di Paolo Vincenti
La prima festa che si tiene a Gallipoli è quella dell’Addolorata. A celebrare l’Addolorata è la confraternita di Santa Maria del Monte Carmelo e della Misericordia. Questa festa ricorda i sette dolori di Maria, nel venerdi precedente la Domenica delle Palme. A mezzogiorno in punto, la statua della Vergine esce dalla sua chiesa per recarsi in Cattedrale e, durante il rito religioso, viene suonato l’Oratorio Sacro. Fra questi, lo Stabat Mater, la cui musica venne composta dal gallipolino Giovanni Monticchio, verso la fine dell’Ottocento: sette terzine, come i sette dolori di Maria, estrapolate dall’opera di Jacopone da Todi. Secondo Cosimo Perrone, studioso di storia locale, l’interpretazione dell’Oratorio Sacro, a Gallipoli, risale al 1697 e fu introdotto dal maestro Fortunato Bonaventura ed eseguito per la prima volta tra il 1733 e il 1740, nella chiesa delle Anime.
Come Oratorio Sacro sono conosciuti anche il Mater Dolorosa, opera del maestro Francesco Luigi Bianco del 1886 e Una turba di gente, dello stesso maestro Bianco su testo di Giovanni Santoro. E’ tradizione, in questo giorno, che le donne recitino mille Ave Maria.
La statua lignea della Madonna è vestita di nero, con veste trapuntata di ricami dorati e una corona d’argento le sormonta il capo, ricoperto da un lungo velo fino alle spalle. Fino a qualche anno fa, la statua veniva vestita dalla nobile famiglia dei Ravenna, nella cappella privata del proprio palazzo, per un antico privilegio di cui godeva questa famiglia.
La Domenica delle Palme si ricorda l’ingresso festante di Gesù a Nazareth, accolto da moltitudine di rametti di ulivo sventolanti al cielo.
Il Mercoledì Santo, vi è la tradizione della vestizione delle Addolorate, da parte di alcune confraternite come, in primis, quella della Misericordia. Vi sono numerose statue dell’Addolorata a Gallipoli e per l’esattezza: quella dell’Oratorio di San Luigi, quella dell’Oratorio di San Giuseppe, quella dell’Oratorio del Rosario, l’Addolorata dell’Oratorio dell’Immacolata, quella dell’Oratorio di Santa Maria degli Angeli, la Vergine del Suffragio dell’Oratorio delle Anime, l’Addolorata della Cattedrale, quella dell’Oratorio di Santa Maria del Cassopo, dell’Oratorio del Ss.Crocifisso, la Desolata dell’Oratorio di Santa Maria della Purità, l’Addolorata dell’Oratorio del Carmine e un’altra lignea sempre dell’Oratorio del Carmine.
Il Giovedì Santo è il giorno dedicato ai Sepolcri. In realtà, in questo giorno si ricorda l’istituzione del Sacro Mistero dell’Eucarestia e durante la Messa, in Coena Domini, che si tiene la sera, viene rievocata l’Ultima Cena di Cristo con gli Apostoli. Al termine della messa, le sacre ostie vengono esposte su un altare addobbato per l’occasione, in modo da poter essere adorate dai fedeli fino all’indomani pomeriggio. E’ tradizione portare sull’altare fiori e piatti di grano fatto germogliare al buio. Questo grano, che adorna l’altare della Reposizione, è stato fatto germogliare dalla quarta, quinta domenica di Quaresima fino al Mercoledì Santo, in una stanza buia, e viene offerto simbolicamente a Cristo, che, chiuso nel buio dell’Urna, risorgerà come il grano nella luce.
Come informa Luigi Tricarico in “Te le “Cennereddhe”… a Pasca” ( Santuario Santa Maria del Canneto, 2004), fonte preziosissima per questo articolo, in passato, a partire da questo momento, le campane venivano legate in segno di lutto ed era vietato anche ridere, scherzare o cantare per strada in segno di rispetto per Cristo morto. La sera viene fatta visita ai Sette Sepolcri, sia dai fedeli che dalle varie Confraternite cittadine. Queste sono annunciate da tromba, tamburo rullante e trozzula e procedono a passo lento e in orari distinti a visitare i Sepolcri. I confratelli indossano il saio, la mozzetta e il cappuccio completamente calato sulla faccia per mantenere l’anonimato e sono chiamati per questo, Mai, una sorta di sincope della parola mago. Come riferisce Cosimo Perrone, questo rito ebbe inizio a Gallipoli nella prima metà del Settecento, ad opera, probabilmente, della confraternita di San Giovanni Battista, ora scomparsa, nella chiesetta dove oggi si venerano i Santi Cosma e Damiano. Per la visita ai Sepolcri, alcune confraternite, come quella dei Cassopi, cioè di Santa Maria della Neve, hanno lo speciale privilegio di indossare cappello e bordone da pellegrino.
