di Mauro Minutello
Vorrei conoscere il sentiero che seguono i ricordi per tornare alla mente. A volte sono così lontani che non si ha più idea di averli custoditi con cura.
Lunedì pomeriggio 2 giugno 2014 , pulisco l’attrezzatura fotografica, quando, chissà perché, inizia a tornare alla luce l’immagine di mio nonno, quando veniva a prendermi da casa e mia madre dopo avergli aperto l’uscio mi chiamava… “corri, il nonno è venuto a prenderti, mi ha chiesto se vuoi andare con lui”.
In un attimo ero fuori pronto a sedermi sulla canna della sua bicicletta color argento e lui dopo aver salutato con un sorriso mia madre iniziava a pedalare, con quella cadenza sempre uguale, da movimento perpetuo.
Dopo la partenza iniziava a raccontare tante storie fantastiche che mi portavano lontano, prendendo per mano i pensieri di bambino.
Quel pomeriggio del giugno di 48 anni fa mi disse “andiamo a trovare Giovanni e suo fratello, loro d’estate vivono in campagna vedrai che ti piacerà. Sanno preparare i fuochi d’artificio e se fai il bravo gli chiederò di farlo per te”. Non proferii parola, sin quando non mi disse “vedi quei due alberi alti.. ? Siamo arrivati, il loro giardino è là”.
Una volta entrati, Giovanni, che il nonno aveva salutato con un rumoroso “buona vespra”, usci dalla casupola a torso nudo, con i pantaloni tenuti su da una corda legata in vita con un doppio nodo. Fu grande la mia sorpresa quando mi accorsi che era scalzo, la pelle color bronzo, secco da far paura. Rispose, sorridendo “a signuria maestro Ciccio”. Finiti i convenevoli si sedettero sullo scanno di pietra a parlare, mentre io, trasformatomi in esploratore, prendevo il largo con il benestare di entrambi..
La voce di mio nonno mi riportò alla realtà quando mi chiese “ha detto Giovanni se vuoi vedere i fuochi, lui ha preparato i tubi, ma devi andare a chiamare suo fratello che dorme sotto quel noce. Lo vedi, è quell’albero grande dopo il campo di grano, corri, su!”
Arrivato sotto i rami dell’albero immenso lo vidi sdraiato su un vecchio telaio da tabacco su cui aveva steso una coperta. Stava fumando. Dopo avermi guardato con gli occhi che brillavano disse “dammi una mano ad alzarmi, cavaliere”. La cosa che mi colpi fu il folto baffo grigio con i peli ingialliti dalla parte dove reggeva il sigaro con le labbra. Mentre tiravo a me la sua mano rugosa, mi sentii veramente un cavaliere, nonostante avessi ancora i pantaloni corti.
Giovanni aveva infisso nel terreno due paletti, con su un tubo metallico, da cui nella parte inferiore usciva una piccola miccia, lunga non più di cinque centimetri.
Il fratello armeggiò per alcuni minuti con dei sacchetti di polvere diversi, con fare da alchimista, poi disse “allontanatevi, che accendo”. Pochi secondi dopo il primo botto ed il cielo si riempì di colori fantastici. Per tre volte rimasi senza fiato a guardare la sua magia, mentre il cuore mi batteva forte per l’emozione. Il sole stava per tramontare quando ci avviammo sulla strada del ritorno dopo aver promesso a Giovanni che saremmo ritornati…
Ho appena finito di pulire la macchina fotografica quando una delle mie idee strane viene alla luce: “perchè non tornare lì… deve essere da queste parti, non molto lontano. Sì, basta lo zoom corto, due minuti dopo salto il muro di recinzione di casa e mi avvio tra le erbe alte. Purtroppo gli alberi alti non ci sono più.
Dopo un pò ho il presentimento di essere assai vicino, ma non ho idea di dove sia esattamente, finchè un vecchio contadino mi grida da lontano: ” Heii, heii, dove vaii? chi cerchi? è proprietà privata!”. Lo saluto alzando la mano destra, mente mi avvicino all’ingresso del suo podere mi fermo e dopo aver salutato come una volta: “buona vespra”. Chiedo se posso entrare, si toglie la coppola e mi chiede chi io sia. Gli spiego che cerco il fondo di Giovanni e suo fratello, che erano miei lontani parenti e comunico il desiderio di rivederlo. Solo allora mi saluta con un “signurìa si giovane. Doi minuti e si rrivatu”. Quindi mi indica la strada, senza immaginare che mi avrebbe atteso sul ciglio della strada per verificare di aver individuato ciò che cercavo.
E’ una strana sensazione quella che si prova tornando nei luoghi dei ricordi, Non ci sono più Gionanni, il fratello e mio nonno; il terreno è incolto e le erbacce chiudono l’ingresso della casetta, ma nel momento in cui mi sono seduto per terra, come allora li ho tutti rivisti, seduti a parlare, assorti del loro lavoro. Anche il vecchio noce è spoglio. Anche con lui gli anni sono stati duri. Scatto una sola unica foto e vado via. E’ giunto il momento di riporre in buon ordine i ricordi.
Magistrale esempio di reciproca integrazione fra immagine e testo, in cui la semplicità riesce ad identificarsi con la profondità, senza ammiccamenti ruffiani. Non basta possedere la più sofisticata fotocamera del mondo (né saperla usare …), non basta possedere perfettamente la tecnica della composizione letteraria per essere, rispettivamente, un fotografo o un poeta. Ringrazio l’autore per avermi dato la possibilità di provare concretamente quest’assunto, in fondo elementare, del quale spesso tutti, i critici più o meno professionisti in primis, si dimenticano.
Un rivissuto che si affaccia prepotentemente al presente col sommarsi di emozioni infantili e commozione attuale, un racconto coinvolgente perché erompe dall’animo e godibile perché fluido nella sua intensità. Nessun trucco letterario e nessuna retorica in questo corretto narrare. E dalla foto erompe ugualmente il passato come vivo.
UN FRAME NELLA POESIA OPPURE POESIA DELL’IMMAGINE. A PARTE IL DUBBIO… COMPLIMENTI E GRAZIE PER LE BELLE EMOZIONI