di Armando Polito
Cesine per quanto fin qui detto ha tutta l’aria di trarre origine come toponimo da un nome comune e di essere connesso con un’attività che nel tempo ha avuto implicazioni militari (ostacolo rappresentato da cumuli di tronchi e rami che, naturalmente, debbono prima essere tagliati) oppure civili (in agricoltura barriere protettive dei campi coltivati formate da cumuli di rami tagliati o da siepi soggette, comunque, a manutenzione, cioè alla potatura per evitare che la loro ombra faccia danno; lungo le strade necessità di tagliare gli sterpi come misura preventiva contro gli agguati ai viaggiatori). Le nostre Cesine potrebbero anche alludere al legnatico (se non da bosco quanto meno da macchia) o alla raccolta del giunco.
Lo stesso destino potrebbe aver avuto Segine. Ma qui l’indagine etimologica condotta con gli stessi strumenti utilizzati per Cesine comporterebbe, come vedremo, un indebolimento della teoria di Cesine variante di Segine grazie all’intervento di una semplice metatesi.
Ma, se Cesine rivela un suffisso aggettivale accoppiato al tema (caes-) di caesa (participio passato femminile del ricordato caedere), la stessa tecnica di formazione ha coinvolto pure Segine? Potrebbe essere andata così e tenterò di dimostrarlo.
Dal glossario del Du Cange:
L’italiano seccia (sinonimo di stoppia) secondo gli studiosi probabilmente è ciò che rimane di fenisicia=taglio del fieno, composto da fenum=fieno e dal tema di secare=tagliare. Ritorna, dunque, il concetto del taglio già visto in cesine, questa volta riferito non alla vegetazione spontanea ma a quella che è frutto della coltivazione di un terreno. E non escluderei un rapporto tra seghia/seccia e il classico seges/sègetis, campione di ambiguità, perché può significare terreno o campo non seminato (arato o non arato), campo seminato, campo di biade, e, in senso traslato messe, gran quantità. Come forma aggettivale, però, da un punto di vista formale è più probabile che segine lo sia di seghia e non di seges/sègetis, il cui tema seget– avrebbe dovuto dare un aggettivo segetaris come militaris da miles/militis.
A conclusione di questo impervio cammino ipotizzo, perciò, che Segine e Cesine siano due toponimi ben distinti anche sul piano etimologico e che ognuno di loro contenga il riferimento ad una particolare fase economica del territorio interessato: Segine, più all’interno, con un’economia rurale magari di pura sopravvivenza (il che spiegherebbe l’etichetta di casale) e Cesine una riserva di risorse naturali (raccolta della legna, pesca).
Una riprova di tutto questo può essere il Giegine che si legge in una mappa del 1589 della quale mi sono già occupato in https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/01/24/la-toponomastica-della-provincia-di-lecce-in-una-mappa-del-1589-grazie-francia/:
Pur tenendo conto delle storpiature con cui i nomi compaiono spesso in queste carte, direi che è più facile immaginare che Giegine sia deformazione di Segine (da notare che il nuovo nome, Acaya, al tempo della mappa esisteva già da 54 anni, eppure non compare) piuttosto che di Cesine; faccio notare, ancora, la posizione all’interno, da casale, piuttosto che da zona costiera.
Al limite proprio questa ambiguità semantica avrebbe potuto propiziare il passaggio dal comune e più antico cesine al toponimo Segine e proprio in questo senso forse va sciolta l’ambiguo corrisponde del passo del Bacile di Castiglione citato all’inizio.
Se la mia proposta etimologica, nonostante le prove addotte a suffragio, dovesse sembrare oscena, ne ho pronta un’altra ancora più oscena che senz’altro troverà apprezzamento entusiasta presso certi ambienti (ho detto ambienti, non ambientalisti …).
Tagliamo il verde sopravvissuto, lasciamolo seccare e poi bruciamo il tutto; anzi, per fare più presto, per la seconda operazione possiamo usare una bella dose di diserbante; se poi vogliamo non perdere stupidamente tempo basterà qualche tanica di benzina …
Dopo di che, la mia fantasia prevede l’abbattimento immediato di ogni invereconda costruzione simile al trullo presente nella foto di testa della prima parte (agli olivi, fortunatamente, ci avrà già pensato il fuoco) e la bonifica tramite riempimento con spazzatura, proveniente anche dall’estero, di ogni parte umida simile a quella della seconda foto. Il tocco finale, in attesa della costruzione di qualche villaggio turistico, sarà costituita da una bella asfaltatura.
