di Armando Polito
Uno studio serio del passato, non esclusa neppure la sua parte mitica, dev’essere basato sulle fonti. Sembra essere un principio scontato, eppure ancora oggi il vizietto di manipolare le fonti, nel tentativo patetico di corroborare una propria tesi o con lo scopo altrettanto stupido di nobilitare un passato al quale si è sentimentalmente legati perché il caso ha voluto che lì nascessimo e crescessimo, continua imperterrito una lunga carriera iniziata probabilmente fin da quando l’uomo ha deciso di affiancare alla tradizione orale quella scritta. Così, mentre quella è esposta congenitamente ai rischi dell’equivoco interessato o meno, questa, quando non segue un metodo corretto e rigoroso, in parole povere scientifico, incorre nello stesso inconveniente. Il vizietto, dunque, non sorprende oggi come ieri, anche se non potrà mai aspirare a giustificazione alcuna. E, se all’Umanesimo e al Rinascimento dobbiamo il rinnovato interesse per il nostro più lontano passato, va ricordato pure che nacquero proprio allora alcune invenzioni che, in virtù del prestigio reale o presunto dell’inventore, passarono quasi passivamente di mano in mano fino a giungere ai nostri giorni; per non parlare, addirittura del secolo XVIII, che pure era ed è detto il secolo dei lumi, nel corso del quale si perpetrò la confezione di documenti falsi di ogni tipo spacciati per autentici.
Pe dare spessore concreto a questa banale considerazione prenderò in esame quattro dettagli di Porta Rudie a Lecce. Come già successo per una fabbrica di Nardò (https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/08/28/due-variazioni-sul-tema-a-nardo-e-a-s-maria-al-bagno/) l’ispirazione a scrivere questo post mi è stata data da una serie di foto, presenti nel suo album facebookiano, di Pietro Barrecchia, che qui ringrazio nel mentre mi scuso (che tipo che sono!) per essermi concesso di usarle senza nemmeno chiedergli il permesso.
Siamo in presenza di una presentazione in prima persona di altrettante figure mitiche, le cui sembianze sono raffigurate nel relativo busto alla base del quale è collocata la relativa epigrafe parlante. Si tratta (procedendo da destra a sinistra per chi guarda) di Lictio Idomeneo, Malennio, Dauno e Euippa/Evippa (chiarirò dopo il perché della doppia scrittura).
Dell’unica donna rappresentata parlerò alla fine, non per seguire l’ordine di presentazione che potrebbe essere, fra l’altro, interpretato come mancanza di cavalleria o, addirittura espressione di maschilismo, ma, al contrario, per darle rispetto ai maschietti quello spazio più grande il cui merito si può già intuire dal titolo.
Cominciamo, perciò, con Lictio Idomeneo.
CONIUGIO EUIPPAE QUAM CONDIDERAT SOCER URBEM OBTINUI ATQUE AUXI LICTIUS IDOMENEUS
Io Lictio Idomeneo grazie alle nozze con Euippa/Evippa ottenni e accrebbi la città che mio suocero aveva fondato
DAUNUS REX EGO FILIUS MALENNI SCEPTRO MILITIAEQUE LAUDE CLARUS
Io sono il re Dauno, figlio di Malennio, famoso per il potere e per la gloria militare
SUM REX ET URBIS CONDITOR MALENNIUS REGUM DASUMNI FILIUS SALIS NEPOS
Sono Malennio re e fondatore della città, figlio del re Dasumno e nipote del re Sale.
DAUNI EVIPPA SOROR FRATRIQUE SUPERSTES SITA FOEMINEA DIDICI STRINGERE SCEPTRA MANU
Io Euippa/Evippa, sorella di Dauno e rimasta superstite al fratello, imparai a stringere lo scettro con la mano di donna
Dopo questa presentazione preliminare segue una serie di schede contenenti ciascuna per ogni personaggio parlante (ma anche per quelli il cui nome compare nelle iscrizioni) le sole fonti autentiche superstiti, almeno fino ad ora e per quanto conosco:
LICTIO IDOMENEO
Virgilio (I secolo a. C.), Aeneis, III, 396-400: “Has autem terras Italique hanc litoris oram,/proxima quae nostri perfunditur aequoris aestu,/effuge; cuncta malis habitantur moenia Grais./Hic et Narycii posuerunt moenia Locri/et Sallentinos obsedit milite campos/Lyctius Idomeneus … (“Ma evita queste terre e questa spiaggia dell’italo litorale che vicina è bagnata dal flutto del nostro mare; tutte le mura sono abitate da Greci ostili. Qui i Locresi di Naricia posero le mura e il lictio [vedi più avanti il secondo brano di Servio] Idomeneo ha occupato con l’esercito i campi salentini …).
