La lettera che segue, che volentieri rieditiamo, è stata scritta da Mimmo Ciccarese ed inviata lo scorso anno all’Assessore regionale Barbanente.
È un momento davvero delicato ciò che vivono i pugliesi adesso; si creano movimenti per la protezione dell’ambiente in ogni angolo della loro regione, dalla Capitanata di Foggia al Capo di Leuca. Assistiamo a storici cambiamenti, ad inconsuete rapine di spazi naturali, è sotto gli occhi di tutti: è un popolo turbato e scosso dalla necessità di tutelare l’incolumità di un ecosistema minacciato, sempre più stretto dalla morsa antropica.
È la cittadinanza che ravviva il concetto di paesaggio e si schiera con smisurata passione con la ricchezza è l’identità culturale del suo habitat. Si risvegliano piccoli movimenti, quelli del bene comune, coesi, capaci di interagire pacificamente con le istituzioni e comunicare al governo. Lo stesso popolo che resiste senza cedere, onesto e vigile, con la necessità di comprendere o denunciare gli abusi con la stessa decisione di chi attiva da sempre sogni e speranze.
Con la stessa pacifica “rivoluzione gentile”, i pugliesi si sentono più forti, coscienti e liberi di scegliere; è inutile smentirlo: il cambiamento c’è e si muove.
Un cambiamento possibile per quella gente, ad esempio, che rimuove dai balconi della sua casa la produzione di ceneri sottili o per quella che condivide l’ansia di altri ulivi espiantati, di migliaia di agricoltori irritati, che reclamano supporto e assistenza quando sono costretti a declassare la produzione su scale economiche terribilmente incerte.
Non ci sono stendardi ad suffragare un territorio, la gente vale quanto il desiderio di disporsi per tutelare il patrimonio ulivicolo e il suo valore, più alto della grande muraglia cinese e certamente molto più stupefacente della Pietà di Michelangelo o l’urlo di Munch.
Piante impossibili da contare, se non dalle loro stesse moltitudini congiunte da una miriadi di associazioni di tutela, che le descrivono e le rendono fondamentali.
La monumentalità nel caso dell’ulivo è molto di più che una questione di assi cartesiani, non basta misurarlo con un semplice formula empirica, perché tra queste piante potrebbero esserci molti più parametri di quanto si possa pensare.
L’olivicoltura vive gravi complessità e spesso le conferenze-vetrina sull’argomento, non si possono intendere, specie se inorridiscono il diritto di un lavoro, di una collettività dimenticata, spesso costretta ad emigrare o a lasciare la terra. Già, chi ha coraggio di parlare dell’abbandono agricolo? Quello che succede può essere documentato in ogni momento, piccole civiltà contadine che in silenzio affrontano il loro dramma quotidiano e non si può che essere solidali con loro, in particolar modo se si proviene da storie di vecchie lotte contadine come quelle dell’Arneo.
Questi sono i veri dibattiti che vale la pena condividere e non più gli accorati comizio di piazze di paese riempite per l’occasione dal solito carrozzone politico.
Ogni albero borbotta come la voce del suo custode, ma i movimenti sbocciano sempre dalle periferie, dai quartieri dimenticati, dagli angoli delle masserie, nei discorsi tra i frantoi, tra i filari degli ulivi. Testimonianze a bizzeffe: agricolture avvelenate, alberi bruciati o decapitati, discariche e sconforto, nonostante l’inesorabile impegno globale per supportare l’ecosistema olivicolo.
Ogni terribile abbattimento è espressione di una decadenza, è un attimo di solitudine nel silenzio delle cavità dei loro tronchi spesso seviziati da potature selvagge, fatte ad hoc, nei limiti della buona pratica agricola, per far decadere un antichissimo equilibrio: l’opposto di quello che i nostri progenitori facevano innestando il gentile sul selvatico.
Si assiste ancora a tagli irrazionali, ancora oggi non è chiara ad esempio, la differenza, tra ciò che definisce una “ capitozzatura”, “taglio della chioma” o “spalcatura” in un capitolato di un appalto di potatura; definizioni opinabili che attendono il parere di tecnici e operai specializzati, quasi mai chiamati a valutare per conformare disciplinari, termini e razionalità degli interventi.
In questo campo, vi è carenza di riferimenti comuni, già vigenti da tempo in altri nazioni che con opportune politiche del verde sono in grado di rendicontare addirittura il valore delle emissioni della CO2 e di quello ambientale, spesso trascurati dalle comunità pugliesi.
Il valore degli ulivi restituisce dignità alle prossime generazioni; ciò che sta avvenendo è inaccettabile; volgarità e l’arroganza di certe scelte consumano i territori.
È opportuno, quindi, creare condizioni fondamentali che traccino i percorsi di un ulivo espiantato, per evitare possibili fenomeni d’illegalità diffusa, tramite un adeguata sorveglianza, che coinvolga la passione della gente comune e, perché no, l’interesse delle associazioni di categoria presenti in Puglia, affinché la sua popolazione sia risarcita da un possibile oltraggio ambientale.
Mappare e preservare gli alberi sul territorio di competenza è di grande utilità per conoscere, ad esempio, le misure da adottare per contenere le cause del dissesto idrogeologico o della desertificazione, creare percorsi eco turistici o favorire i prodotti tipici e i consorzi di olio extravergine prodotto da ulivi secolari ancora meglio sostenere le idee che tutelano il paesaggio. Oggi schierarsi dalla parte degli ulivi, dei loro portavoce, ribadisce il coraggio e la replica; chi è indifferente a queste questioni non può dire di amare la sua terra né le sue meravigliose creature.
Mimmo Ciccarese
Tecnico agroambientale