di Paolo Rausa
Quest’anno, il 19 marzo, a cavallo di una vecchia Tipo con la guida eccezionale del menestrello cantastorie salentino P40, ho avuto la ventura di immergermi nel profondo e inesplorato cuore religioso di questa parte del Salento, che fa della tradizione spirituale un elemento di valorizzazione di credenze e frutti della terra.
Forse doveva essere veramente così, quando a pochi km di distanza i primi abitanti delle Grotte dei Cervi a Porto Badisco imbandivano le loro mense frugali con le primizie che la terra forniva: il prezioso olio, il vino ristoratore, il frumento vitale.
Dalla preistoria ai Messapi e ai greci, i riti trasmigrano, conservando sino a noi l’intensità spirituale, ravvivata dai monaci basiliani che tante tracce della loro arte hanno lasciato nelle cripte e nelle chiesette rupestri disseminate nel nostro territorio.
Proprio da una chiesetta comincia il nostro giro: la Cappella di Sant’Anna del XIII secolo a Specchia Gallone, frazione di Minervino di Lecce, un ciclo di affreschi con scene dell’Antico e del Nuovo Testamento e un Giudizio Universale. La chiesetta a due ambienti è preceduta da un pronao, un battuto su cui il sacerdote e i devoti officiano la messa in onore di San Giuseppe. Alle loro spalle una ambientino contiene in piccolo tutti gli elementi vegetali e animali (il pesce, simbolo cristiano, esclusa rigorosamente la carne), che ritroveremo nelle mense allestite in case private, persino in uno studio professionale a Giurdignano, in una scuola materna, in un palazzo baronale, e in una Fondazione benemerita, Le Costantine, dove ha sede una eccellente scuola di tessitura, a Casamassella.
Ogni luogo ha una storia rurale e religiosa. Con P40 ci interroghiamo sul significato di questa persistenza di riti nella memoria che si riversano nell’onorare un Santo, padre putativo di Cristo. Ci chiediamo come sia possibile conservare questi relitti atavici e semmai come coniugare questi lembi di civiltà con le istanze di un mondo giovanile che inascoltato pressa la società e alla fine, non trovando risposte, fugge via alla ricerca di un lavoro e di una qualche soddisfazione professionale.
Notiamo che quest’anno per la prima volta i Comuni che hanno condiviso il progetto sulle Tavole di San Giuseppe sono quattro: San Cassiano, Minervino, Uggiano e Giurdignano, comprese le frazioni. Casamassella, una frazione forse di mille anime, ci impressiona per il coinvolgimento da parte dei genitori e delle maestre dei 48 santi che hanno partecipato alla tavolata, imbandita ad altezza di bambino.
Fatto molto significativo perché alla preparazione delle vivande (servite e mangiate in ordine: lampascioni, rape, ceci, vermiceddhri, vino, pesce, ronghetto, bucatini, pittule, fritti con distribuzione di finocchio e arancia finale) hanno collaborato tutti, compresi i bambini dell’età max di sei anni che frequentano la scuola.
Che cosa sono in fondo queste Tavole, se non il tentativo di distribuire le risorse del territorio a tutti e in particolar modo ai poveri, sulla traccia dei sacrifici agli dei come distribuzione al villaggio delle carni, rito cui sovrintendeva Zeus Xenio, protettore degli ospiti e dei mendicanti?
Da Casamassella a Giurdignano, il paese degli allineamenti, dei menhir e dei dolmen, e anche delle Tavole di San Giuseppe. Ne abbiamo contate fino a 60 nelle case private, negli studi professionali, nei ristoranti, di tre, cinque, sette, nove santi, ecc. secondo un rigoroso rito che parte dalla Sacra Famiglia, 3 componenti, e poi in numero dispari, a seconda della devozione e della grazia ricevuta, si allarga sino a riempire la sala più grande della casa di primizie della terra e del mare.
In una di queste ci siamo fermati con P40 e abbiamo seguito il rito con un San Giuseppe che arcigno scuoteva la forchetta sul bicchiere e allora tutto si fermava sulla tavola. Si interrompeva l’assaggio che riprendeva con una nenia o una preghiera rivolta ai santi e ai defunti.
Con questo pensiero si chiudeva la tavola, distribuendo il cibo rimasto ai santi invitati, che a loro volta lo distribuiranno ai vicini e ai più poveri del paese, non prima di aver ricordato la funzione di San Giuseppe come psicopompo, che come Ermes ci accompagna nell’ultima dimora.
Bellissimo Marcello, e pensa che ho fatto il santo a Minervino …