La masseria di Capriglia nell’agro di Ortelle in un documento inedito, un contratto di affitto stipulato a Napoli nel 1918 fra la Duchessa di Nardò e Salvatore Merola di Cerfignano
di Paolo Rausa
La masseria di Capriglia è conosciuta per essere stato il luogo in cui Giorgio Cretì ha ambientato il romanzo ‘Pòppiti’, ripubblicato recentemente a cura della Fondazione Terra d’Otranto e rappresentato come dramma popolare al Faro della Palascìa a Otranto e parzialmente nella piazza di Ortelle il 1° giugno. La pioggia ne ha impedito la conclusione. Il testo è di Raffaella Verdesca, la regia di Paolo Rausa.
In un documento notarile del 20 febbraio 1918 viene trascritto a Napoli il contratto di locazione della ‘vasta masseria denominata Capriglia’ di proprietà della Eccellentissima Duchessa di Nardò, Donna Maria Zunica, gentildonna e proprietaria, con Salvatore Merola di Cerfignano, agricoltore e proprietario.
Di questo atto, descritto con minuzia di particolari negli elementi costitutivi della proprietà e negli obblighi a cui è tenuto il fittuario, è importante estrarre la componente agriculturale di conduzione dei fondi e di manutenzione dei beni, ben definita sia che si tratti di muri a secco, dei locali della masseria, persino del giardino che abbellisce la Cappella di S. Eligio e degli arredi sacri che vengono ricevuti dal precedente affittuario e perpetuati dal nuovo. Il ciclo dei campi si invera e si comprendono le condizioni sociali e culturali che permangono nelle campagne salentine fino a un secolo fa e forse anche oltre. In premessa l’oggetto del contratto, si descrive la composizione dei fondi indicati coi nomi di Pitria, Capriglia, Chiusura Finocchio, Aia, Ortore limitrofo all’Aia, Giardino della Cappella, Santaloja Vecchia, Masseria Capriglia, Ortore adiacente e contigua, Vignali, Serra pascolosa, Monte e Larghi la Croce, Monte Finocchito, Larghi Pezza li Monaci, Caggiubba e Larghi li Monaci, Chiusura lo Viero, Chiusura la Grotta, Cicirumella, Spitali e Pezza la Casa, giusta le antiche denominazioni dei fondi medesimi.
L’intera masseria Capriglia è di circa centosettanta tomolate, cioè di circa 83,30 ettari, considerandovi la consuetudinaria tomolata di circa are 49. Seguono gli altri elementi essenziali per la stipula del contratto: la durata in sei anni, dal 1° settembre 1918 al 31 agosto 1924; l’affitto annuo in lire 8.600 per la masseria da versare con tempi e modalità prestabilite e lire 400 in compenso della decima e metà del prodotto della vigna. Seguono le descrizioni in dettaglio delle doti di cui dispone la masseria: gli animali bovini ‘di giusta età ed atti al lavoro’, sessanta pecore di corpo, delle quali trentasei di ottima qualità, e ventiquattro recettibili, cioè non cieche, non zoppe e né mancanti di denti, tre montoni e quattro capre, di buona qualità. Dopo gli animali la dotazione dei prodotti di scorta, definiti nella quantità, e degli attrezzi che il fittuario riceve dall’uscente: grano, orzo, avena, fave, lupini, ecc., tutti generi di buona qualità e per uso di semenza – viene specificato -, poi paglia di grano e di orzo, immesse nella pagliera, una carretta, tre aratri ‘coi rispettivi gioghi buoni e servibili’, due vomeri di ferro ‘con la specifica del peso e servibili’, una madia per la ricotta salata, in buono stato ma senza serratura, un caccavo di rame rosso, otto mangiatoie nella masseria; cinque pile ed un pilone vicino al pozzo, e due altre pile vicino alla cisterna della masseria. Tutto specificato nei dettagli in modo che non sorgano liti o incomprensioni.
Questo tanto per cominciare. Nel caso di maltempo o di malattia delle piante che potessero distruggere in tutto o in parte il raccolto, come grandine e alluvioni, o la mosca olearia, la filossera, la peronospera, l’oscamorina, la grittogama, ecc. il fittuario non può esimersi dal pagare quanto pattuito.
Tra i vari punti da sottoscrivere alcuni si richiamano alla regola d’arte nella coltivazione dei terreni e secondo gli usi locali, per es. seminando ogni due anni i terreni per la pastorizia, lasciando l’ultimo anno della locazione venti tomoli di maggesi e venti di erba, piantando secondo la volontà tabacco, purché non si rechi danno alle coltivazioni e alle piante esistenti, specie agli ulivi. Altri riguardano il governo degli animali in dote alla masseria e quelli aggiunti dal locatario, l’obbligo a farli dimorare e pernottare nella masseria, e di utilizzare il letame per concimare esclusivamente i terreni della masseria e non altri, altrimenti si incorre in una penale. L’approvvigionamento dell’acqua dal pozzo di Capriglia, che deve essere mantenuto sgombro da materiali, e la cura dei canali di scolo sono altre prescrizioni contenute nel contratto insieme alla manutenzione dei locali affidati e alla loro riparazione ordinaria.
L’adempimento di tutti i patti e le condizioni sono suggellati e garantiti da una ipoteca che grava a garanzia su tutte le proprietà del fittuario, compresi case e fondi. Oltretutto sono consentite visite ispettive di personale inviato dalla signora Duchessa di Nardò per verificare l’osservanza delle varie condizioni poste e sottoscritte.
Ce la farà il povero Salvatore Merola di Cerfignano a lavorare la terra e a rispettare tutte queste clausole contrattuali? Non lo sappiamo. Vedendo le condizioni in cui è ridotta la masseria di Capriglia, ora diroccata, sembrerebbe di no.
Ci ritorneremo con lo spettacolo teatrale ‘Pòppiti’ il 10 di agosto, la Notte di San Lorenzo, riportando vita in un lembo di territorio agricolo, seppure per la durata di questo dramma popolare.