di Gianni Ferraris
In 24 ore ho visto due film girati in Salento. Il primo aveva Lecce come sfondo e palcoscenico, ma avrebbe potuto tranquillamente essere raccontato ad Aosta o a Cuneo, non cambiava molto, Allacciate le cinture di Ferzan Ozpetek.
L’altro molto salentino nell’ambientazione, nel dialetto (sottotitolato), nelle storie, e nel pathos: In Grazia di Dio di Edoardo Winspeare. Un dialetto che trova la forza di parlare al mondo intero, e che tuttavia non poteva che essere girato e vissuto nella terra d’Otranto.
Un film, il primo, con una storia di fondo: il cancro che colpisce la protagonista e la mutazione dei rapporti familiari, sociali, affettivi. Non mancano i richiami all’omosessualità, anche questi cari al regista. Un film che, nonostante il tema forte trattato, ha un odore, come dice il mio amico Renato, di fotoromanzo, sa di plastica. Lontano dalle opere che mi avevano fatto conoscere ed apprezzare il regista turco, Le fate ignoranti e La finestra di fronte, in cui i temi erano, anche qui come un filo rosso che unisce i lavori del regista, il racconto era l’omosessualità nei risvolti dei rapporti sociali, familiari, della scoperta di un mondo, o nella repressione del ventennio fascista, erano narrati con impegno, forza, determinazione.
Allacciate le cinture sembra invece un raccontino che scade facilmente nel melodramma, pur riconoscendo al regista la tenacia nel voler dire storie pesanti, questa volta, a me come spettatore, non è piaciuto. Neppure Lecce rende più alta l’opera, ne è sottofondo sfocato, capace solo di essere prepotente e potente con le sue luci ed ombre, quella luminosità naturale che avvolge ed ammanta tutto. Sul film la critica e il pubblico si sono spaccati, mi trovo d’accordo con Mario Zonta su Mymovies.it : “E così quel tocco naif, che ha sempre caratterizzato le sue pellicole, rischia di diventare a tratti insopportabile quando si immerge nel melò come avviene senza remore in questo Allacciate le cinture. Ora, si può essere empatici verso una storia d’amore che sfonda nel melodramma, qui tra l’altro ospedaliero, e certo sentirsi trasportati dall’abbraccio fatale di questa “storia e destino”, ma nel modulare la tensione emotiva è necessario mantenersi un minimo al passo con i tempi. Insomma, spesso in questo film si slitta tra lo sguardo naif e la cartolina, tra l’ingenuità e il modello stereotipato. Sappiamo che Ozpetek è sincero (e questo è tanto), ma il mondo fuori, molto più brutto e cattivo dei tempi di Le fate ignoranti, non lo mette al riparo e forse c’è bisogno di uno scatto in più, di uno sguardo più complesso, di un contraddittorio meno edulcorato.
Nota di rilievo è il cameo del Sindaco di Lecce, Paolo Perrone, che fra il ballo e le apparizioni sullo schermo, mostra voglia di esserci.
Molto salentino è In grazia di Dio di Winspeare. Se è vero che è una storia molto italiana, altrettanto vero è che il film non avrebbe potuto essere girato che in Salento, l’impatto forte è il dialetto, i non attori, interpreti presi dalla vita quotidiana. Il cast: Celeste Casciaro, Laura Licchetta, Anna Boccadamo, Barbara De Matties, Gustavo Caputo, Angelico Ferrarese, Amerigo Russo, Antonio Carluccio; nomi non noti, fra loro troviamo persone che nella vita quotidiana fanno l’avvocato, la barista, il pescatore, il contadino. “Attori” presi dalla vita reale, interpreti magistrali nei loro ruoli. E’ una storia credibile in tempi di crisi economica e mostra la capacità, tutta femminile, di rinascere utilizzando le conoscenze, queste si, assolutamente tipiche di questa terra. Il fallimento della fabbrichetta costringe il socio fratello della protagonista ad andare a cercare lavoro in Svizzera, qui rimangono le donne che vanno a vivere in una masseria da riassettare. Così l’universo si rinchiude fra Madre, figlie e nipoti, con l’aiuto/complicità di un solo uomo perchè “un uomo ci vuole per lavorare i campi”, che sarà in realtà un altro tema affrontato con delicatissima capacità dal regista, l’amore nella terza età. Un film dove convivono risate e commozione, consapevolezza del presente e crisi economica, uomini di malaffare, equitalia e finanziarie improbabili nella parte degli squali, amore, rassegnazione. C’è la difesa del territorio da “quelli del nord che comprano ed hanno molti soldi”, dove il denaro può tutto, meglio, tutto dovrebbe potere con la complicità di intermediari senza scrupoli. E c’è un richiamo ad un’economia antica, che purtroppo (o per fortuna) può diventare attualissima nel periodo terrificante che stiamo vivendo: il baratto.
In tutto questo il Salento gioca una parte decisiva e non replicabile in nessun altro luogo. Mentre nel film di Ozpetek Lecce è solo un palcoscenico come tanti, nel film In grazia di Dio nulla potrebbe essere replicato altrove nello stesso modo. Qui tutto è Salento: il paese, il bar, anche il campo nella cava e la masseria. La compenetrazione fra il regista, gli attori, il territorio e le situazioni sono totali. Soprattutto dove la prorompente forza delle donne è protagonista assoluta e incontrastata.
Come dice il regista in un’intervista:
“…In grazia di Dio direi che non è la risposta alla crisi, è piuttosto una risposta alla crisi. È la storia di quattro donne che approfittano della crisi, delle sue durezze, delle sue difficoltà per reinventarsi, per affrontare la vita con un piglio diverso e nuovo. Quello che voglio raccontare attraverso il mio film è l’importanza di reagire ad una condizione e ad una situazione insostenibile. A forza di reagire, alla fine ci si troverà veramente ‘in grazia di Dio’…”.
Un film da non perdere assolutamente insomma. Grazie veramente a Winspeare che mi ha riconciliato con il cinema solo dopo poche ore. Un film che mi ha ricordato in alcuni aspetti Speriamo che sia femmina girato da Monicelli nel 1986. Che tuttavia ha un valore aggiunto incredibile dell’attualità più stringente. Stupenda anche la fotografia che rende ancora più bella la luce naturale di questi luoghi.
Un solo appunto, metterei sottotitoli non bianchi, spesso si perdono sullo sfondo chiaro e diventano poco leggibili.
Ho visto il film “In grazia di Dio” che si attendeva.
Il primo quarto d’ora è stato per me una sofferenza, troppe isostenibili parolacce, un rosario di parolacce.
Come dicevo ad alcuni amici, il caro regista le lancia in aria con leggerezza e divertimento come un acrobata del circo, le fa roteare per aria, confermando il suo spirito di scanzonato ragazzaccio quale lui rimane, e lo dico con affetto.
Poi cambia la musica e la storia trasuda emozione, è piacevole ascoltare la musicalità del linguaggio di quella zona del Salento, le cui immagini incantano in ogni fotogramma.
Bella la figura della nonna, bella la sua storia, a conferma che non è tutto in rovina e che la speranza può trovare il terreno per attecchire.
Grazie a Edoardo Winspeare per il film.