di Armando Polito
Il toponimo
La forma più antica è greca: Τάρας (leggi Taras), genitivo Τάραντος (leggi Tàrantos). La sua più antica attestazione (evidenziata con l’ellisse rossa nell’immagine, mia, sottostante) si troverebbe, se questa fosse autentica, cioè veramente risalente al VI secolo a. C., nella Mappa di Soleto.
La più antica attestazione letteraria è in Erodoto, Antioco e Tucidide (V secolo a. C.) . La forma latina più antica attestata, Tarentum, risale ad Ennio (III-II secolo a. C.)1. La notizia più antica sulla fondazione della città si ha in Diodoro Siculo (I Secolo a. C.): Gli epeunatti2 avendo mandato ambasciatori a Delfi chiesero se il dio [Apollo] avrebbe dato loro il territorio di Sicione. La pizia rispose: “Bella è la terra tra Corinto e Sicione ma non l’abiteresti nemmeno se fossi tutto di bronzo. Cerca Saturo e l’acqua lucente del Taras e il porto che sta a sinistra e dove il montone respira con voluttà la salsedine del mare bagnando la punta della (sua) barba grigia. Lì costruisci taranto , salda su Saturo. Avendo sentito non capirono; la Pizia allora disse più chiaramente: “Ti concedo Saturo e di abitare la ricca terra di Taranto e di diventare un flagello per gli Iapigi”.3
Ecco, invece, la versione di Pausania (II secolo d. C.) : I cavalli di bronzo e le donne prigioniere sono [dono] dei Tarantini [provenienti] dalle spoglie dei Messapi, barbari confinanti col territorio dei Taarantini, opera dell’argivo Argelada. Gli Spartani fondarono Taranto e l’ecista fu lo spartiata Falanto. A Falanto che si preparava alla fondazione giunse da Delfi un oracolo: quando avesse visto la pioggia [cadere] dal cielo sereno, allora avrebbe conquistato una regione e una città. Non avendo dato importanza lì per lì all’oracolo non avendolo comunicato a nessuno degli interpreti, approdò con le navi in Italia. Poiché, pur vincendo i barbari, non gli riusciva né di prendere una delle città né a impadronirsi di un territorio, si ricordò dell’oracolo e pensava che il dio gli avesse vaticinato cose impossibili: infatti mai era piovuto sotto un cielo puro e sereno. E sua moglie, lo aveva accompagnato da casa, fra l’altro trattava con gentilezza lui che era avvilito e avendo posto sulle ginocchia sue ginocchia la testa del marito gli cercava i pidocchi; e per amore capitò alla donna di versare lacrime vedendo che la situazione del marito non progrediva per nulla. Versò lacrime senza risparmio (bagnò infatti la testa di Falanto e si ricordò dell’oracolo (Cielo sereno era, infatti, il nome della donna) e così e così [Falanto] la notte successiva strappò ai barbari Taranto, la più grande e prospera delle città sul mare. Dicono che l’eroe Taras fosse figlio di Poseidone e di una ninfa indigena, e che dall’eroe sia stato posto il nome alla città e pure al fiume; infatti in base a questo pure il fiume è chiamato Taras dalla città. Dicono che l’eroe Taras fosse figlio di Poseidone e di una ninfa indigena e che dall’eroe fosse stato messo il nome alla città e pure al fiume; infatti anche il fiume, come la città, si chiama Taras. 4
La memoria di Pausania è confermata dalle numerose monete con leggenda TAPAΣ (leggi Taras); in basso due esemplari, il primo del IV, il secondo del III secolo a. C., in cui l’eroe è rappresentato col tridente nella sinistra e seduto sul dorso di un delfino.
Insomma, Taranto trarrebbe il nome dal suo primo fondatore, l’eroe Taras.
Pacichelli (A), pagg. 160-162
Pacichelli (B, anni 1684 e 1687)
Entrando nel Golfo di Taranto, si può considerar la pesca delle ostrighe, le quali si salano e spacciano in parti lontane, di altre specie stimatissime (che fan correre il proverbio doversi qui da ciascuno passar il tempo di quadragesima), particolarmente di quelle che, fra alcuni palo gettato il picciol seme di quella sorte di legno, vi nascon’in copia a guisa delle piante e chiamansi cozza, estraendosi dopo sei mesi nel suo picciol mare al porto, ed è grossa come mandorla coperta. Si affittan però quei pali da‟ cittadini nel mare Picciolo di più di 30 miglia di giro col suo riflusso.