Servio (IV-V secolo d. C.), In Vergilii Aeneidos commentarii, III, 121: PULSUM REGNIS CESSISSE PATERNIS non dicit quare, sed talis historia est: Idomeneus de semine Deucalionis natu, Cretensium rex, cum post eversam Troiam reverteretur, in tempestate devovit sacrificaturum se de re, quae ei primum occurrisset. Contigit ut filius eius primum occurreret: quem cum, ut alii dicunt, immolasset, ut alii vero immolare voluisset, et post orta esset pestilentia a civibus pulsus regno Sallentinum Calabriae promunctorium tenuit, iuxta quod condidit civitatem ut “et Sallentinos obsedit milite campos Lyctius Idomemeus” (SCACCIATO SI ERA ALLONTANATO DAI REGNI PATERNI non dice perché, ma questa è la storia: Idomeneo, re dei Cretesi, nato dal sangue di Deucalione, mentre tornava dopo la distruzione di Troia, in mezzo ad una tempesta promise che avrebbe sacrificato quel che per primo gli fosse venuto incontro. Successe che per primo gli venisse incontro suo figlio; avendolo immolato, come dicono alcuni, o avendo manifestato la volontà di immolarlo, come dicono altri ed essendosi diffusa una pestilenza, cacciato dal regno dai cittadini, occupò il promontorio salentino della Calabria, presso il quale fondò una città come [dice Virgilio] “il lictio Idomeneo ha occupato con l’esercito i campi salentini”); III, 401: LYCTIUS IDOMENEUS a Lycto, Cretae civitate, unde propter dictam pulsum est causam (LICTIO IDOMENEO da Licto, città di Creta, da cui fu cacciato per la causa detta).
Guidone (XII secolo), Geographia, 28: Dehinc urbs Lictia Idomenei regis, de qua Vergilius “et Salentinos obsedit campos Lictius Idomeneus” (Poi la città di Lecce del re Idomeneo sulla quale Virgilio “e Lictio Idomeneo ha occupato con l’esercito i campi salentini).
MALENNIO e DASUMNO
Giulio Capitolino, uno dei sei autori della Storia Augusta (IV secolo d. C.), nella Vita di Marco Aurelio Antonino, I, 8: Cuius familia in originem recurrens a Numa probatur sanguinem trahere, ut Marius Maximus docet; item a rege Sallentino Malemnio, Dasumni filio, qui Lopias condidit (È provato che la sua [di Marco Aurelio Antonino] famiglia, risalendo alle origini, discendeva da Numa, come insegna Mario Massimo; parimenti dal re salentino Malennio, figlio di Dasumno, che fondò Lecce).
DAUNO/DAUNIO
Nicandro di Colofone (II secolo a. C.) in un frammento conservatoci da Antonino Liberale (II secolo d. C.), Μεταμορφόσεων συναγογή, XXXI: ΜΕΣΣΑΠΙΟΙ Ἱστορεῖ Νίκανδρος ὲτεροιουμνέων β’· Λικάονος τοῦ ἀυτόχθονος ἐγένοντο παῖδες Ἰάπυξ καὶ Δάυνιος καὶ Πευκέτιος. Οὗτοι λαὸν ἀθροίσαντες ἀφἱκοντο τῆς Ἰαλίας παρὰ τὴν Ἀδρίαν· ἐξελάσαντες δὲ τοὺς ἐνταυθοῖ οἰκοῦντας Αὔσονας αὐτοὶ καθιδρύθησαν. Ἦν δὲ τὸ πλέον αὐτοῖς τῆς στρατιᾶς ἔποικοι, Ἱλλίριοι, Μεσσάπιοι. Ἐπεὶ δὲ τὸν στρατὸν ἅμα καὶ τὴν γῆν ἐμέρισαν τριχῇ καὶ ὠνόμασαν ὡς ἑκάστοις ἡγεμόνος [ὄνομα] εἶχε Δαυνίους καὶ Πευκετίους καὶ Μεσσαπίους (MESSAPI Racconta Nicandro nel secondo libro delle Metamorfosi: I figli dell’autoctono Licaone furono Iapige, Daunio e Peucezio. Questi, raccolto un seguito, raggiunsero l’Italia sull’Adriatico; dopo aver cacciato gli Ausoni che vi abitavano, vi si stabilirono. La maggior parte del loro esercito era costituito da coloni, Illirici, Messapici. Poi divisero l’esercito in tre parti insieme con la terra e li chiamarono, secondo il nome di ciascun capo, Dauni, Peucezi e Messapi).