Sono certo, però, che per fortuna nostra e dei nostri discendenti, menti ben più sviluppate della mia hanno già pronta una vastissima gamma di progetti alternativi …
Se poi si riuscirà a convincere quelli di Cesena a fare lo stesso con il loro territorio, approfittando del fatto che probabilmente anche questo toponimo ha la stessa etimologia, si potrà celebrare, cosa che non guasta mai, un bel gemellaggio. Il tocco finale, poi, consentirà al toponimo di assumere, con poca fatica (altro che metatesi, basterà una più semplice epentesi o, se preferite, geminazione di -s-) la sua forma, forse definitiva: Le Cessine.
Sentite un po’, per concludere, cosa scriveva poco più di due secoli fa Michele Angelo Manicone sulla zona garganica in La fisica Appula, Sangiacomo, Napoli, 1806, pp. 111-112: L’abate Longano dice, che per le furiose e popolari cesinazioni fatte dopo l’anno 1764, oggi manca agl’Ischitellani il legname infino per brusciare. Fa d’uopo che questo Viaggiatore sia stato mal servito da’ suoi corrispondenti; essendo la sua asserzione un errore non sopportabile.Non sono gl’Ischitani, che non hanno legna per brusciare, ma i Vichesi. Vico, mercè della barbara cesinazione, non ha più boschi; ma ha boschi Ischitella; perché al cominciato disboscamento si è vigorosamente opposta l’Autorità Pubblica. Solo si desidererebbe, che i Vichesi, i Rodiani, i Carpinesi, che di legname abbisognano, gl’ischj, e i boschi d’Ischitella non devastassero. Ma pur troppo ciascuno è soggetto a scrivere delle cose poco esatte: ed io credo di rendere un vero servigio ai leggitori del Longano, avvertendoli di qundo in quando d’alcuni errori di fatto. Ma ritorniamo alle cesine. Perché sono fattesi tante barbare cesine ne’ vetusti ghiandiferi, manniferi, e picei boschi? Per la semina del grano. Oh demenza! Cesinanti, e non sapete voi, che la superstizione consagrò i boschi ai Numi; e che lo spirito di vera Religione dettò ne’ Riti della Chiesa Ambrosiana le preci per la formazione di essi boschi? Non sapete voi, che la natura ne’ monti vuole alberi d’alto fusto, e non punto campi? Non sapete voi, che le alte, sassose e secche terre montane attissime sono a dar solo legna, pascoli e foraggio, e non punto a produrre gentili biade? Finalmente non sapete voi, che su i monti regna il Dio Silvano e non la Dea Cerere? Oh quanto savj erano i nostri avi, che i monti destinarono sempre al bosco, ed al prato; riescendo così a farvi vivere numerose truppe di vacche e buoi, e numerose mandre d’immondi porci! Voi avete bruciato tutto; voi avete voluto seminare su i decorticati monti: ma che ne avverrà egli? La sfaldatura de’ monti restando mercè le alluvioni spolpata della epiderma di terra vegetabile, che le radici degli alberi vi manteneano, il terreno, che per pochi anni darà abbondanti raccolte, diverrà sterile, la fame crescerà ogni anno col disboscamento, ed i coloni s’impoveriranno alla giornata. Cesinanti, voi dalle vostre stolte cesine non otterrete altro tra breve, che una passeggiera e stentata focaccia, e rimarrete senza legne, e senza semina.
Un nemico del cosiddetto progresso, un coglione ambientalista ante litteram, un maledetto profeta di sventure o, come oggi è di moda dire, un gufo? Sarà. Comunque, per quelle menti geniali di cui ho parlato prima, tanto geniali da saper interpretare, bene che vada, solo alla lettera ciò che leggono e geneticamente non in grado di capire il sarcasmo, dichiaro con fierezza di essere pure io un coglione ambientalista o, se preferiscono, un ambientalista coglione …
Per la prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/06/14/le-cesine-una-proposta-etimologica-e-non-solo-12/