A Gallipoli ci sono molte confraternite, ognuna contraddistinta da propri colori e privilegi ottenuti, come la confraternita della Misericordia, di Santa Maria del Rosario, di Santa Maria della Neve o del Cassopo, di San Giuseppe, del Ss.Sacramento e del Canneto, dell’Immacolata Concezione, della Ss. Trinità e delle Anime del Purgatorio. Esse derivano dalle medievali corporazioni delle arti e mestieri e vanno dai muratori ai sarti, dai pescatori agli scaricatori di porto, o bastagi, dai fabbri ai falegnami, ecc. Ognuna ha una chiesa propria e una propria divisa ma solo tre confraternite possono aggiungere al saio, alla mozzetta e al cappuccio, il cappello a larghe tese e il bordone da pellegrino: quella di Santa Maria della Neve e San Francesco da Paola, quella della Misericordia e quella della Santissima Trinità. I confratelli, in coppie di due, portano la Croce dei Misteri. Quando, nella visita ai Sepolcri, succede che due coppie di confratelli diversi si incontrano, il diritto di passare spetta alla confraternita più antica e l’incontro fra le due confraternite viene detto Ssuppiju, termine dialettale con cui si indica l’andare incontro di una confraternita ad un’altra. Oggi, questo particolare rito si verifica soltanto nella processione della Tomba di Cristo e della Desolata.
Il Venerdi Santo si celebra la Messa sciarrata, cioè errata, sbagliata, perché esce fuori dai canoni liturgici, quasi che il sacerdote, colpito e frastornato dal lutto, non si ricordasse più come celebrarla. La processione del Venerdi Santo è anche detta Te l’Urnia e viene organizzata dalla confraternita del Crocefisso, a cui appartengono i bottai, che hanno l’abito rosso, la mozzetta celeste e una corona di spine sulla testa e che portano i Misteri della Passione di Cristo, e da quella degli Angeli, i cui appartenenti, i pescatori, indossano l’abito bianco e la mozzetta celeste e portano la statua della Madonna Addolorata. Questa processione si ferma davanti al parapetto che si affaccia sul mare, presso il bastione di San Francesco di Paola e da qui la Vergine dà la sua benedizione ai pescatori, che ringraziano suonando le sirene delle loro imbarcazioni; e poi si prosegue fino all’arrivo in chiesa, intorno alle 24. In questa processione, ricca di fascino, si trovano i Penitenti, cioè confratelli che, per espiazione dei peccati, si autoflagellano ad imitazione di Cristo.
Questi anonimi penitenti utilizzano per questo rito, che affonda le sue radici nel Medioevo, alcuni speciali strumenti, come la tisciplina, che consiste in alcune lamine di ferro di varia grandezza con cui il penitente incappucciato e a piedi scalzi si percuote con la mano sinistra, mentre tiene nella mano destra un crocefisso; un altro strumento di tortura è la mazzara, o zavorra, cioè due grosse pietre legate ad una corda che il penitente si appende al collo come punizione corporale, e poi la Croce, i cui portatori sono detti Crociferi.
Molto lunga e laboriosa è la preparazione dell’Urnia, cioè della Tomba di Cristo, che deve essere portata in processione: poche ore prima della processione del Venerdi Santo, vengono cosparse sulla Tomba delle gocce di una essenza profumata che richiama gli odori tipici della vegetazione medio-orientale, e alcuni confratelli particolarmente devoti fanno arrivare questo profumo addirittura dalla Terra Santa.
Molte sono le statue del Cristo Morto e tutte bellissime: il Cristo Morto della confraternita del Crocefisso, quello della confraternita di Santa Maria degli Angeli, quello ligneo della chiesa di San Francesco D’Assisi, opera dell’artista spagnolo Diego Villeros, del 1600; quello della confraternita di Santa Maria del Monte Carmelo e della Misericordia, quello della confraternita di Maria Ss. Della Purità, che è racchiuso in un’urna dorata; inoltre, il Cristo Morto con l’Addolorata della confraternita di Santa Maria della Neve o del Cassopo.
Le confraternite del Carmine, della Purità, di San Giuseppe, dell’Immacolata allestiscono anche il Mistero della Deposizione, comunemente chiamato Calvario, esponendo le statue dell’Addolorata e del Cristo Morto all’adorazione dei fedeli. Ma Calvari e Ultime Cene vengono allestiti anche nelle case dei privati e si possono ammirare, soprattutto a Gallipoli Vecchia, durante il pellegrinaggio dei Sepolcri o durante la processione del Venerdi Santo. Molte famiglie, infatti, posseggono proprie statue inerenti la Passione, anche a grandezza naturale, che abbelliscono con fiori, ceri e grano germogliato al buio. Durante la processione della Tomba, aperta dal suono della trozzula, strumento che sostituisce il suono delle campane fino al Sabato Santo, quando, durante la solenne veglia pasquale, scàpolane le campane, i confratelli si dispongono in tre coppie per ogni statua più un Correttore, senza cappuccio, che disciplina l’andamento della processione e tiene in mano un bastone di legno che reca scolpito in cima il simbolo della statua che accompagna.
