di Giorgio Cretì
In illo tempore, nel Salento che fu, quando la gente viveva sulla terra che coltivava e da essa traeva il proprio sostentamennto, si faceva grande uso di piante spontanee res nullius che prendevano il nome di foje creste ossia di erbe agresti, che non avevano bisogno di essere seminate e coltivate. Era la sapienza della tradizione che permetteva di ricavare da esse alimenti squisiti e anche salutari.
Tra queste erbe erano compresi anche i cardi prima che indurissero e sviluppassero le loro durissime spine. Molto apprezzato era il Rattalùru, ossia il Cardo scolimo (Scolimus hispanicus), che sulle Murge quando muore genera i funghi carduncielli. Ed anche il cardo mariano (Silybum marianum) che veniva impiegato in cucina ed era pure apprezzatissimo per suoi principi attivi riitenuti ancora oggi molto efficaci per l’apparato cardio-vascolare e per la sua funzione epatica.
A Ortelle, ed anche a Vitigliano, che un tempo di Ortelle era frazione, così pure a Vaste che è frazione di Poggiardo, il cardo mariano si chiamava, e si chiama ancora, Spina de San Giuvanni. In altri paesi, come per esempio Spongano, è detto Cardune.
E’ simile ad una delle tante specie del genere Carduus con foglie spinosissime che avvolgono il fusto ed i suoi capolini isolati di colore purpureo che somigliano ai fiori del carciofo. E’ diffuso nell’Italia Centrale e Meridionale e nelle Isole, più raro è nell’Italia settentrionale dove sopravvive come relitto di antiche colture un tempo tenute solo a scopo medicinale. Nei ricordi della signora ‘Maculata di Vitigliano se ne facevano anche dicotti.
Era credenza molto antica che il cardo mariano, in occasione della festa di San Giovanni dimostrassse particolari virtù divinatorie.
Santina di Vignacastrisi ricorda che la sera della vigilia di San Giovanni gli uomini al ritorno dalla campagna tagliavano gli steli fioriti e li portavano a casa. Le donne li bruciacchiavano alla fiamma del camino e poi li mettevano in un seccchio pieno d’acqua; c’era anche chi lasciava le spine bruciate, o anche altre erbe, semplicemente sulla lamia a prendere la rugiada della notte che così guariva da certe malattie. La mattina dopo, comunque, le spine rifiorivano e questo era sempre e comuque buon segno. Le giovani donne innamorate per sapere se si sarebbero sposate entro l’anno, o per sapere se l’uomo verso il quale spasimavano si sarebbe dichiarato, mettevano le spine bruciaccchiate dentro un bicchiere e le lasciavano sul davanzale a prendere il fresco della notte. Dalla loro posizione traevano i buoni auspici.
Nella notte del 24 giugno in cui gli antichi celebravano il solstizio d’estate, anche nel Salento cristiano, si festeggiava San Giovanni Battista ed era una festa di purificazione in cui si dava fuoco alle stoppie secche. Ma qualcuno per conto suo faceva festa anche con focareddhe vere e proprie ad imitazione dei grandi falò propiziatori fatti in piazza in altri posti e in altre occasioni. Niente a che vedere, comunque, con la “Festa delle Panare” di Spongano che si tiene il 22 dicembre di ogni anno e dove si bruciano le paddhotte, le zolle della sansa dei frantoi.
Nella tradizione popolare San Giovanni era venerato come taumaturgo capace di guarire qualsiasi male, ma gli venivano accreditati soprattutto gli attribuiti del fuoco e dell’acqua ed era a Lui che il popolo si rivolgeva per scongiurare il pericolo dei temporali che incutevano sempre grande paura per i danni che potevano arrecare ai raccolti e alle persone. Ancora a Immacolata De Santis di Vitigliano (‘Macculata) dobbiamo la momoria di alcune invocazioni recitate per scongiurare l’arrivo del maletiempu di ogni genere.
San Giuvanni meu barone
Ka ‘ncoddhu purtavi nostru Signore,
Lu purtavi e lu nucivi
u maletiempu tu sparivi.
E nulla cambiava se a volte era chiamato ad intervenire assieme ad altri santi. In quest’altra composizione il richiedente si rivolge prima a Santa Barbara per poi affidare la parte operativa del miracolo richiesto a San Giovanni.
Santa Barbara ci sta’ ‘menzu ‘li campi
Nu time acqua, nè troni nè lampi,
Azzete Giuvanni e duma tre cannile
Ka visciu tre scère(1) ‘quarrittu vinire:
De acqua, jentu e maletiempu.
A mare a mare lu maletiempu,
Addhurca nu canta gallu,
Addhunca nu luce luna
Addhunca nu passa anima una.
(1) Scèra era detta il cumulonembo
E a San Giovanni Battista era affidata anche la responsabilità di proteggere il contratto sociale detto del comparaggio, che non aveva niente a che vedere con il reato previsto dal nostro Diritto, ma era quello del battesimo, in cui i contraenti – di solito parenti o amici – assumevano, appunto, l’appellativo di compari di San Giovanni. Al santo profeta che aveva battezzato Gesù veniva dedicato un rapporto speciale che si creava e rimaneva sacro per tutta la vita. Tra il padrino e la famiglia del bambino tenuto a battesimo, si instauravano speciali rapporti di amicizia che avevano un valore quasi uguale a quello di parentela. Il bambino figlioccio, fin dalla tenera età, era educato a rivolgersi con affetttuoso rispetto al proprio padrino facendo precedere sempre il suo nome dall’appellativo di nunnu/nunna, anche nell’età adulta. Il padrino/madrina si rivolgeva al figlioccio chiamandolo semplicemente sciuscettu (lat. filius susceptus, figlio adottato) e sullo stessso esercitava quasi la stessa autorità del padre/madre naturale.
Per ultimo non è da dimenticare uno squisiito fico precoce, la cui maturazione avviene a cavallo del soltizio d’estate ed è una varietà di Ficus carica detta fica de San Giuvanni. I suoi fioroni, fichi di primo frutto, puntualmente sono pronti per il 24 di giugno ed hanno forma di trottola con polpa granulosa, dolce ma non mielosa, ottimi per il consumo fresco. Ed essendo la cultivar bifera produce anche un fòrnito, un fico di secondo frutto, di forma globosa a fiasco allungato con buccia gialla, costoluto e con polpa giallo verdastra. Come per tutti gli altri fichi, se al solstizio di giugno sofffia vento di Scirocco i frutti si gonfiano ed essendo i primi sono molto attesi. Se invece persiste vento di Tramonata la loro maturazione diventa difficoltosa e ntaddhene, fanno il callo, cioè, e sono da buttare.
erano soprattutto le ragazze che cercavano pronostici il giorno di San Giovanni. Mia nonna, quando ero piccola, a mezzogiorno accendeva il fuoco sotto al camino, poi prendeva un cucchiaio vecchio e dentro ci metteva qualche pezzetto di piombo, di quelli che usavano i pescatori o di quelli che venivano utilizzati per spedire pacchi. Poi teneva sospeso il cucchiaio sul fuoco in attesa che il piombo si sciogliesse. A questo punto versava il piombo sciolto in una bacinella precedentemente approntata.Ne venivano fuori tante sculture: ognuno le interpretava a modo suo. Una ragazza che era fidanzata con un fruttivendolo vedeva in tutte le palline che si erano formate diverse varietà di frutta. Una ragazza di oggi probabilmente vedrebbe palloni vedendo nel suo futuro un fidanzato calciatore.