, e di Maria De Capua, sua nipote, figlia di Ferrante Di Capua e Antonicca Del Balzo (da questi ultimi due era nata anche Isabella, che dopo un matrimonio non consumato con Trainano Caracciolo sposò Ferrante Gonzaga figlio di Francesco II).
Annibale fu dunque amministratore e primo abate, come attesta la bolla di nomina del 1570 tuttora custodita nell’archivio diocesano di Otranto, rilasciata dallo zio Pietro Antonio Di Capua, arcivescovo di Otranto (1536-1578).
Il prelato fece realizzare la costruzione che ancora si vede e la ultimò nel 1575, come si legge sul fregio terminale della facciata principale, in stile rinascimentale, rivolta a nord-ovest. Ma i lavori non furono completati, perché un’altra data, questa volta sul bordo inferiore dell’architrave del portale, riporta 1585, quando finalmente il sacro edificio era stato concluso. Nel frattempo l’abate era diventato arcivescovo napoletano e il presule lo rammentò con l’iscrizione tuttora leggibile incisa sul portale verso sud-ovest:
[H]ANIBAL DE CAP(U)A ARCHIEP(ISCOPUS) NEAPOL(ITANUS) / SUB PON(TIFICE) GREG(ORIO) XIII1579”.
Sull’architrave del portale appose lo stemma personale con le insegne della potente famiglia Di Capua Del Balzo da cui discendeva, ornandolo con una nappa per lato e con il cappello prelatizio, come si addice allo stemma di uno del suo livello. La presenza, dunque, di entrambi gli stemmi è da ascrivere al fatto che il nonno materno, in seguito a questioni ereditarie, aveva ottenuto da Carlo V l’autorizzazione per sè e la discendenza a chiamarsi Di Capua Del Balzo.
Non è chiaro se le maestranze furono le stesse della fabbrica originaria, ma il risultato fu comunque soddisfacente e in stile con i gusti dell’epoca.
La chiesa a croce latina, dalle linee severe ma eleganti, presenta tre entrate. Insolita la soluzione accanto all’austera facciata principale, con l’accesso al cortile interno sul quale si affacciano il lato della chiesa rivolto a nord-est, il portale d’accesso dalla strada per Borgagne con lo stemma Di Capua e il prospetto dell’abbazia, con un elegante loggiato del secondo ordine che risulterebbe assai vicino a quello dell’architetto leccese Gabriele Riccardi.
La facciata verso sud-ovest, ovvero quella di fronte alla colombaia e rivolta verso il paese, si presenta con particolari architettonici che spiccano dalla lineare e calda facciata: un rosone finemente decorato e un elegante portale barocco con due coppie di colonne sostenenti un architrave.
Nella lunetta superiore è dipinto un affresco ormai sbiadito raffigurante la Vergine con il Bambino.
L’interno non delude. Entrando dalla porta principale le statue in cartapesta di San Francesco d’Assisi e di San Luigi, conservate all’interno di due nicchie, ci accompagnano alla scoperta di questo solitario e prezioso scrigno d’arte che contiene opere di un certo rilievo.
Ai lati della navata, dove prima c’erano gli altari, possiamo ammirare le tele raffiguranti episodi della vita della Madonna, realizzate dal pittore Giuseppe De Donno di Maglie in occasione dei lavori di restauro eseguiti nel 1938; a sinistra: l’Annunciazione, la Visitazione, la Nascita della Vergine e la Presentazione di Gesù al tempio; a destra: l’Incoronazione della Vergine, l’Assunzione della Vergine, la Discesa dello Spirito Santo e Gesù tra i Dottori della Chiesa.
Degni di nota sono i cinque stemmi riprodotti nelle formelle poste sulle chiavi di volta del santuario.
