di Mimmo Ciccarese
Perché nei paesi del Salento l’abbattimento di un’alberatura non passa inosservata? Ci sarà un elenco per ogni realtà amministrativa che restituisca dati esatti circa la quantità del verde urbano per abitante?
La legge n 10 del 14 gennaio del 2013, già in vigore, obbliga i comuni con più di 15.000 abitanti a piantare un albero per ogni nascita o per ogni adozione registrata all’anagrafe. Quali responsabili del verde urbano hanno letto questo recente regolamento e quante amministrazioni hanno analizzato gli studi ISTAT su tale argomento?
Dal duemilaundici, il verde urbano rappresenta il 2,7% del territorio dei comuni capoluoghi di provincia, anche se quasi il 15% della loro superficie è incluso nelle cosiddette aree naturali protette. La superficie agricola utilizzata corrisponde nella media del 45,5%. Mediamente, un abitante italiano ha 30,3 mq di verde urbano e dall’osservazione delle tavole si evince la classifica.
In quanto a disponibilità di verde per abitante, la nostra bellissima e dotta Lecce, purtroppo, è una delle ultime, con i suoi miseri 5,6 mq rispetto a Matera, la prima in Italia, con 978,2 mq. Per rendere meglio l’idea, in proporzione, quest’ultima città ha verde urbano pari a circa due campi regolari da tennis, mentre il capoluogo salentino dovrebbe appagarsi con circa la metà di corridoio di mezzo campo (1,4 m x 5,5 m), appena la superficie per piantare un filare di basilico. Se si considera che un passo d’uomo nell’unità di misura romana corrisponda a 75 centimetri, circa due piedi, è il caso di dire davvero che si esce per fare “quattro passi” nel verde.
Esaminando la citata legge, si potrebbe avere l’opportunità di rivalutare concretamente il patrimonio di piante nell’ambiente urbano quando negli articoli si descrive quell’obbligatorietà di pubblicare i bilanci arborei che alla fine di ogni mandato l’amministratore deve dettagliare e firmare.
La demolizione di un’alberatura a volte programmata per una giustificata causa o perché irrazionale e inaspettata, rende sempre un briciolo di amarezza e rabbia nell’animo dei residenti non solo per un motivo ambientale ma anche per difendere una radice storica o etica per cui ogni rovina arrecata deve essere qualificata e quantificata anche con queste valutazioni.
Il cosidetto Sprawl urbano o dispersione urbana, indica quell’avanzare rapido e disordinato di una città che si manifesta tra le case di periferia oppure fra quei luoghi rurali prossimi ai paesi e destinati a una decadenza certificata.
Nel tipico segno dello Sprawl urbano si evidenzia sempre una puntuale e sistematica riduzione della densità abitativa e degli spazi verdi, un tempestivo consumo del suolo, un’assenza e una distanza dei servizi pubblici più scontati e quindi di conseguenza un’insufficienza di mobilità alternative, come le piste ciclabili.
In molti casi, questo fenomeno potrebbe essere connesso a quell’arte del governo di non essere in grado o di non gradire lo sviluppo civile di un quartiere anche con il fermo diniego di progettare parchi e giardini.
Si evidenzia, con maggiore frequenza, la raffinata pratica di capitozzare o diminuire in qualche modo quella libera facoltà della pianta di svolgere la fotosintesi, creandogli ambienti sfavorevoli per destinarla a disseccamento certo, ridurne la sua longevità o trasfigurandola in elementi spogli, brutti e inutili.
Le città, in questo modo, ci appaiono sottratte di altri spazi verdi, con un modello che coincide a qualcosa di non ben definito, illogico e indescrivibile, forse frutto di una dilagante biofobia o di chissà che altro.
Nel lento fenomeno della dispersione urbana, si sbiadisce il confine tra città e campagna, lo spazio è comunemente destinato a nuovi parcheggi, a un uso funzionale delle autovetture che ci consentono di raggiungere con semplicità i centri di lavoro, quelli commerciali e ludici.
Il risultato è che l’urbanizzazione si accresce in misura molto superiore rispetto al concreto aumento della cittadinanza; è una scansione accelerata che tende a far insediare spesso serie di quartieri privi di piante, colori e di altri elementi che animano una città vivibile.
Occorre perciò un nuovo approccio, un’ecologia urbana che non sia solo lo sporadico ideale del solito ambientalista ma un’esigenza dovuta, un vivace monito di quelle comunità coraggiose che comprendono la quotidiana importanza degli alberi o che sono in grado di segnalare con nerbo gli abusi fatti sugli alberi.
Errata corrige: In riferimento alla comparazione della superficie a verde per abitante, mi fanno notare che un campo da tennis regolamentare misura 260 mq. il paragone sopracitato corrisponde perciò a quasi quattro campi di calcio e non due.