I confratelli, sul cappuccio, portano la corona di spine. Questa è fatta con una pianta selvatica di asparago, raccolta in campagna le ultime settimane di Quaresima e viene chiamata sparacine o spine te Cristu. Tra i confratelli, uno ha in mano il bastoncino, un bastone più piccolo degli altri che è una delle più alte cariche della confraternita, dopo il priore.
Altri simboli della processione sono: i Lampioni, portati da quattro confratelli incappucciati, che sono un elemento caratteristico della Settimana Santa gallipolina e che sostituiscono, nella processione del Venerdi Santo, il cosiddetto Pannone, cioè la lunga asta drappeggiata con i colori della confraternita che apre le processioni ordinarie; la Croce dei Misteri, che compare durante la processione dell’Addolorata, viene portata anche durante la visita ai Sepolcri da un confratello incappucciato ed è una croce molto particolare che reca in sé tutti i simboli della Passione e Morte di Cristo, come la lancia che ferì il costato, la tenaglia, il boccale pieno di fiele, l’amaro calice bevuto nell’Orto degli Ulivi, il sudario, la corona di spine, la mano che simboleggia gli schiaffi dati a Cristo dal centurione romano, la scritta INRI apposta sulla Croce, il gallo, che rimanda al tradimento di Pietro, il martello, i chiodi, la colonna della flagellazione, la scala, la canna con la spugna imbevuta di aceto, i dadi, la tunica rossa tirata a sorte dai soldati, la sacca con i trenta denari del tradimento di Giuda e la lanterna, che simboleggia il lume portato dai soldati del Sinedrio quando andarono ad arrestare Gesù nell’Orto degli Ulivi; molto belli sono anche la veste riccamente decorata della Madonna Addolorata, il fazzoletto e il cuore trafitto della Desolata.
Nel pomeriggio, nella chiesa di Maria Ss. della Purità viene allestita la Deposizione. Il Mistero viene aperto all’adorazione del pubblico a partire dalle ore 15 fino a mezzanotte, quando la chiesa viene chiusa per consentire la preparazione della processione di Cristo Morto e della Desolata che, di li a poco, comincerà.
La processione della Tomba si snoda per le strade del paese fino a mezzanotte. A processione terminata, ai confratelli vengono distribuite le tradizionali pagnotte, panini conditi con tonno e capperi, a devozione della Passione di Cristo. Dopo tre ore, ha inizio la processione della Desolata. La città è ancora avvolta nel buio della notte, quando questa suggestiva processione prende l’avvio nel suono lacerante della tromba e del tamburo, dalla chiesa di Santa Maria della Purità. I confratelli della Purità o dei Vastasi, cioè gli scaricatori di porto, che indossano l’abito e il cappuccio bianco e la mozzetta color giallo paglierino, conducono la statua di Cristo Morto adagiato in un’urna dorata e la statua di Maria Desolata, che risale al Settecento, coperta da un manto nero, che siede ai piedi della Croce, per le strade del paese, fra la commozione dei tantissimi devoti che affollano le strade gallipoline.
Il sacerdote, con il priviale rosso, che conduce la processione, reca in mano la reliquia della Croce. In passato, le statue in questa processione erano portate in spalla da un gruppo di Ebrei che abitavano a Gallipoli fin dal Cinquecento ed erano detti Sciutei (come i pesci), in dialetto. Essi abitavano nel quartiere Purità che perciò era detto Giudecca e con questo loro sacrificio volevano simbolicamente riparare al peccato di aver condannato a morte Gesù.
Quando i confratelli della Misericordia si incontrano con quelli della Purità, avviene lu Ssuppiju e vi è il saluto dei due correttori delle Confraternite.
Il giorno di Pasqua, nel recente passato, era il momento di festeggiare, dopo la penitenza e le privazioni del periodo quaresimale. Si toglieva il lenzuolo che copriva il Cristo Risorto sugli altari, le campane tornavano a suonare, scapulàvane le campane, si scoppiavano mortaretti e fuochi d’artificio e si dava fuoco alle caremme; nelle case si battevano le mani sui muri, sui mobili, sui tavoli e tutti potevano finalmente festeggiare e si gustavano i dolci pasquali, come la pupa o lu caddhuzzu e lu panaru, le uova, simbolo di fecondità, e tutte le specialità nostrane per il grande pranzo pasquale.
Molte di queste tradizioni si sono conservate e si svolgono ancora oggi.
Il giorno di Pasquetta, detto Pascone, i gallipolini non rinunciano alla tradizionale scampagnata con colazione al sacco, come succede in tutto il resto del Salento.