Dalla porta maggiore il primo a comparire è lo stemma cittadino raffigurante un pino sradicato sormontato da una corona marchesale e affiancato dalle lettere C. P. (probabile abbreviazione di Carpiniani Populus). Non è più leggibile, perché abraso, il secondo stemma, verso il transetto; al centro, tra la volta del transetto e quella della navata principale, appare in bella mostra lo stemma dell’arcivescovo. Infine, sul lato destro del transetto, vi è l’emblema della casa d’Aragona maldestramente ridipinto, mentre sul lato sinistro quello di Geronimo Bardaxy, governatore della Terra di Carpignano tra il 1560 e il 1570.
Nel transetto si trovano gli elementi più antichi della chiesa, la maggior parte dei quali fatti realizzare nel XVI secolo, come attestano gli stemmi del barone Giovanni Camillo Personè e della sua terza moglie Donata Antonia Paladini, genitori del celebre Diego che tanto risaltò nelle arti cavalleresche, nella poesia, filosofia e musica.
Nel braccio destro del transetto due piccole absidi sono affrescate con le figure di Santa Caterina di Alessandria e delle Sante Apollonia e Irene, mentre quelle diametralmente opposte, raffigurano Santa Giustina, Sant’Orsola e compagne. A sinistra si vede l’altare dell’Incoronazione di Maria Vergine sulle cui pareti laterali restano solo due affreschi di santi eremiti, dei quali uno individuabile come Sant’Onofrio. Più completa è la decorazione pittorica dell’altare opposto, con l’apparizione della Madonna Incoronata con il Bambino a San Giacinto di Polonia, verso i lati Sant’Antonio di Padova e San Diego d’Alcalà.
Rilevante, per fattura e dimensioni, è la tela posta sul fondo del coro, dipinta nel 1601 da Ippolito Borghese, esponente di spicco del manierismo napoletano. La tela raffigurala Madonna tra i Santi Francesco d’Assisi e Francesco di Paola e nella parte inferiore contiene un inserto con il Battesimo di Gesù nel Giordano, forse collegabile con l’originario culto di Giovanni Battista.
Ancora nel transetto due ingressi conducono alla cripta, ubicata sotto il presbiterio, e nei pressi di quello di sinistra una teca lignea (1937) contiene la statua in cartapesta della Madonna della Grotta (1917), che nella prima metà del Novecento i duchi Ghezzi qui trasferirono dal palazzo ducale.
Merita attenzione anche la tela secentesca dei Santi Pietro e Paolo, facilmente riconoscibili per gli elementi iconografici abituali che li accompagnano, oltre che per le quattro scene della vita e del martirio dei santi ritratte nella parte inferiore.
Nella cripta un grande architrave è sostenuto da quattro coppie di colonne doriche e al centro di esso, tra nubi e putti, si staglia ad altorilievo il Padre Eterno, a mezzo busto, con barba fluente, in atto di sostenere il globo terracqueo. Un piccolo altare, riccamente decorato, è anteposto alla miracolosa immagine della Madonna, affrescata su una stele di pietra e protetta da un grata, venerata dal popolo di Carpignano, ormai da 443 anni.
Suggestivo è l’incontro in piazza Duca d’Aosta delle statue di Sant’Antonio da Padova e della Madonna della Grotta, durante il quale avviene, in segno di devozione da parte di tutta la cittadinanza, la simbolica consegna delle “chiavi” del paese da parte del Sindaco. Il giorno dopo le cerimonie religiose del 2 luglio, ecco che Carpignano tiene i festeggiamenti civili con pittoresche luminarie e concerti bandistici.
Bibliografia
E. BANDIERA – V. PELUSO, Guida di Carpignano e Serrano. Testimonianze del passato nella Grecia salentina, Galatina (Le), Mario Congedo Editore, collana “Guide verdi”, 2008.
C. CALÒ – S. MONTINARO, L’uomo: tomoli di terra, pietre di memoria. Paesaggio agrario e società a Carpignano Salentino e a Martano nel ‘700, presentazione di Anna Trono [Biblioteca di Cultura Pugliese, serie seconda, 163], Martina Franca (Ta), Mario Congedo Editore 2006.
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E. BANDIERA, Carpignano Salentino. Centro, frazione, casali, Cavallino (Le), Capone Editore, 1980.
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