Antonino Liberale (II secolo d. C.), Μεταμορφόσεων συναγογή, XXXVII: ΔΩΡΙΕΙΣ Διομήδης μετὰ τὴν ἅλωσιν Ἰλίου παραγενόμενος εἰς Ἄργος Αἰγιάλειαν μὲν ἐμέμψατο τὴν γυναῖκα τὴν ἐαυτοῦ χάριν ἔργων Ἀφροδίτης, αὐτὸς δ’εἰς Καλυδῶνα τῆς Αἰτωλίας ἀφίκετο καὶ ἀνελὼν Ἂγριον καὶ τοὺς παῖδας Οἰνεῖ τῷ προπάτορι τὴν βασιλείαν ἀποδίδωσιν. Αὖτις δὲ πλέων εἰς Ἄργος ὑπὸ χειμῶνος εἰς τὸν Ἰόνιον ἐκφέρεται πόντον. Ἐπεὶ δὲ παραγενόμενον αὐτὸν ἔγνω Δαύνιος ὀ βασιλεὺς ὀ τῶν Δαυνίων, ἐδεἡθη τὸν πόλεμον αὐτῷ συμπολεμῆσαι πρὸς Μεσσαπίους ἐπὶ μέρει γῆς καὶ γάμῳ θυγατρὸς τῆς αὐτοῦ. Καὶ Διομήδης ὑποδέχεται τὸν λόγον (DORI Diomede dopo la presa di Ilio tornato ad Argo biasimò sua moglie Egialea per le corna che gli aveva messo, partì per Calidone di Etolia e dopo aver ucciso Agrio e i figli restituisce il regno al nonno Oineo. Di nuovo navigando verso Argo viene sospinto dalla tempesta nel mare Ionio. Quando Daunio re dei Dauni venne a conoscenza del suo arrivo gli chiese di combattere insieme con lui la guerra contro i Messapi in cambio di parte della terra e delle nozze con sua figlia. E Diomede accetta la proposta).
Orazio (I secolo a. C.), Carmina, IV, 14, 25-26: Sic tauriformis volvitur Aufidus, qui regna Dauni praefluit Apuli (Così scorre il tauriforme Aufido che bagna i regni dell’apulo Dauno).
Ovidio (I secolo a. C.-I secolo d. C.), Metamorphoseon libri, XIV, 510-512: “Vix equidem has sedes st Iapygis arida Dauni/arva gener teneo minima cum parte meorum”. Hactenus Oenides … (“Certamente a stento mantengo queste sedi e gli aridi campi dello Iapige Dauno io, suo suocero, con minima parte dei miei”. Fin qui [parlò] il nipote di Oineo …).
Festo (II secolo d. C.), frammento del De verborum significatu tramandatoci dall’epitome che ne fece Paolo Diacono (VIII secolo d. C.): Daunia Apulia appellatur a Dauno, Illyricae gentis claro viro, qui eam, propter domesticam seditionem excedens patria, occupavit (L’Apulia è chiamata daunia da Dauno, illustre uomo della gente illirica, che la occupò abbandonando la patria a causa di una guerra civile).
Servio (IV-V secolo d. C.), In Vergilii Aeneidos commentarii, VIII, 9: Diomedes postquam reperit ira Veneris a se vulneratae, uxorem apud Argos cum Cillabaro, ut Lucilius, vel Cometa, ut plerique tradunt, turpiter vivere, noluit revertere patriam; vel, ut dicitur, ab adulteris proturbatus. Sed tenuit partes Apuliae et edomita omni montis Gargani multitudine in eodem tractu civitates plurimas condidit. Nam et Beneventum et Aequum Tuticum ipse condidit at Arpos, quae et Argiripa dicitur, ad quam nunc Venulus mittitur: non Arpinum, quam constat esse Campaniae, unde Cicero Arpinas. Sane sciendum Apuliam uno dictam vocabulo, sed huius partem quam Diomedes tenuit, Messapiam et Peucetiam a duobus fratribus dictam, qui illic imperarent; item Dauniam, a Dauno rege Apuliae, a quo hunc Diomedem quidam hospitio receptum dicunt (Diomede dopo che apprese che a causa dell’ira di Venere da lui offesa sua moglie viveva turpemente presso Argo con Cillabaro, come Lucilio o Cometa, come molti tramandano, non volle tornare in patria; o, come si dice, turbato dall’adulterio. Ma occupò parti dell’Apulia e dopo aver domato tutta la popolazione del Gargano, fondò nel medesimo tratto moltissime città. Infatti egli fondò Benevento, Equo Tutico [nei pressi di Arano Irpino] e Arpi che è chiamata anche Argiripa, dove ora viene mandato Venulo [come ambasciatore perché convinca Diomede a schierarsi con Turno contro i troiani di Enea sbarcati nel lazio]: non Arpino che si sa appartenere alla Campania, donde Cicerone l’arpinate. Certamente bisogna sapere che l’Apulia è chiamata con un unico vocabolo ma che la sua parte occupata da Diomede fu chiamata Messapia e Peucezia da due fratelli che vi regnarono; allo stesso modo la Daunia da Dauno, re dell’Apulia, dal quale secondo alcuni questo Diomede fu accolto in ospitalità).