Fu Taranto patria di soggetti accreditati in primo luogo nella filosofia e più alte specolazioni, città molto vasta e forte, in penisola, chiusa in tre lati del mare. Oggi è ristretta, col castello però nel suo continente, di buon’architettura, stimato sicuro, che vi fondò il Re Ferdinando I di Aragona, e la cittadella antica, presidiata da gli spagnuoli nella parte opposta a quello, a fronte della quale, sovra gli archi del ponte lungo più di 80 passi, entra in città l’acqua di Martina, Ducato de’ Caraccioli. Ubbidisce Taranto al Cattolico: era principato de’ primogeniti di questo reame, ed ha luogo nella provincia, che chiaman di Terra d’Otranto, venedo considerata per lo suo Arcivescovado mitra antichissima e culto nella madrice al corpo del Santo Vescovo Cataldo. Ha diversi chiostri, seminario, monte di pietà, comode fabriche, fameglie nobili e cavalieri d’abito di prova più rigorosa. I suoi fuochi vengono ascritti nuovamente a 1807 e nella diocesi, che ha buoni benefici e badie, otto castelli di albanesi riverenti alla Santa Sede, osservano il rito greco e, pochi passi vicino, il picciol tempio sotterraneo tien tradizione che l‟apostolo San Pietro vi facesse il primo suo sbarco, avanti di portarsi a Roma. Del più si legga Giovanni Giovene, De Antiquit. et varia Tarentinor. fortuna. Non è già favoloso l’effetto delle morsicature del picciol’animale in questa città e contorno, chiamato tarantella, simile ad mosca grossa, verde e rossa di sopra, che punge insensibilmente la state, obligando a ballare al sole, in quell’aria, del violino o altro istromento, ad udir le trombe, veder gli specchi, le fettuccie, o altri oggetti allegri, fin che viva lo stesso animaletto, sì come io stesso ne ho veduto più volte i segni in altrui, che si chiamano gli attarantati, benché non se lo persuada Giovanni Teutonico nell‟opera De’ più Rari Costumi de’ Popoli, mentre ne cerca le cagioni, e le difende il padre Atanasio Kircherio nel suo trattato Della Calamità. Investigando in qualche memoria recondita dell’antichità, osservai un bel marmo bianco, scoverto gli anni addietro nelle fondamenta della cappella nuova di San Cataldo, nel tempio arcivescovale, con le seguenti parole:
L. JUNIO. L. F. GAL.
MODERATO
COLUMELLAE
TRIB. MIL. LEG. VI. FERRATAE.
Può esser che questo Lucio Giugno fosse un de’ Pretori, ben voluto in Taranto, al quale si erigesse da’ cittadini sì nobil memoria. E il medesimo stimo di Sesto Licinio, padre di Marco Licinio Console, che ne’ tempi di Augusto si raccordava in Orosio 6, 17, leggendos’in un marmo della chiesa di Muriveteri:
D.M.S.
SEXT. LICIN. P. R.
Cicerone, Pro Archia, scrive che fiorissero allora in Taranto gli studi delle buone Lettere, non mancando premi a’ virtuosi; per lo ché Aulo Licinio, poeta di grido, venne aggregato alla cittadinanza tarentina e onorato con molti donativi. In un marmo di color piombino, a fronte del tempio di Santa Maria di Costantinopoli, fuor delle mura della città, si scorge scolpito:
C. JULIO. D. LUCRETIUS
JUSTUS. FILIUS.
È incerto chi fosse questo Caio Giulio, trovandosi nelle antiche memorie molti di questi nomi, tutti però di uomini chiari, nel Consolato, nella Pretura, Dettatura, o in altre cospicue Dignità. Sotto la confession della Chiesa Madre, in una base di colonna si legge:
D.M.S.
A. TITINI. A.F. CLA.
JUNIORIS
E nel medesimo luogo, in un’altra base:
D.M.S.
