di Armando Polito
Realvirtualmente
CONVOGLIO SU BINARIO,
TORMENTATA TRATTA
DI TRAVERSE E TRAVERSIE.
VANI VAGONI.
CHIUSI IN PARTENZA,
POTENZA L’ILLUSORIA META.
Ho trovato in rete questo componimento di anonimo. Non escludo che l’autore in un sussulto di lucida dignità abbia pensato bene di non firmarlo ma, se è così, sempre un vigliacco rimane, uno che non si assume le sue responsabilità (e, come vedremo, sono tante), che getta la pietra e nasconde la mano.
I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma anche del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi. (Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, cap. II)
L’estrema estensibilità semantica del torto manzoniano mi consente di riferire l’intera citazione al nostro caso. Chi ha scritto questi sei presunti versi ha prodotto una serie di danni a catena: prima a se stesso, poi agli sventurati ai quali per caso ne è capitata la lettura e, cosa, forse ancora più grave, al sedicente critico di turno che così si esprimeva nel suo delirantemente entusiasta commento:
“La poesia utilizza sublimemente la tecnica dell’analogia nascosta, che esalta la sua già notevole capacità di conferire sintesi e pregnanza alle parole-chiave, che così recuperano tutto il significato etimologico di poetiche, l’attributo che più di ogni altro le rende preziose. Tuttavia tale poeticità non si esplica in una gamma pressoché infinita di significati e di evocazioni, è sufficiente un’ambiguità ora bipolare, ora tripolare ma, comunque, immersa contemporaneamente nelle due sfere del virtuale e del reale sublimemente fuse, eppur distinguibili, già nel titolo. La metafora del viaggio emerge, così, in convoglio che è nello stesso tempo il flusso dei dati nel pc ma anche la disperata consapevolezza di ciò che lega ognuno di noi al suo simile; continua con binario, simbolo della nostra doppiezza ma anche del sistema matematico su cui si regge tutta la nostra architettura digitale. Si procede coerentemente con tormentata tratta in cui l’efficacissima allitterazione fa continuare i suoi effetti, con l’aggiunta del gioco enigmistico dell’incastro, in traverse e traversie.
Segue quasi una pausa di riflessione, uno sganciamento dall’ovvio, nello splendido isolamento di vani vagoni (ancora un incastro) in cui l’allitterazione continua a svolgere un ruolo fondamentale.
E siamo ai due versi finali in cui l’autore ha veramente dato il meglio di sé e che esprimono in modo quasi dissacrante il non senso del nostro viaggio. Si comprende allora perché la poesia risulta scritta in caratteri maiuscoli. Senza di loro solo Chiusi avrebbe avuto una duplice connotazione (toponomastica e aggettivale), mentre potenza in questo treno sgangherato che è la nostra vita avrebbe subito una sorta di declassamento a solo sostantivo (pur nella molteplicità delle sue specializzazioni: da quella economica alla militare, da quella sessuale a quella legata alla frequenza del processore) senza sostanza (grazie ad illusoria); e l’ambiguità resa possibile dalla scelta grafica paradossalmente illumina il titolo, squarciando il suo iniziale velo criptico”.
Può darsi pure che sia io il terzo a far danno, ma il mio giudizio, lapidario pur nella duplicità, lo devo esprimere per l’anonimo poeta e l’altrettanto anonimo (ad onor del vero si firma Colt25, non utilizzabile per il recupero delle sue generalità anagrafiche nemmeno risalendo al porto d’armi, laddove sia stato richiesto e rilasciato) recensore.
La poesia (?) appare come uno spot denigratorio, peraltro malriuscito, delle ferrovie statali, commissionato dalla concorrenza. L’autore prima di pubblicarlo, anzi, prima di scriverlo, avrebbe fatto meglio a gettarsi sotto un treno; almeno così avrebbe fatto danno solo a se stesso …
Quanto al critico, me la caverò ancora più presto, prendendo a prestito (questa sì che è allitterazione, tiè!) le sue stesse parole: due sfere …