SALO
Questo personaggio non è attestato da nessuna fonte antica.
EUIPPA/EVIPPA
Partenio di Nicea (I secolo d. C.), Περὶ ἐρωτικῶν παϑημάτων, 3: ΠΕΡΙ ΕΥΙΠΠΗΣ Ἰστορεῖ Σοφοκλῆς Εὐρυάλῳ Οὐ μόνον δ’ Ὀδυσσεὺς περὶ Αἴολον ἐξήμαρτεν, ἀλλὰ καὶ μετὰ τὴν ἄλην. ὡς τοὺς μνηστῆρας ἐφόνευσεν, εἰς Ἤπειρον ἐλθὼν χρηστηρίων τινῶν ἔνεκα, τὴν Τυρίμμα θυγατέρα ἔφθειρεν Εὐίππην, ὅς αὐτὸν οἰκείως θ’ὑπεδέξατο καὶ μετὰ πάσης προθυμίας ἐξένισε (Intorno ad Euippa/Evippa racconta Sofocle nell’Eurialo1: Ulisse non solo peccò nei confronti di Eolo ma anche dopo un lungo errare dopo aver ucciso i Proci, essendo giunto in Epiro per consultare alcuni oracoli, sedusse Euippe/Euippe figlia di Tirimma, che l’aveva accolto familiarmente e l’aveva degnato di un’ospitalità squisita).
Senofonte Efesio (II-III secolo d. C.), Τῶν κατὰ Ἀντίαν καὶ Ἀβροκόμην ἐφεσιακῶν βιβλία, I, 2, 5: Ἑκάστη δὲ αὐτῶν οὕτως ὡς πρὸς ἐραστὴν ἐκεκόσμητο. Ἤρχε δὲ τῆς τῶν παρθένων τάξεως Ἀνθία, θυγάτηρ Μεγαμήδους καὶ Εὐίππης, ἐγχωρίων (Ciascuna di loro così si preparava per il pretendente. Dava inizio alla schiera delle fanciulle del luogo Anzìa, figlia di Megamedo e Euippe/Evippe).
Stefano di Bisanzio (V-VI secolo d. C.), Ἐθνικά, alla voce Εὐίππη: Εὐίππη δῆμος Καρίας. Ὁ οἰκήτωρ Εὐιππεύς (Euippe/Evippe, regione della Caria. L’abitante si chiama Euippeo/Evippeo).
Macedonio di Tessalonica (VI secolo d. C.), Antologia Palatina, V, 229: Τὴν Νιόβην κλαίουσαν ἰδών ποτε βουκόλος ἀνὴρ/θάμβεεν, εἰ λείβειν δάκρυον οἶδε λίθος·/αὐτὰρ ἐμὲ στενάχοντα τόσης κατὰ νυκτὸς ὁμίχλην/ἔμπνοος Εὐίππης οὐκ ἐλέαιρε λίθος./Αἴτιος ἀμφοτέροισιν ἔρως, ὀχετηγὸς ἀνίης/τῇ Νιόβῃ τεκέων, αὐτὰρ ἐμοὶ παθέων (Un bovaro avendo visto per caso Niobe che piangeva si meravigliò che una pietra sapesse stillare una lacrima; ma Euippe, che è viva, come una pietra non aveva compassione di me che gemevo attraverso le tenebre di una notte tanto lunga. Causa per entrambi era l’amore, fonte di dispiacere per Niobe a causa dei figli, ma per me a causa del sentimento non corrisposto).
Giovanni Tzetzes (XII secolo d. C.), Πρόθεσις τοῦ Ομήρου, vv. 586, 589 (in P. Matranga, Anecdota graeca e manuscriptis bbliothecis Vaticana, Angelica, Barberiniana, Vallicelliana, Medicea, Vindobonensi, Bertinelli, Roma, 1801, pag. 20): Τῶν Κρητικῶν δὲ πόλεων τῶν ἑκατὸν ἐκράτουν/Ἰδομενεὺς, συνάμα δὲ τούτῳ καὶ Μηριόνης·/ὁ μὴν τοῦ Δευκαλίωνος ὑιὸς καὶ Κλεοπάτρας,/ὁ Μηριόνης δὲ ὑιὸς Εὐίππης καὶ τοῦ Μόλου (Idomeneo regnava su cento città cretesi, insieme con lui anche Merione; uno figlio di Deucalione e di Cleopatra, Merione figlio di Euippe/Evippe e di Molo)
Escludendo Stefano (in cui Euippe/Evippe è un toponimo) nonché Senofonte Efesio e Macedonio (le loro Euippe/Evippe sono, semplicemente due delle tante protagoniste ricorrenti nel tipico genere del romanzo amoroso) rimane l’Euippe/Evippe di Tzetzes; essa, però, non può essere la nostra (presumibilmente di una generazione più vecchia rispetto ad Idomeneo e, oltretutto, moglie di Molo) ma può aver dato ispirazione a qualcuno …
Da dove, allora, salta fuori la nostra Euippe/Evippe ? E chi sarebbe questo qualcuno? Legittima curiosità che passo a soddisfare.