A. TITINI. FRUCTI.
Che fossero nobilissimi i Titini in Roma lo afferman gli scrittori delle cose romane, e di questa Tito Livio al X accenna un maestro de’ cavalieri. Veggasi Fulvio Orsino De Famil. Roman., con le note di Carlo Patin., il Gandorpio et altri. Della medesima, della Memmia e della Calpurnia, riferendo pur delle inscrizzioni, fa menzione bastante il Giovane, il Grutero nella sua opera celebre e Aldo Manuzio nell’Orthograph., che porta anche delle monete di argento. È indizio chiaro ch’elle fossero trapiantate da Roma in Taranto. Serbo presso di me varie monete di metallo, che coniava Taranto ne’ tempi ne’ quali possedea Signoria sovrana, scoverte nell’anno corrente, scavandosi alcune pietre fondamentali de’ vecchi edifici; et altre ho udito che se ne scuoprano alla giornata. Qualche altra notizia può vedersi nella Descrittione, origine e successi della Provincia di Otranto, descritta da Geronimo Marciano, raccolta da Alfonso Montefuscoli di Cupertino nel 1656, in due volumi in foglio non ancora publicati.
Su l’aurora, per folta nebbia, in dodeci miglia mi condussi a Taranto, osservando fuori per lungo tratto gli archi dell’aquedotto, il bel teatro che forma quella non vasta città, metropoli già della Calabria, Puglia e Lucania, cui scriss’elogio Floro al capitolo 8 del I, ne ricordan Giustiniano al 3, Strabone al 6 e al 3, così Virgilio Hinc sinus Herculei (si vera est Fama) Tarenti. Due son le isole nel mar grande, abitate da’ conigli, sotto il titolo de’ Santi Apostoli Pietro et Andrea, e l’altare ove celebrò il primo, restando fuori fra’ Carmelitani e dentro ne’ Celestini le vaste colonne del tempio di Diana. Vennero a vedermi tutti i Padri della Compagnia, e non più che due, il Provincial de gli Agostiniani con altri, e mi feron concerto i musici forastieri. Mi tolse benignamente da’ Conventuali Monsignor il Vicario Generale Ferrari, conferendo al solito meco di materie di Lettere nel palazzo, ove anche Monsignore l’Arcivescovo Pignatelli mi trattenne in lungo discorso e fé assegnar quarto, con darmi visita e invito alla prossima festa, che con pompa e comedie facea disporre per San Cataldo, la lingua del quale, incorrotta dopo mille anni, tornai ad adorare.
Pacichelli, mappe. Per Taranto sono due (1 e 2), la prima con didascalia numerica, non trascura dettagli periferici che sono assenti, invece, nella seconda con didascalia alfabetica, più attenta al territorio intra moenia. Le trasformazioni antropiche del territorio succedutesi dai tempi del Pacichelli mi hanno reso più difficoltosa la consueta operazione di identificazione e comparazione col presente; per questo confido nell’aiuto del lettore per le opportune correzioni e/o integrazioni.
(CONTINUA)
Prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/12/19/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-114-presentazione/
Seconda parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/12/23/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-214-alessano/
Terza parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/01/05/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-314-brindisi/
Quarta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/01/09/la-terra-dotranto-ieri-414-carpignano/
Quinta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/01/14/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-514-castellaneta/
Sesta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/01/20/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-614-castro/
Settima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/02/05/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-714-laterza/
Ottava parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/02/17/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-814-lecce/
Nona parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/02/21/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-914-mottola/
Decima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/02/26/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-1014-oria/
Undicesima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/03/04/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-1114-ostuni/
Dodicesima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/03/14/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-1214-otranto/
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1 È contenuto in un frammento degli Hedyphagetica tramandatoci da Apuleio (II secolo d. C.), Apologia, 39: Q. Ennius hedyphagetica versibus scripsit. Innumerabilia genera piscium enumerat quae scilicet curiose cognorat. Paucos versus memini; eos dicam: “Brundisii sargus Bonus est, hunc magnus si erit sume. Apriculum piscem scito primum esse Tarenti” (Quinto Ennio scrisse in versi Ghiottonerie. Enumera innumerevoli specie di pesci che certamente aveva conosciuto da esperto. Ricordo pochi versi, li dirò: “Il sarago di Brindisi è buono, prendilo se è grosso. Sappi che il pesce-cinghiale di Taranto è il primo”).
