di Rocco Boccadamo
Stamani, il pensiero è improvvisamente stato preso dal paesello natio, per la precisione si sono parati nella mente e dinanzi agli occhi i contorni del minuscolo, caratteristico, antico e popolare rione in cui sono venuto al mondo e ho vissuto i miei primi diciannove anni: l’Ariacorte, una specie di piccola isola, delimitata e racchiusa da tre o quattro brevi e strette vie, nell’ambito della già minuscola località di Marittima.
L’immagine, o immaginazione se si preferisce, era riferita non allo stato d’oggi del quartiere in questione, bensì alla conformazione, ai dettagli urbanistici e, in speciale modo, all’universo e alle singole figure dei residenti, quali lo animavano intorno alla metà dello scorso secolo.
Nell’Ariacorte, un tempo, era concentrata una quantità cospicua di nuclei famigliari, per di più, in linea con le abitudini e i costumi di allora, ciascuno comprendente, in genere, sette – otto componenti.
Sin dall’età giovanissima, tutti i soggetti erano chiamati a svolgere un lavoro, un’attività, sicché, in pratica, restava poco tempo da dedicare a giochi, a svaghi e/o a conversazioni distensive.
Qualche riferimento agli abitanti dell’Ariacorte, che conservo particolarmente vivo.
*****
La famiglia Mariano, Trifone a capo, la moglie Elisa e quattro figli, si distingueva per la bella abitudine della preparazione annuale, nella ricorrenza del 19 marzo festa di S. Giuseppe, di un pentolone di “massa”, tagliolini fatti in casa, piatto tipico di quel giorno, a beneficio delle famiglie meno abbienti del paese; allestiva, in altri termini, una tavolata, detta giustappunto, di San Giuseppe.
Di fronte a loro, viveva, invece, una signora anziana e vedova, Pippina ‘a Raula (per dire Peppina nata da Laura), con una figlia, non a caso di nome Lauretta, poi sposatasi nella vicina Andrano.
A pochissimi metri di distanza, le abitazioni, attaccate, di Vitale Coluccia, soprannominato “quendici”, vedovo di Donata, quattro figli e del fratello Ciseppe, detto pizza d’oro, ammogliato con Nicolina, andranese, soprannominata ‘a sciarpa, cinque figli, di cui la primogenita Valeria, sarebbe mancata, purtroppo, giovanissima, qualche tempo dopo.
Giovanni ‘u Pativitu, che divideva il tetto con la consorte ‘Ndolurata, era contadino e, a tempo perso, fabbricante di panieri e cesti in giunchi e vimini.
Suo unico discendente maschio, compare Chiaro, marito di comare Donata, due figli, il quale soleva, saltuariamente, allestire, in un giardino di proprietà, una rudimentale trappola, con cui riusciva a catturare esemplari di volpe, resisi artefici e responsabili di stragi di galline. ”Legittima difesa”, diceva l‘uomo.
Marta, moglie di Vitale, tre figli, prima del matrimonio, era stata la zita di mio nonno Cosimo.
‘Ndolurata ‘a pisatura, abitava da sola in una casetta con cortiletto; il suo nomignolo misterioso era forse collegato all’azione della pisatura (battitura) del grano e dei cereali in genere, successivamente alla mietitura, mediante un maglio in legno, oppure a un’attività di pisatura (pesa pubblica) con bilance o bascule, espletata a beneficio dei compaesani.
Giorgio ‘u cacasiu, la moglie Peppi giunta da Andrano e quattro figli, seduto fuori dall’uscio nelle serate estive, durante i giochi di noi ragazzi, aveva l’abitudine di chiamarmi, dicendomi “senti, vieni qui, colomba tutta pura”, così, forse, copiando il passaggio di un canto religioso, evidentemente imparato a memoria, che, in una strofa, recitava:
Ti salutiamo o vergine,
colomba tutta pura,
nessuna creatura
è bella come te.
Prega per noi, Maria,
prega per i figli tuoi,
madre che tutto puoi
abbi di noi pietà.
Peppe ‘u tappa, o Peppe ‘u cardillu, era un anziano di bassa statura, sposato con Consiglia, tre figli. Buono e scherzoso, ogni tanto preso di mira da noi bambini, che gli cantavamo:
Zzumpa cardillu,
mmemzu sti fiuri,
zzumpa cardillu,
lalleru lallà. .
Cosimo maccarrune, vedovo di Elvira e risposato con Nena originaria di Castiglione, tre figlie, al contrario, si offendeva sentendosi appellare col nomignolo di maccarrune e, quindi, bisognava contenersi.
Tore ‘u torci o ‘u casinu, era ammogliato con ‘Ntogna (Antonia), nativa di Andrano, tre figli di cui il più piccolo, Vitale, mio compagno di scuola, nato a molta distanza dal fratello e dalla sorella più grandi, forse perciò eccessivamente mmammatu, cioè legato alla madre, addirittura pretendendo, sino all’età di cinque – sei anni, di attaccarsi al di lei seno.
Zia Amalia, vedova di Luigi ‘u Minicone, fratello a sua volta della mia nonna paterna Consiglia ‘u Minicone (quel soprannome, derivava da Domenico, loro genitore, un uomo molto alto), aveva nel cortiletto di casa uno stompu, grande parallelepipedo di pietra, scavato all’interno, dentro il quale, con una grossa mazza di legno, si frantumava il grano,
per, poi, poterlo cuocere in minestre.
Per la festa del Corpus Domini, alcune padrone di casa realizzavano, per devozione, l’altarino dell’Ariacorte, una specie di grande tenda o capanna di forma cubica, fatta di coperte ricamate e colorate e lenzuola, al cui interno, durante la processione per le vie del paese, il parroco si fermava ed esponeva il Santissimo Sacramento.
Rosaria ‘u fusu, era rimasta vedova con la responsabilità di una folta prole. Ricordo il matrimonio del primogenito Andrea, in un giorno d’inverno in cui a Marittima capitò una nevicata eccezionale e l’episodio in cui un altro giovane figlio, Vitale, rimase vittima di un incidente sul lavoro, procurandosi un taglio, forse mal curato, che generò un’infezione di tetano: urla, strilla e pianti, in accompagnamento alla corsa verso l’ospedale più vicino, da cui per fortuna l’interessato ritornò guarito.
*****
Così, verso il 1950.
Adesso, di quella Ariacorte, residuano pochissime tracce in senso demografico, le famiglie e le persone si contano sulla punta delle dita, per fortuna sono rimaste aperte tutte le case, in parte ristrutturate, però gli occupanti sono in larghissima maggioranza turisti forestieri che le aprono per brevi periodi, durante le vacanze estive o in occasione di altre fugaci puntate.
Ciononostante, per il ragazzo di ieri che vi è nato ed è autore delle presenti note, l’anima dell’Ariacorte non è cambiata, mantiene una sua intensità profonda e un po’ magica, fra le sue viuzze circola un venticello particolare, mentre in alto quasi sempre campeggia un cielo dal fondo d’intenso azzurro, esclusivo o appena inframmezzato da bianche nuvole: è questo miscuglio di connotazioni che, stamani, mi si è riaffacciato dinanzi alla mente e agli occhi.
È bello apprendere qualcosa di un bisnonno mai conosciuto (Trifone Mariano), padre di un nonno morto prima della mia nascita (Settimio Mariano) per aver ereditato da un paio d’anni da papà Luigi Mariano quella proprietà di cui lei parla ormai lasciata alla malora. Mi piacerebbe conoscere ancora della storia dei miei antenati di cui non conosco nulla.
Sara Mariano