di Armando Polito
Nel nostro dialetto è sinonimo di giorno lavorativo, feriale, non festivo.
Per il Rohlfs deriva dalla locuzione latina die(m) quotidiana(m). Rispetto a tale etimo, sostanzialmente corretto, ritengo, però di dover fare qualche piccola integrazione/precisazione. Intanto analizzo il primo componente del nesso messo in campo dal filologo tedesco. Quotidiana (di cui quotidianam è l’accusativo femminile singolare) è aggettivo dall’avverbio quotidie=ogni giorno, formato dall’indeclinabile quot=quanti+die=giorno (formazione analoga quotannis=ogni anno). Va pure detto che già nel latino classico è attestata l’alternanza cotidianus/quotidianus/cottidianus per l’aggettivo e quotidie/cotidie/cottidie per l’avverbio.
Nel latino degli umanisti, oltre alle tre forme appena indicate, compare pure quottidianus: Guarino Guarini (XV secolo), De linguae Latinae differentiis: Octavianum Augustum quottidiano sermone “simus” pro “sumus” usurpasse legimus (Leggiamo che Ottaviano Augusto aveva usato nella lingua di ogni giorno simus invece di sumus); Lorenzo Valla (XV secolo), Ars grammatica: …separat in binas hominum sollertia voces, exceptis paucis, certa ratione, quod aut sint quottidiana domi aut oculis insignia nostris: quottidiana caper sunt et capra sive capella … (… la solerzia degli uomini separa in due le voci, ad eccezione di poche, per un motivo sicuro, poiché o sono cose quotidiane in casa o nobili ai nostri occhi: sono quotidiane caper e capra o capella …); Francesco Filelfo (XV secolo), Epistola a Lorenzo il Magnifico: … num putemus oratores vel in senatu, vel in foro, vel apud populum alia usos oratione quam latina, hoc est quottidiana vulgarique …? (Forse dovremmo considerare oratori o nel senato o nel foro o presso il popolo quelli che usano una lingua diversa dalla latina, cioè quella di ogni giorno e popolare …?).
Da quottidianus e cottidianus i volgari quottidiano e cottidiano: Giovanni Sabadino degli Arienti (XV secolo), Novelle Porretane, XXIV: Advenne dunque uno giorno che, dolendose del sinistro portava per el tardo advenimento del famiglio cum uno miser Piero Goso scolaro savonese, suo quottidiano compagno, omo callido, astuto e piacevole gabatore oltra modo, li disse il dicto miser Piero che non se pigliasse affanno …
Baldassar Castiglione (XVI secolo), Il libro del cortegiano, II, 17: Ma in somma non bastaranno ancor tutte queste condizioni del nostro cortegiano per acquistar quella universal grazia de’ signori, cavalieri e donne, se non arà insieme una gentil ed amabile manera nel conversare cottidiano.
Con ellissi di febbre come in terzana e quartana: Pietro Crescentio (XVI secolo), Opera di agricoltura: Ancora diamo la sua polvere assolvere et vale alla cottidiana e alla terzana … contro la cottidiana di flegma falsa et contra la rogna si pesti … et cotale oximelo vale contra la quartana et cottidiana se non fosse già di flegma falsa …
Il nostro uttisciana ha seguito la seguente trafila partendo non da (diem) quotidiana(m) (come vuole il Rholfs, la cui proposta non dà conto della caduta di qu– e della geminazione di –t-) ma da (diem) cottidiana(m) per passare a cottidiana(m) (ellissi di diem), poi a ottidiana (affievolimento di c– compensato con v– nella variante vuttisciana in uso nel Leccese a Alessano e Castrignano dei Greci e nel Brindisino a Carovigno e Ostuni), quindi a ottisciana [da notare lo sviluppo –dia->-scia– come in sciàna=disposizione d’animo, umore (da Diana, per cui vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/12/16/lu-spilu-e-la-sciana/]>uttisciana) e, infine, a uttisciana.
Come non ricordare il detto nana, nana, comu la festa l’uttisciana, riferito genericamente al trascorre sempre uguale del tempo e in particolare a persona che nel giorno feriale vestiva allo stesso modo di quello festivo? Si trattava di qualcosa di eccezionale, dati i tempi. Proprio feriale è l’aggettivo che il Boccaccio (XIV secolo) usa a tal proposito nell’Elegia di Madonna Fiammetta, V, 31: Semplicemente, e di feriali vestimenti vestita, vi vado.
E il riferimento, questa volta diretto, alle ristrettezze economiche non manca neppure nella ninna nanna, di cui il detto precedente sembra essere la versione per adulti: E ninina e ninana/comu la festa l’uttisciana./Ci turnisi no ‘ndi tegnu,/comu àggiu ffare tti mantegnu?
Da notare come il Ninina (che già si era espanso per ragioni di rima in ninana), diminutivo di Nina (a sua volta abbreviazione di Antonina, ma come non ricordare lo spagnolo niña=bambina?) eppure foneticamente vicino alle voci infantili ninni (=bambino) e ninna nanna, diventa nel primo detto nana per esigenze di rima ma finisce per evocare non solo il nome comune ma anche Nana, abbreviazione di Antonia. Bella la domanda che conclude la ninna nanna, proprio perché retorica: il genitore avrebbe dato la vita pur di non far mancare al bambino l’indispensabile.
Già, l’indispensabile; ma non solo quello alimentare e di prima necessità, anche quello affettivo, sensoriale ed emozionale. E oggi? Oggi, probabilmente, il genitore (o chi per lui), ammesso che avesse il tempo e la voglia di farlo, canterebbe così: E ninina e ninana/comu la festa l’uttisciana./Pi llu pane non c’è nn’eurinu/ma tieni nu beddhu telefoninu.
Sarebbe già tanto, ma meno male che qualcuno (regressione infantile?) può contare sull’aiuto di un amico veramente … insospettabile.