Le “Grotte di Poggiardo”, un interessante sistema carsico formato da dodici gallerie tra cui la “Grotta delle Meraviglie”, a rischio per l’attività estrattiva!
di Paolo Rausa
Il naturalista Plinio il Vecchio e il filosofo Seneca si sono dati convegno nel Salento, in una zona particolare denominata “marirussi” o “arciddhrari” nei pressi della conosciutissima e ridente città messapica di Basta per ispezionare il territorio in rapporto con l’abitato. All’inizio sono state intessute le lodi di questo angolo della Messapia, ma quando si sono addentrati e hanno visto machinae che sventravano le viscere della terra, allora se ne sono ritratti sgomenti e inorriditi. “I metalli – ha cominciato Plinio – sono in se stessi una ricchezza e insieme il prezzo delle cose. Una solerzia sollecita scruta le profondità della terra per molteplici motivi: in un posto, infatti, si scava per le ricchezze, e gli uomini cercano oro, argento, elettro, rame; in un altro, per il lusso, cercano pietre preziose e coloranti per dipingere pareti e superfici lignee; in un altro ancora, per soddisfare una cieca stoltezza, si procurano il ferro, che è anche più apprezzato dell’oro in tempi di guerre e di stragi. Tentiamo di raggiungere tutte le fibre intime della terra e viviamo sopra le cavità che vi abbiamo prodotto, meravigliandoci che talvolta essa si spalanchi o si metta a tremare, come se, in verità, non potesse esprimersi così l’indignazione della nostra sacra genitrice. Penetriamo nelle sue viscere e cerchiamo ricchezze nella sede dei Mani, quasi che fosse poco generosa e feconda là dove la calchiamo sotto i piedi. E fra tutti gli oggetti della nostra ricerca pochissimi sono destinati a produrre rimedi medicinali: quanti sono infatti quelli che scavano avendo come scopo la medicina?
Anche questa tuttavia la terra ci fornisce alla sua superficie, come ci fornisce i cereali, essa che è generosa e benevola in tutto ciò che ci è di giovamento. Le cose che ci rovinano e ci conducono agli inferi sono quelle che essa ha nascosto nel suo seno, cose che non si generano in un momento: per cui la nostra mente, proiettandosi nel vuoto, considera quando mai si finirà, nel corso dei secoli tutti, di esaurirla, fin dove potrà penetrare la nostra avidità. Quanto innocente, quanto felice, anzi persino raffinata sarebbe la nostra vita, se non altrove volgesse le sue brame, ma solo a ciò che si trova sulla superficie terrestre, solo – in breve – a ciò che le sta accanto!” Seneca ha avuto buon gioco nel ribattere: “Questi corpi, destinati a muoversi sopra di noi, la natura dispose in bell’ordine, mentre nasconde l’oro e l’argento e il ferro, che per loro causa non è mai in pace, come se non fosse opportuno che tali metalli ci fossero affidati. Siamo stati noi a portare alla luce ciò che doveva indurci a combattere gli uni contro gli altri; siamo stati noi a portare in superficie, dopo aver lacerato massicci strati di terra, le cause e gli strumenti delle nostre durissime prove; siamo stati noi ad affidare al capriccio della Fortuna quegli elementi che sono sostanza delle nostre sventure e non ci vergogniamo che presso di noi siano considerate di altissimo rango quelle cose che giacevano nella parte più profonda del suolo.” A noi non resta che chiederci da una parte se le Autorità (Pubblica Amministrazione e Magistratura) non dovrebbero impedire lo scempio che è sotto i nostri occhi e dall’altra se l’attività privata estrattiva non debba fermarsi, motu propriu, di fronte al pericolo che un bene ambientale e archeologico sia messo in stato di pericolo nel giro di pochi anni per la nostra sfrenata sete di guadagni dopo aver impiegato millenni per realizzarsi. Intanto l’attività estrattiva prosegue imperterrita come se la nostra indignazione non la riguardasse. E le Autorità che dicono di fronte a questa situazione?
Per dare una risposta che abbia senso è necessario aver capito, anche nelle sue motivazioni più profonde, la domanda che il nostro interlocutore ci ha posto. In passato chi esercitava il potere aveva dalla sua un sostrato culturale di notevole spessore (e non mi riferisco certo a chi esibiva biblioteche private senza averne letto un libro o a chi sparava a raffica dotte citazioni senza mai concretamente applicarle, a partire da se stesso) e questo ha consentito, fra l’altro, a ciascuno degli onesti, di realizzare quel patrimonio materiale (piccolo) e morale (grande) che da qualche anno a questa parte vediamo inesorabilmente roso da uomini (così si esprimerebbe uno squalo …) il cui comportamento prima era un’eccezione, oggi la regola. Cosa c’è da aspettarsi da una variopinta, anzi camaleontica (lo squalo ero riuscito a salvarlo …) classe politica che non solo non è in grado di comprendere un Plinio e un Seneca (beninteso, tradotti …) ma neppure, quando è in buona fede, di mettere in fila quattro parole che diano non solo vita ad un costrutto corretto ma adito almeno ad una speranza che non sia la solita presa per il culo?