di Armando Polito
Carte 10 e 11.
Ove suol albergar la vita mia, Petrarca, Canzoniere, CCLXX, ). Solea per suol è un adattamento al rapporto albero (dopo il crollo)-uccello.
Nate, meae vires, mea magna potentia solus (Figlio, mia forza, da solo mia grande potenza), Virgilio, Eneide, I, 664 (Venere parla ad Amore). Qui l’adattamento del significato ha comportato la soppressione di nate e di solus.
Carte 12 e 13.
Che me, e gli altri crudelmente scorza (Petrarca, Trionfi. Trionfo d’amore, III, 129.
Tarda venit seris factura nepotibus umbram (Cresce lento destinato a fare ombra ai tardi nipoti), Virgilio, Georgiche, II, 58. Del verso originale è stato soppresso il primo emistichio.
Carte 14 e 15.
Et ch’esser non si può più d’una volta, Petrarca, Canzoniere, CCCLXI, 10.
Tydides. Equidem credo mea vulnera restant (Il figlio di Tideo. Lo credo di certo, restano le mie ferite), Virgilio, Eneide, X, 29. Qui l’adattamento ha comportato la soppressione anche di credo, prima parola del secondo emistichio.
Carte 16 e 17.
Ove Amor per usanza ancor mi mena, Petrarca, CVI, 8.
In ventis et aqua spes mea semper erit? (Nei venti e nell’acqua sarà sempre la mia speranza?), Ovidio, Eroidi, XVIII, 186. Qui il “dimagrimento” del verso originale è stato meno spinto, essendosi conservato tutto il primo emistichio e spes, prima parola del secondo. Da ora in poi, per non ripetere sempre le stesse cose, sottolineerò soltanto la parte del verso utilizzata.
Carte 18 e 19.
Ne l’età sua più bella et più fiorita, Petrarca, Canzoniere, CCLXXVIII, 1.
Mittimus, o rerum felix tutela salusque ([A te, Domiziano] mando [questo libro], o felice protezione e salvezza del mondo), Marziale, Epigrammi, V, 1, 7.
Non è che mi sia già dimenticato della promessa della semplice sottolineatura fatta nella scheda precedente, ma come faccio a non dire che il motto di questa seconda insegna, corrispondente al primo emistichio del verso originale, contiene un’allusione al dono e, quindi, una sorta di gemellaggio tra Domiziano e il Prioli?
Carte 20 e 21. Sono le uniche in cui si susseguono due motti latini.
Aliis non mihi (Per gli altri, non per me). Qui credo che il motto non sia una citazione ma una creazione del nostro e che auctor (l’autore) sia la sua firma più che un riferimento a Tacito, lo storico per antonomasia, nel quale, fra l’altro, tale nesso è assente. Fuori dalla prima insegna si legge: Spiantato dal vento, in Roma (rinverdì nella morte di Nerone succedendoli Vespasiano) nel suo giardino. Il riferimento è ad un passo (II, 78) delle Storie di Tacito relativo a Vespasiano poco prima della sua acclamazione ad imperatore: Recursabant animo vetera omina: cupressus arbor in agris eius conspicua altitudine repente prociderat ac postera die eodem vestigio resurgens procera et latior virebat (Gli tornavano in mente vecchi presagi: nei suoi campi un albero di cipresso di notevole altezza era caduto e il giorno successivo risorgendo nel medesimo punto verdeggiava alto e più largo). Se a Vittorio Prioli il vento avesse devastato un intero oliveto probabilmente il nostro frate avrebbe sfruttato Plinio il Vecchio, Naturalis historia, XVII, 245: Super omnia quae umquam audita sunt erit prodigium in nostro aevo Neronis principis ruina factura in agro marrucino, Vectii Marcelli e primis equestris ordinis oliveto universo viam publicam transgresso, arvisque inde e contrario in locum oliveti profectis (Al di sopra di tutto ciò che mai si sentì resterà il prodigio avvenuto nei nostri tempi nell’agro marrucino in occasione della rovina del principe Nerone, quando un intero oliveto di Vezzio Marcello, tra i primi dell’ordine equestre, oltrepassò la via pubblica e al contrario i campi che stavano dall’altra parte si trasferirono nel luogo prima occupato dall’oliveto).
Nox ruit, Aenea; nos flendo ducimus horas (O Enea, la notte avanza; trascorriamo le ore piangendo), Virgilio, Eneide, VI, 539.
Carte 22 e 23
Ch’i‘son d’altro poter che tu non credi, Petrarca, Canzoniere, CCCXXV, 55
Sed cadat ante diem mediaque inhumatus arena (Ma cada prima del tempo e insepolto in mezzo alla sabbia), Virgilio, Eneide, IV, 621. È la maledizione che Didone lancia contro Enea che l’ha abbandonata. Da notare l’adattamento dell’originale cadat (cada) in cadit (cade).
Carte 24 e 25
Il dolce acerbo, e il bel piacer molesto, Petrarca, Canzoniere, CCCXXXI, 19.
Quis strepitus circa comitum, quantum instar in ipso (Quale bisbiglio di compagni ha intorno, quanta maestà in lui), Virgilio, Eneide, VI, 864
(CONTINUA)
Fantastico…molto interessante….