di Rocco Boccadamo
La frequenza delle scuole medie segnò, per me, non soltanto il passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza, ma anche l’ottenimento dei primi permessi o concessioni da parte dei miei genitori. Rientrava fra tali conquiste, durante la stagione estiva, sul far del crepuscolo del sabato, la possibilità di radunarmi con un gruppo di sette o otto amici, di recarmi insieme con loro a Porticelli, nei pressi dell’insenatura Acquaviva, dove i miei avevano da poco fatto costruire una casetta di villeggiatura e di restare a dormire lì, al fine di trovarci, l’indomani mattina, tutti insieme, già pronti sul posto per dedicarci alla pesca dagli scogli, con canne e lenze che ciascuno di noi si procurava ed “armava”.
Arrivati alla méta e consumata una frugale cena, scendevamo, attraverso un sentiero, giù nell’Acquaviva e, come prima operazione del programma, raschiavamo gli scogli su bassi fondali mediante l’utilizzo di retini – anche questi fabbricati da noi stessi – per catturare piccole scorte di gamberetti, da utilizzare il giorno dopo come esche, riponendo, intanto, i saltellanti crostacei in vasetti di latta con coperchio.
Terminata questa operazione, ci portavamo nuovamente nella casetta di Porticelli, soffermandoci per qualche ora a parlare ed a scherzare – nel buio assoluto, mancando la corrente elettrica e con il solo riferimento luminoso, quindi, delle stelle e , se c’era, della luna – fino a che non ci veniva sonno.
Sonno, per la verità, non molto lungo, giacché, all’alba, gli occhi si riaprivano automaticamente; seguiva un rapido sciacquo del viso e, subito, tutti di corsa verso la scogliera per iniziare le calate con la lenza.
Si formava, in tal modo, una bella fila di giovanissimi pescatori dilettanti e si dava ben presto vita a una sequenza di grida, commenti, risate, che segnavano in particolare la cattura di ciascun esemplare di pesci.
Ovviamente, s’innestava una vera e propria gara.
Trascorrevamo, così, diverse ore intenti a pescare, sino a quando la calura del sole, che si alzava sempre più su, non diveniva forte e difficile da sopportare.
Quelle mattinate domenicali, comprese le vigilie di preparazione in comitiva, ci riempivano d’autentica gioia, una sensazione che ci portavamo appresso e manifestavamo anche al rientro nelle nostre rispettive case.