Antonio Beatillo in Historia della vita, morte, miracoli e Traslatione di S. Irene da Tessalonica Vergine e Martire, Patrona della Città di Lecce in Terra d’Otranto, Longo, Napoli, 1609, (il volume è leggibile e scaricabile integralmente in http://books.google.it/books?id=M2hUD3qKhh0C&pg=PA66&dq=euippa&hl=it&sa=X&ei=-KJjU8GaIczY0QXh84CABQ&ved=0CDIQ6AEwAA#v=onepage&q=euippa&f=false) alle pagg. 62-63: Pose nel suo palazzo Idomeneo un gran marmo con un bell’Epigramma, che dava conto, come in quel luogo particolare havea egli habitato. Ma col tempo, distruggitore di tutte le cose, andò anche a rovina la detta Reggia, e doppo un gran numero d’anni per segno delle cose passate, fu trovato sotterra nel medesimo luogo il marmo, sì fattamente però consumato, che a pena se ne potè cavare il costrutto. Per lo che rescrivendo i Leccesi latinamente in un’[sic] altro gran marmo, quanto ivi stava in altra lingua, diedero conto a i posteri di tutto il successo. Questo marmo secondo fu ancor esso col tempo nelle rovine de gli antichi edificij della Città sepolto, e ritrovato poi ultimamente vicino alla porta di San Giusto, quando si cavarono i fondamenti dell’accennato Monastero. I versi che vi stavano intagliati, sono i seguenti.
Ut marmor docuit hic olim fortè repertum,
victori Idomeneo fuerat iam regia quodam
Hic, ubi fundaras nostram Malennius Urbem.
Victori, haud quod marte suo superasset, et armis
hos Salentinos fortes, Iapigumque sodales;
victus nam illis ad Locros confugit amicos;
sed quod coniugio sibi iuncta Euippa potentis
filia Malenni Dasummique inclita neptis
proneptisque Salis, Dauni soror unica, et haeres
nomine dotis ei dedit haec fortissima regna,
quae nullo ille prius poterat convellere ferro.
(Come insegnò un marmo qui da tempo trovato, il vincitore Idomeneo aveva avuto qui un tempo la reggia, quando Malennio aveva fondato la nostra città. Vincitore non perché con la guerra e le armi aveva vinto questi forti Salentini, alleati degli Iapigi; infatti vinto da loro si rifugiò presso l’amica Locri, ma poiché Euippa/Evippa, figlia del potente Malennio, illustre nipote di Dasummo unita a lui in matrimonio e pronipote di Sale, unica sorella di Dauno ed erede, a titolo di dote gli donò questi fortissimi regni che egli prima non aveva potuto abbattere con nessuna guerra).
Dopo aver parlato di questa epigrafe il Beatillo si avventura in un’arzigogolata ricostruzione genealogica e a pag. 66 si legge: Deucalione secondo generò Heleno, come a pieno lo riferisce Diodoro Siculo al quarto libro, dove anche afferma, che il mentionato Heleno produsse Doro, e quati Tettamo, qual gito a Creta con alcune colonie de Pelasgi, prese per moglie la figliuola di Creto Rè dell’Isola, che Creta si domandava [sic], e da essa generò Asterio, chiamato altramente per i suoi boni costumi Giove, dal qual nacque il Rè Minos Padre, tra gli altri figli, di Licato, e di Sale. Di Licasto l’accenna tra gli altri Diodoro Siculo al quarto; ma di Sale lo giudicamo noi, per esser che fu egli figliuolo di un Rè di Creta, e tante generationi si contano da Licasto ad Idomeneo, qual fu consorte di Euippa Regina de’ Salentini, quante ne furon da Sale alla medesima Euippa.
E a margine, sempre a stampa, Diodoro Siculo li. 4 c. 7 e Natale Comite, Della mitologia, li. 8 c. 17. Va detto subito che nei passi citati di Diodoro Siculo (I secolo a. C.), ma anche nel resto della sua opera, e di Natale Comite (XVI secolo) i nomi Euippa e Sale non compaiono, nemmeno una volta.
Le informazioni del Beatillo (testo di riferimento, secondo me, per le scelte iconografiche e epigrafiche dei dettagli del monumento qui in esame) saranno passivamente riprese (più o meno un plagio) da Enrico Bacco Alemanno, Nuova e perfettissima descrittione del Regno di Napoli, Scoriggio, Napoli, 1629, pag. 158 e da Casimiro di S. Maria Maddalena, Cronica della Provincia de’ Minori Osservanti Scalzi di San Pietro d’Alcantara nel Regno di Napoli, Stefano Abbate, Napoli, 1729, pp. 53-54). Tuttavia va detto che il padre della nostra Euippa/Evippa probabilmente non è il Beatillo.
