di Pier Paolo Tarsi
È facile sorprendersi, difficile è meravigliarsi.
La meraviglia o lo stupore di cui hanno parlato spesso i filosofi non ha nulla in comune con la sorpresa, anzi, è quanto di più lontano possa darsi da quest’ultima. La sorpresa è legata all’extraordinario che colpisce lo sguardo nella misura in cui rimaniamo affondati nelle cose e nelle situazioni. Stai guidando l’auto nelle trafficate vie di una nostra città, arrivi ad un incrocio, fai la coda, e all’improvviso un branco di giraffe attraversa la strada. Sei sorpreso vero? Dannatamente sorpreso, spiazzato e disorientato dall’incontro inatteso con quanto in quella data situazione sta capitando: quel passaggio all’incrocio di una città è quanto di più possa stridere con le tue attese in quella circostanza precisa, ed è proprio restando nella situazione, attaccato al mondo e agli eventi extraordinari che cadono sotto il tuo sguardo che la sorpresa ti coglie così forte. Scommetto che molti di voi a quell’incrocio avranno persino cercato di prendere in mano l’iphone o qualche diavoleria simile per immortale l’evento, per condividere la sorpresa. Comprensibile. Ma andiamo oltre. La meraviglia non ha nulla a che vedere con ciò, non si possono fotografarne i momenti né si può condividerla con gli amici. La meraviglia sorge nell’ordinario, dal trascendimento delle cose nell’ordinario, non dall’extraordinario, nasce dalla distanza che in un momento si stabilisce tra la situazione ordinaria e te: la meraviglia è straordinaria, non extraordinaria. Nemmeno un passaggio di elefanti rosa all’incrocio potrà condurti in uno stato di meraviglia. No, uno stato di meraviglia non sorge da effetti speciali, emerge invece da uno slancio nella pura e semplice ordinarietà del vivere, è un moto con cui ti trasporti con immediatezza fulminea al di sopra della totalità della consueta situazione in cui fino a un attimo prima eri immerso, così che questo banale quadro quotidiano in cui da sempre esisti diviene d’improvviso inconsueto e oggetto di una contemplazione totale e vertiginosa. Allora, tornando al tuo incrocio, attendi il passaggio di qualche auto. Fai la fila insieme agli altri, non succede nulla di insolito, e nulla deve succedere come detto; poi d’un tratto t’accorgi della indicibile straordinarietà che c’è in ciò che sta ordinariamente accadendo. All’improvviso prendi distanza dall’ordinario, lo osservi come se ci fossi cascato dentro per la prima volta, e ti domandi: che senso ha tutto questo nostro andirivieni senza sosta in delle scatolette mobili? Che ci facciamo qua? È sorta allora la tua meraviglia, lo stato di stupore, una condizione propriamente mistica, laddove mistico non vuol dire lontano e irraggiungibile, ma, al contrario, e sottolineo al contrario, alla portata di tutti, talmente alla portata di tutti e talmente legato all’ordinario da abissarsi quasi sempre, da diventare ineffabile e invisibile perché troppo alla portata, troppo ovvio, perché proprio lì sotto il tuo naso da sempre. Ecco perché chi ha uno sguardo stupito vi darà sempre l’impressione di un bambino incantato dalle più enormi banalità o di uno buono solo a complicare l’ovvio: è naturale, perché è dall’ovvio che lui si lascia impressionare e trasportare nello stato a cui perviene con quella torsione dello sguardo sul vivere. L’ovvio è esattamente l’infinito e ineusaribile, unico e stupefacente mistero da comprendere, è lì sotto gli occhi di tutti, e per questo è più d’ogni altra cosa sfuggente. Il fatto stesso che qualcosa in generale sia, è questa la meraviglia massima per chi si risveglia nello stupore, o la massima ovvietà per gli altri. L’attitudine filosofica autentica non è che la capacità di sprofondare negli abissi senza fine dell’ovvia totalità in cui sempre stiamo.