di Armando Polito
* Il numero uno non lo conosco ma è tale e quale il due.
** Sarà presuntuoso, invidioso o, più semplicemente, ha bisogno di un’urgente visita oculistica?
La voce di oggi viene proposta unicamente perché emblematica della pittoresca metaforicità del dialetto. Essa, infatti, dal punto di vista etimologico, non presenta difficoltà alcuna, avendo il suo omologo italiano in scollare e condividendone con questo la formazione: composto da s- privativo (dal latino ex=lontano da) e coddha. Quest’ultimo, corrispondente all’italiano colla, ne condivide la derivazione dal greco κόλλα (leggi colla) attraverso un supposto latino *colla (nel latino classico è usato gluten, in quello medioevale glùtinum)1.
Scuddhare condivide con l’italiano scollare la stessa sfera semantica (la foderina s’è scuddhata=la foderina si è scollata; scoddha lu francubbollu!=scolla il francobollo!) ma in più il suo participio passato (scuddhatu) acquista un significato metaforico piuttosto curioso in espressioni come ggh’è ttale e qquale a sìrisa, scuddhatu (=è tale e quale suo padre, scollato!) oppure ggh’è scuddhatu a sìrisa (è scollato a suo padre) oppure ggh’è sìrisa scuddhatu (è suo padre scollato). Va da sé che lo scollato della traduzione italiana non allude a torture perpetrate da chicchessia a danno del padre ma è sinonimo di simile.
Nella seconda e terza espressione scuddhato, dà quasi l’idea di una riproduzione per calco ma curiosamente ricorda nello stesso tempo il più antico sistema di riproduzione (quello della scissione cellulare dell’ameba) e il più avanzato (la clonazione). La preposizione a nella prima espressione può sembrare strana (ci si sarebbe aspettato è scollato da suo padre corrispondente ad un ggh’è scuddhatu ti sirisa) ma essa non introduce un complemento di termine bensì di relazione (scollato rispetto a suo padre). A meno che, ricostruzione che ritengo più attendibile, da subito scuddhatu non sia stato inteso come sinonimo di in tutto simile o in tutto somigliante, a tal punto da assumerne la preposizione (a) che di regola regge il complemento che li accompagna; mi fa propendere per questa seconda ipotesi il fatto che la preposizione a compare anche in espressioni del tipo ggh’è tale e qquale a ssirisa e, d’altra parte, pure in italiano spesso è ricorrente tale e quale a nonostante quell’a non abbia nessuna ragion d’essere.
E l’idea del calco ritorna nell’italiano è spiccicato suo padre, che segue lo stesso costrutto di ggh’è ssirisa scuddhatu. Vale la pena ricordare come spiccicare è contrario di appiccicare (entrambi probabilmente da una radice fonosimbolica con l’aggiunta in testa di preposizioni diverse) così come scollare è il contrario di incollare.
Questo per far notare, infine, come l’espressione italiana appare, almeno a me, meno pittoresca. La cosa può sembrare paradossale dal momento che spiccicare è vocabolo meno consueto di scollare. La lingua non finisce mai di sorprendere per la sua reale o presunta irrazionalità. Credo che nel nostro caso il fenomeno rilevato sia dovuto, ripeto paradossalmente, proprio all’uso meno frequente di appiccicare rispetto ad incollare e di spiccicare rispetto a scollare per cui l’idea dello scollamento è più immediata con scollare che con spiccicare.
E così l’italiano perde il suo confronto con il dialetto anche quando sembra avere maggiori mezzi a disposizione. D’altra parte non sempre un esercito ben equipaggiato è stato, è e sarà garanzia di vittoria.
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1 A quanto ne so la prima attestazione scritta di un latino colla risale al XVI secolo: Niccolò Massa, Epistolae medicinales, Bindoni e Pasini, Venezia, 1550, pag. 93: … quod glutinum sive collam ita extensam super pannum ponunt … (poiché pongono glutine o colla spalmata su un panno …). Sempre a quanto ne so la prima attestazione scritta in prosa italiana risale all’inizio del XIV secolo e si trova in Prediche del beato fra’ Giordano da Rivalto dell’ordine de’ Predicatori recitate in Firenze dal 1303 al 1309, Silvestri, Milano, 1839, v. II, pag. 392: … dicesi ancora d’una terra, e d’una colla là oltremare, la quale è sì tenace e sì forte che per nulla maniera di mondo si può partire quando è appiccata, né per ferro, né per fuoco, né per acqua, né per neun altro argomento, tamnto è forte e tenace …; pag. 397: … il secondo nemico si è il mondo. Questo non ne lega così falsamente, perocché non sa così ingannare: ma e’ ti piglia a modo che ti piglia il vesco o colla, per bonum et pulchrum. L’uccello, quando viene preso al vesco e toccalo …
La prima attestazione scritta in poesia risale al XV secolo: Domenico di Giovanni detto il Burchiello, Sonetti, CLXXIX, 1: Beo d’un vino a pasto che par colla …
La presenza di colla nel volgare fin dal XIV secolo esclude una sua origine dotta dal latino rinascimentale e rende plausibile la derivazione da un latino medioevale *colla, la cui presenza, almeno a livello semantico, è già nel medioevale protocollum (da cui l’italiano protocollo) che nel glossario del Du Cange (pag. 542) ha questa definizione: Liber ex glutine compactus in quem acta publica referentur (Libro unito con colla nel quale sono riportati gli atti pubblici). Protocollum, a sua volta, è trascrizione del greco πρωτόκολλον (leggi protòcollon)=prima sezione di un rotolo di papiro, composto da πρῶτος=primo e dalla radice di κολλάω=incollare, quest’ultimo, a sua volta da κόλλα.