Nell’Apologia paradossica di Antonio Ferrari (1507-1598) uscita postuma (cito dalla seconda edizione, Mazzei, Lecce, 1728, pag. 81; il volume è interamente consultabile e scaricabile in https://archive.org/details/apologiaparadoss00ferr) si legge: Servio grammatico è d’opinione, che li Salentini sono così dinominati da i patti, che fecero sul lido loro con Idomeneo sopra il salo, cioè sul mare, quando s’accordarono col Re Idomeneo di darli per moglie la loro Reina Euippa/Evippa [lo stesso carattere u è utilizzato anche per v], e di ricever lui per Re, e per amplificatore della loro Città Lecce, e i suoi Lizj per compagni della Città.
Chiunque legga questo passo è indotto a credere che il nome Euippa/Evippa sarebbe attestato dal grammatico Servio (IV secolo d. C.). Intanto va detto che il passo ricordato dal Ferrari si legge non in Servio ma in un commento al verso 31 della sesta ecloga. Tale commento era in passato attribuito a Probo (grammatico del I-II secolo d. C.), oggi non più e viene considerato come risalente ad un autore del V secolo d. C. che nei manoscritti reca il nome di Probo e che oggi è indicato perciò con il nome di Pseudo Probo. Ne riporto il testo dall’edizione a cura di Henric Keil, M. Valerii Probi in Vergilii Bucolica et Georgica commentarius, Sumptibus Eduardi Anton, Halis, 1848, pp. 14-15: Idem Vergilius in tertio Aeneidos ubi primum Italiam, quo auspicati sunt, ac templum in arce Minervae accesserint, quod est oppidum Minervae sacrum, unde nomen castrum Minervae habet, conditum ab Idomemeo et Salentinis. De qua re haec tradit Varro, qui sit Menippeus non a magistro, cuius aetas longe praecesserat, nominatus, sed a societate ingenii, quod in quoque omnigeno carmine satiras suas expoliverat. In tertio Rerum humanarum refert: Gentis Salentinae nomen tribus e locis fertur coaluisse, e Creta, Illyrico, Italia. Idomeneus e Creta oppido Blanda pulsus per seditionem bello Magnensium cum grandi manu ad regem Divitium ad Illyricum venit. Ab eo item accepta manu cum Locrensibus plerisque profugis in mari coniunctus per similem causam amicitiaque sociatis Locros appulit. Vacuata eo metu urbe ibidem possedit, aliquot oppida condidit, in queis Uria et Castrum Minervae nobilissimum. In tres partes divisa copia in populos duodecim. Salentini dicti, quod in salo amicitiam fecerint (La stessa cosa dice Virgilio nel terzo libro dell’Eneide quando per la prima volta, conformemente agli auspici tratti, si sarebbero accostati all’Italia e al tempio sulla rocca di Minerva, che è una città sacra a Minerva, donde ha il nome di Castrum Minervae, fondata da Idomeneo e dai Salentini. Su questo tramanda quanto segue Varrone che sarebbe chiamato Menippeo non dal maestro, i cui tempi l’avevano di gran lunga preceduto, ma dal comune ingegno, poiché in ciascun canto di qualsivoglia genere aveva raffinato le sue satire. Nel terzo (libro) de I fatti umani riferisce: Si dice che Il nome della gente salentina si sia formato dalle combinazione di tre luoghi: da Creta, dall’Illirico, dall’Italia. Idomeneo, cacciato da Creta dalla città di Blanda per una sedizione durante la guerra contro i Magnensi, venne con un grande esercito nell’Illirico presso il re Divizio. Dopo aver ricevuto pure da lui un esercito, unitosi in mare con i Locresi e parecchi profughi accomunati da un progetto simile e dall’amicizia, approdò a Locri. Dopo che la città per la paura era stata evacuata lì se ne impadronì e fondò parecchie città tra cui Uria e la famosissima Castrum Minervae. L’esercito fu diviso in tre parti e in dodici popoli. Furono detti Salentini perché avevano fatto amicizia in mare).
Di Euippa/Evippa neppure l’ombra. Ma c’è di più: il lettore avrà notato che lo Pseudo Probo cita Varrone (II-I secolo a. C.), sicché il Ferrari con la sua confusione tra Servio (IV secolo d. C.) e Probo (sia esso l’autentico o lo Pseudo) si è lasciato sfuggire l’occasione di nobilitare le origini di Lecce con una patina testimoniale di maggiore antichità. Ne approfitto per ricordare, a proposito dell’amicizia in mare, un frammento di Festo (II secolo d. C.) tramandatoci dall’epitome che del De verborum significatione fece Paolo Diacono (VIII secolo d. C.): Salentini a salo sunt appellati (I Salentini sono così chiamati dal mare).