2 Ex schiavi che, in seguito alle nozze con vedove libere, avevano acquisito il diritto di cittadinanza.
3 Bibliotheca historica, VIII, fr. 21: Οἱ ἐπευνακταὶ θεωροὺς πέμψαντες εἰς Δελφοὺς ἐπηρώτων, εἰ δίδωσιν αὐτοῖς τὴν Σικυνωνίαν. Ἡ δ’ἔφη· Καλὸν τοι τὸ μεταξὺ Κορίνθου καὶ Σικυῶνος·/ἀλλ’οὐκ οἰκήσεις οὐδ’εἰ παγχάλκεος εἴης./Σατύριον φράζου σὺ Τάραντος τ’ἀγλαὸν ὕδωρ/καὶ λιμένα σκαιόν καὶ ὅπου τράγος ἁλμυρὸν οἶδμα/ἀμαγαπᾷ τέγγων ἄκρον πολιοῖο γενέιου·/ἔνθα Τάραντα ποιοῦ ἐπὶ Σατυρίου βεβαῶτα./ Ἀκούσανες δὲ ἐγνόουν· ἡ δὲ φανερώτερον ἔφη· Σατύριόν τοι ἔδωκα Τάραντά τε πίονα δῆμον/οἰκῆσαι καὶ πήματ’Ἰαπύγεσσι γενέσθαι.
4 Graeciae descriptio, X, 10, 6-8: Ταραντίνων δὲ οἱ ἵπποι οἱ χαλκοῖ καὶ αἰχμάλωτοι γυναῖκες ἀπὸ Μεσσαπίων εἰσίν, ὁμόρων τῇ Ταραντίνων βαρβάρων, Ἀγελάδα δὲ ἔργα τοῦ Ἀργείου. Τάραντα δὲ ἀπῴκισαν μὲν Λακεδαιμόνιοι, οἰκιστὴς δὲ ἐγένετο Σπαρτιάτης Φάλανθος. στελλομένῳ δὲ ἐς ἀποικίαν τῷ Φαλάνθῳ λόγιον ἦλθεν ἐκ Δελφῶν· ὑετοῦ αὐτὸν αἰσθόμενον ὑπὸ αἴθρᾳ, τηνικαῦτα καὶ χώραν κτήσεσθαι καὶ πόλιν. Τὸ μὲν δὴ παραυτίκα οὔτε ἰδίᾳ τὸ μάντευμα ἐπισκεψάμενος οὔτε πρὸς τῶν ἐξηγητῶν τινα ἀνακοινώσας κατέσχε ταῖς ναυσὶν ἐς Ἰταλίαν· ὡς δέ οἱ νικῶντι τοὺς βαρβάρους οὐκ ἐγίνετο οὔτε τινὰ ἑλεῖν τῶν πόλεων οὔτε ἐπικρατῆσαι χώρας, ἐς ἀνάμνησιν ἀφικνεῖτο τοῦ χρησμοῦ, καὶ ἀδύνατα ἐνόμιζέν οἱ τὸν θεὸν χρῆσαι· μὴ γὰρ ἄν ποτε ἐν καθαρῷ καὶ αἰθρίῳ τῷ ἀέρι ὑσθῆναι. Καὶ αὐτὸν ἡ γυνὴ ἀθύμως ἔχοντα —ἠκολουθήκει γὰρ οἴκοθεν—τά τε ἄλλα ἐφιλοφρονεῖτο καὶ ἐς τὰ γόνατα ἐσθεμένη τὰ αὑτῆς τοῦ ἀνδρὸς τὴν κεφαλὴν ἐξέλεγε τοὺς φθεῖρας· καί πως ὑπὸ εὐνοίας δακρῦσαι παρίσταται τῇ γυναικὶ ὁρώσῃ τοῦ ἀνδρὸς ἐς οὐδὲν προχωροῦντα τὰ πράγματα. Προέχει δὲ ἀφειδέστερον τῶν δακρύων καὶ—ἔβρεχε γὰρ τοῦ Φαλάνθου τὴν κεφαλήν—συνίησί τε τῆς μαντείας—ὄνομα γὰρ δὴ ἦν Αἴθρα τῇ γυναικί—καὶ οὕτω τῇ ἐπιούσῃ νυκτὶ Τάραντα τῶν βαρβάρων εἷλε μεγίστην καὶ εὐδαιμονεστάτην τῶν ἐπὶ θαλάσσῃ πόλεων. Τάραντα δὲ τὸν ἥρω Ποσειδῶνός φασι καὶ ἐπιχωρίας νύμφης παῖδα εἶναι, ἀπὸ δὲ τοῦ ἥρωος τεθῆναι τὰ ὀνόματα τῇ πόλει τε καὶ τῷ ποταμῷ· καλεῖται γὰρ δὴ Τάρας κατὰ τὰ αὐτὰ τῇ πόλει καὶ ὁ ποταμός.