di Armando Polito
Carte 36 e 37.
Disposto a sollevarmi alto da terra, Petrarca, Canzoniere, CCCLX, 29.
Abstulit atra dies et funere mersit acerbo (Il nero giorno sottrasse e sommerse in morte acerba), Virgilio, Eneide, VI, 429. Qui il nostro frate ha utilizzato il primo emistichio del verso virgiliano; il secondo (con eliminazione di et) sarà il titolo di una famosa (almeno in passato …) poesia del Carducci facente parte della raccolta Rime nuove (1887).
Carte 38 e 39.
Chè a mia difesa ardir non ho né possa, Petrarca, Trionfi. Trionfo d’Amore, III, 127.
Inter spemque metumque dubii, seu vivere credant (tra la speranza e la paura dubbiosi se credere di vivere), Virgilio, Eneide, I, 218. Da notare, nella lettura del motto dal basso verso l’alto, l’inversione di posto, rispetto all’originale, tra spemque e metumque, dovuta molto probabilmente alla citazione a memoria.
Carte 40 e 41.
Ma ragion contro forza non ha loco, Petrarca, Trionfi. Trionfo d’Amore, IV, 111.
Cui tantum de te licuit? Mihi fama suprema (A chi fu lecito fare tanto di te? A me la fama nell’ultima), Virgilio, Eneide, VI, 502. Il nostro frate ha utilizzato il verso virgiliano fino a te (primo emistichio), cui ha aggiunto soevire (per saevire) datur. Traduzione dell’intero verso così rifatto: A chi viene concesso di infierire tanto su di te. La creatura mi appare malformata sul piano metrico (per avere un esametro completo manca parte del quinto piede e il sesto) e su quello grammaticale (con saevire negli autori classici chi subisce il danno è espresso col dativo o con in+accusativo, non con de+ablativo).
Carte 42 e 43.
Al variar di suoi duri costumi, Petrarca, Canzoniere, CCLVIII, 8.
Iamque dies, nisi fallor, adest, quem semper acerbum,/semper honoratum, sic di voluistis, habebo, Virgilio, Eneide, V, 49-50 (E già, se non m’inganno, si avvicina il giorno che avrò sempre amaro, sempre onorato, così, o dei, avete voluto). Al nostro frate probabilmente dispiaceva omettere l’acerbum che chiude il v. 49 e perciò ha scritto Honoratum semp(er) acerbum sic dii voluistis habebo. L’inversione di posto tra semper ed honoratum e l’aggiunta di acerbum hanno sconvolto la struttura metrica dell’esametro virgiliano alterando anche i rapporti grammaticali (l’avverbio semper in Virgilio è a corredo di acerbum con replica per honoratum, nel nostro accompagna solo acerbum obbligando a questa traduzione: Onorato, sempre amaro, così, o dei avete voluto, io l’avrò.
Carte 44 e 45.
Da ora inanzi ogni difesa è tarda, Petrarca, Canzoniere, 65, 9.
Et quorum pars magna fui (E dei quali fui gran parte), Virgilio, Eneide, II, 6.
Carte 46 e 47.
Di gioventude e di bellezze altera, Petrarca, Trionfi. Trionfo della Morte, I, 35.
Quam nec longa dies pietas nec mitigat ulla (Che non mitiga né una pietà che dura nei giorni né alcun’altra), Virgilio, Eneide, V, 783.
Carte 48 e 49.
Io mi rimango in signoria di lui, Petrarca, Canzoniere, V, 24.
Hinc mihi prima mali labes, hinc semper Ulixes (Da qui per me il primo colpo di sventura, da qui sempre Ulisse), Virgilio, Eneide, II, 97.
Carte 50 e 51.
Et dissi: – A cader va chi troppo sale, Petrarca, Canzoniere, CCCVII, 7.
Sit vetuisse meum; sacer est post tempora vitae (Sia mio merito averlo vietato; è sacro dopo la fine della vita). Non è di Virgilio ma fa parte di una serie di versi sull’Eneide che nei manoscritti sono attribuiti ad Augusto e che la critica considera opera di qualche autore di epoca tarda. Il riferimento concettuale è alla tradizione secondo la quale Virgilio prima di morire aveva consegnato il manoscritto dell’Eneide agli amici Plozio Tucca e Vario Rufo il manoscritto dell’Eneide perché, pur terminato, non era stato rivisto. I due consegnarono il manoscritto all’imperatore e sappiamo come andò a finire.
Carte 52 e 53
Et mie speranze acerbamente ha spente, Petrarca, Canzoniere, CCCXXIV, 6.
Tam dirum mandare nefas? Ergo ibit in ignes (Allora ordinare una tale nefandezza? Dunque andrà alle fiamme). Fa parte di quei versi attribuiti nei manoscritti ad Augusto [da qui nel cartiglio C(AESAR) A(UGUSTUS) APUD V(ERGILIUM)], di cui ho detto nella scheda precedente.
Carte 54 e 55.
Ch’avria vertù di far piangere un sasso, Petrarca, Canzoniere, CCLXXXVI, 14. Credo che sia stato questo verso petrarchesco ad ispirare al nostro frate, a sua imitazione, quello del cartiglio (Per la pietà farei pianger i sassi) .
Pro talibus ausis (per tale audacia): la locuzione ricorre più volte nell’Eneide di Virgilio:
II, 535: – At tibi pro scelere – exclamat, – pro talibus ausis – (- Ma a te per la scelleratezza- esclama – per tale audacia-).
IX, 251: Quae vobis, quae digna, viri, pro talibus ausis (Quale [compenso] a voi, quale degno [compenso], o uomini, per tale audacia).
XII, 351: llum Tydides alio pro talibus ausis (Quello [fece] il figlio di Tideo per un’altra [ricompensa] in cambio di tale audacia).
Quest’insegna appare la più ambigua proprio perché il motto può essere considerato come un tributo di pietà per l’albero o come un’esaltazione della potenza del vento, a seconda che si faccia riferimento alla citazione virgiliana in cui l’audacia è sinonimo di scelleratezza (la prima) o di eroismo (le altre due).
(CONTINUA)