Dopo questa lunga digressione sulle inesattezze del Ferrari va detto che nemmeno lui potrebbe essere il padre di Euippa/Evippa. E chi allora?
Nell’opera postuma di Girolamo Marciano (1571-1628), Descrizione, origine e successi della Provincia d’Otranto, Stamperia dell’Iride, Napoli, 1855, a pag. 56 (il volume è interamente consultabile e scaricabile in http://books.google.it/books?id=BE1lT3u1Ua4C&printsec=frontcover&dq=girolamo+marciano&hl=it&sa=X&ei=capnU7HYOdLY0QWcoIHQBg&ved=0CDcQ6AEwAQ#v=onepage&q=girolamo%20marciano&f=false) si legge: Narra la venuta di Diomede nell’Apulia Sileno Chio, così dicendo: “Essendo ritornato Diomede figliuolo di Tideo e di Deifile nella patria dopo la guerra troiana, è fama che per vendetta della ferita che aveva fatta agli dei Marte e Venere, la sua moglie Egialea, fosse stata agitata da incredibile desiderio, e quasi da un certo furioso amore verso Cometa figliuolo di Stenelo, o di Cillibari, come altri dicono. Però ritornando a casa ritrovò di tal modo la moglie infiammata nell’amore di quello, che poco mancò che non fosse stato ucciso da essa Egialea, essendosi appena salvato all’altare di Giunone Argiva. Preso allora da disperazione, passò in Italia ai popoli detti Dauni, ai quali a que’ dì signoreggiava il re Dauno. Or avvenne che in quel tempo Dauno stava assediato da’ suoi, ed inteso il valore e la fortezza di Diomede poco prima in Italia arrivato, mandò a pregarlo che in quella necessità gli desse aiuto, promettendogli in rimunerazione di tanto beneficio donargli parte del suo regno. Ed essendo egli andato in aiuto ai Dauni, ed avendo per quelli conseguita la vittoria, edificò la città chiamata Argirippa, che stabilì per sua reggia. Dauno volendosi dopo dimostrare non dimentichevole di tanto beneficio, propose e concesse a Diomede che a suo arbitrio eleggesse s’egli voleva accettare tutta la preda fatta , o tutta la regione tolta al nemico. Non volle Diomede scegliere né l’una né l’altra cosa; e Dauno desiderando soddisfarlo con altro dono sufficiente degno della sua magnificenza, ne fe’ giudice Altero fratello spurio di Diomede. Ma perché Altero erasi invaghito di Evippa sorella di Dauno e volle compiacere ad esso Dauno, aggiudicò il paese a Dauno, e comandò che la preda si desse a Diomede. È fama che di quel giudizio si sdegnasse Diomede…” … Leonzio Tomeo nella sua Varia Storia narra quasi lo stesso, poco variando con queste parole: ”Diomede dopo distrutta Troja ritornando in Argo, avendo appena potuto scampare da’ tradimenti e dalle violenze della moglie Egialea, la quale disonestamente erasi congiunta con Cometa figliuolo di Stenelo, ed essendo anche fuggito nel tempio di Giunone Argiva, posta in ordine una nave, e presi seco molti compagni, dicono aver abbandonato la patria; e passato in Italia; giunse a caso nella regione degli Japigi detti Dauni da Dauno loro re. Il quale Dauno trovavasi allora in gran pericolo, essendo assediato ed oppresso da nemici convicini. È fama essere stato Diomede allettato in guida da Dauno che gli promise parte del suo regno. Ed avendo Diomede superati col suo esercito i nemici di Dauno, chiese dopo la promessa fattagli; ma Dauno non volle dargli parte della regione, come aveva promesso, ma solamente la preda guadagnata su’ nemici nella guerra. Onde messasi la cosa in controversia, volle Dauno che ne fosse arbitro Altero, fratello spurio di Diomede, col consenso però di esso Diomede. Dicesi che Altero profferì la sentenza in favore di Dauno, perciocché sommamente amava Evippa, sorella di esso Dauno. Per la qual cosa adirato Diomede, dicono aver pregato gli dei che le terre …”.
Il lettore deve sapere che il volume del Morciano reca in sottotitolo con aggiunte del filosofo e medico Domenico Tommaso Albanese di Oria, per cui non saprei chi sia il giusto destinatario del rimprovero che ho il dovere di esprimere perché di Sileno Chio abbiamo solo la notizia che di lui ci dà Giovanni Tzetzes (XII secolo) in uno scolio al verso 786 di Licofrone: Σειληνὸς δὲ ὁ Χῑος ὲν δευτέρῳ τῶν Μυθικῶν ἱστοριῶν, δύο δὲ γέγραφε βιβλία, φησὶν Ἀντίκλειαν εἶναι τὴν Ὀδυσσέως μητήρα … (Sileno Chio nel secondo libro di Racconti mitici, scrisse due libri, dice che Anticlea era la madre di Ulisse …) e anche se fosse stato confuso con lo storico Sileno di Calatte va detto che di quest’ultimo ci sono rimasti solo pochi e brevi frammenti (nei quali non compare, comunque, nessuno dei nostri personaggi) e sarebbe di per sé strano che il pezzo citato in traduzione fosse così lungo. Le stesse osservazioni valgono pure per Leonzio Tomeo.
Alla fine di questo intricato e sofferto excursus se penso che Εὐίππη (di cui Euippa/Evippa appare trascrizione-adattamento latino) ha il suo corrispondente maschile in Εὔιππος (leggi Èuippos) (Iliade, XVI, 417), che questo è dal maschile dell’aggettivo εὔιππος/εὔιππον (leggi èuippos/èuippon) composto dall’avverbio εὖ (leggi eu)=bene e da ἵππος (leggi ippos)=cavallo, con i significati: dai bei cavalli, rinomato per i cavalli (detto di luoghi), che ha bei cavalli, abile a cavalcare (riferito a persona), come faccio a non sospettare che il nome della nostra regina non sia un’invenzione tardo-rinascimentale, per quanto abile, che sfrutta pure la suggestione del virgiliano At Messapus equum domitor Neptunia proles (Messapo domatore di cavalli discendente di NetTuno) del v. 691 del libro VII dell’Eneide?
Rimane da spiegare Euippa/Evippa. Lo farò con un esempio in cui si verifica lo stesso fenomeno: l’italiano Euergète/Evergète (soprannome di parecchi re del mondo grecofono) deriva direttamente, come mostra il suo accento, dal greco Εὐεργέτης (leggi Euerghètes), mentre in latino è Euèrgetes e la parola è sdrucciola perché la penultima sillaba (ge), essendo la trascrizione del greco γε (in cui ε è una vocale breve per natura), è breve. Εὐεργέτης significa benefattore ed è composto da εὖ, che abbiamo visto pure come primo componente di Εὐίππη, e da ἔργον (leggi ergon)=opera. Il passaggio, poi, u>v è di natura eufonica, per evitare, cioè, l’incontro fra tre vocali, tant’è vero che ciò non avviene quando eu– è seguito da consonante (eufemismo, euforia , etc. etc.). Per concludere questa parte: se volessimo restare fedeli alla forma originale dovremmo dire Euippa.
E a proposito di Euippa e di suo marito faccio notare come i due coniugi regali sono gli unici a presentarsi con due distici elegiaci perfetti:
CONIUGI|O EUIP|PAE||QUAM| CONDIDE|RAT SOCER | URBEM
OBTINU|I ATQUE AU|XI || LICTIUS|IDOME|NEUS
DAUNI E|VIPPA SO|ROR || FRA|TRIQUE SU|PERSTES|SITA
FOEMINE|A DIDI|CI || STRINGERE | SCEPTRA MA | NU
Per concludere definitivamente, invece, noto come la disposizione dei personaggi mi appare perfetta: il “presente” (i due sovrani) agli estremi opposti (a sinistra Euippa, a destra Lictio Idomeneo) e al centro, sempre partendo da sinistra, il “passato” (Dauno e Malennio). Più complicato sarebbe stato fare lo stesso su una superficie orizzontale, quale può essere un asse viario; infatti, mentre via Malennio, via Dasumno e via Euippa (io, comunque, avrei scambiato di posto Dasumno con Malennio) si fanno reciprocamente compagnia, Lictio Idomeneo (privato pure del Lictio …) con la sua via sta a debita distanza, come se restasse un estraneo alla famiglia; per non parlare, poi, del povero Dauno, al quale non mi risulta sia stato intitolato almeno un tratturo. In compenso Euippa ha avuto un replica di onoranza allusiva all’etimo del suo nome in Vicolo Cavallerizza …
1 Fa parte delle tragedie perdute.
Grazie per l’ottimo report, completo e impeccabile come sempre.
Saluti
una certa Dasumia Polla moglie di Domitius Calvisius era madre di P. Domitius Calvisius Tullus nonno materno dell’ imperatore Marcus Annius Verus Catilius detto M. Aurelio.
Dasumia Polla appartenente alla gens Dasumia (= Dasimia) ha chiari riferimenti con il nome calabro Dazimas reso in latino appunto Dasimius (z=>s, -as->-us)
Senza scomodare personaggi illustri, Dasumius e Dasumia, Dasimius e Dasimia hanno un’ampia attestazione epigrafica. Nessuna testimonianza, invece, sempre epigrafica, per Dasumnus/Dasumna.