di Francesco Greco
Misconosciuta, anzi, rimossa: dalla Storia, dalla memoria popolare, dall’immaginario collettivo. Ma siamo figli dei tempi e questo, che sembra un tempo senza speranza per i giovani, può essere quello che annoda i fili della nostra Storia e illumina gli eventi che hanno costruito la nostra identità.
Anche il Salento ha avuto la sua Rivoluzione. Ne scrisse il sommo poeta Vittorio Bodini in un memorabile reportage per la rivista “Omnibus” (1951). L’inviata di “Noi Donne” invece fu scacciata. A quel tempo il giornalismo era serio, autorevole, decisivo (come si dimostrò poi al processo in Corte d’Assise a Lecce, con gli articoli letti dal pm della Procura di Trani Biagio Cotugno che forse puntellarono la sentenza di assoluzione perché non c’era il reato).
Non come oggi: sociologia, acqua fresca per comari da bar sport.
Qualche documentario in anni recenti. Tutto qui. Difetto di comunicazione si dirà. Damnatio memoriae evocata dalla scuola e l’intellighentia, diremo. E non per caso. Più si cancella il passato, più si asserve una comunità e la si può dominare spingendola su disvalori, contagiando i surrogati da cui è aggredita la quotidianità.
Eppure fu una Rivoluzione di popolo, che dovrebbe continuare a intrigare chi volesse scannerizzarla (come ha fatto Salvatore Coppola). Affascinato almeno da un elemento: la sovrapposizione semantica con la più celebrata Rivoluzione d’Ottobre. 1905-1917 quella russa. 1920-1947-1950 in Salento: invasione delle terre abbandonate (tra Fattizze, Case Arse e Carignano); 2.000-4.000 contadini e braccianti piantarono bandiere rosse e tricolori cucite dalle sarte dell’Arneo (Nardò, Veglie, Monteroni, Trepuzzi, Guagnano, Carmiano, Salice, Copertino, Leverano, Campi S.) e cominciarono a dissodare e coltivare le terre: tanto che, primavera 1951, al processo, i contadini offrirono i frutti del lavoro: piselli, fave e altre delizie fresche.
Una scena che a immaginarla fa venire i brividi. Mentre l’agrario Achille Tamborino, senatore, da Maglie, proprietario di quelle terre, va a dire, ammantandosi di ridicolo, che gli servivano per la caccia, e di non sapere esattamente i loro confini, e comunque non aveva avuto danni. 15 contadini furono condannati a un mese, col condono e la non iscrizione (art. 633, “chiunque invada arbitrariamente terre altrui al fine di trarre profitto”).
L’epopea fra il 28 dicembre 1950 e la primavera 1951 (ma le occupazioni erano iniziate nel 1947), è ricostruita con un respiro narrativo essenziale che trasfigura l’epos da Tina Aventaggiato in “Vento freddo sull’Arneo”, editore Loffredo, Napoli 2013, pp. 255. € 13.50 (collana “I Semi di Partenope”), con l’emozionante prefazione di Gianni Giannoccolo, testimone del tempo (“uomini e donne veri… di quell’esperienza poi è stata segnata la loro vita (…) in seguito ai duri anni di guerra si era radicalmente mutata la psicologia dei contadini”).
La password usata oscilla fra la tragedia greca (Odissea su tutte) e la lotta dei comuneros (contadini con terre in comune) peruviani narrata dal grande Manuel Scorza. Pure qui una sovrapposizione metodologica: Scorza vagò per le Ande armato di magnetofono, la scrittrice nata in Grecìa (Castrignano dei Greci, vive a Poggiardo), ha recuperato dalla memoria le storie udite da piccola, dal padre soldato in Etiopia; storie che ha arricchito con le sapide tracce dell’affabulazione popolare d’oggi. Il tutto poi stemperato in un romanzo storico che attinge ai canoni del neorealismo e del verismo, che intreccia elementi oggettivi e documentali al vissuto quotidiano del Salento rurale, librandosi verso la poesia più pura quando contamina il racconto con i sentimenti e le storie d’amore dei personaggi: Pati e Cristina, Arcona e Yusuf prima, l’ebreo Isaiah poi, Vera e Aldo Specchia “lo scemo di guerra”. Incluso il thriller che tanto piace alla narratrice (“Abigail è tornata”, sempre con Loffredo, 2012): una vecchia colt della guerra d’Africa sparisce all’inizio e riappare in un muretto alla fine.
E dunque l’Arneo, cuore vivo del Salento, in lotta per il pane e la dignità. Figli di un dio minore, tornati dal fronte, scoprono che mentre loro combattevano, i padroni e i furbi si arricchivano col mercato nero. Non solo, ma anche che la legge della Repubblica che ovunque in Italia assegna le terre con l’enfiteusi, per loro non vale. La coscienza politica nata sui fronti dove hanno combattuto (guerra coloniale compresa) non li rende però più disposti a tollerare un mondo ingiusto, le disparità sociali, le esclusioni, la fame.
Dove la scrittrice è insuperabile è nel tracciare la composizione di classe rigidissima in un feudalesimo cristallizzato e antistorico, sullo sfondo di un canovaccio pregno di etos, modulato sull’antropologia, la sociologia, il conflitto di classe. Al processo tentarono di incolpare i contadini di aver bruciato le loro stesse biciclette: tutto ciò che avevano per campare.
Un’opera memorabile (“Arneide”), scritta in stato di grazia, che dovrebbe essere adottata nelle scuole per rafforzare identità vacillanti, puntellare memorie fragili, rafforzare radici esili. Il suo oblio è funzionale al dominio delle nostre menti. Se ci occupiamo di subcultura (Grande Fratello, talent, soap e spam vario), di vuoto feticismo, chiusi in casa, quando mai guarderemo alla nobiltà del passato per decodificarlo e cercare così di governare il nostro futuro?
un bibliotecaio che aveva conquistato un regno, disse: leggendo ho acquistato l’esperienza di altri, usandola per i miei scopi. dunque leggere fa bene, se poi leggiamo delle nostre radici, dei nostri padri e nonni, leggiamo il nostro futuro, perché l’esperienza dei nonni e dei padri dovranno facilitare il nostro domani.
Camminare nell’Arneo è come leggere un libro ma molti percorrono iin auto troppo velocemente le strade per raggiungere il mare. I figli di quei contadini si scuotono le mani alzando una sola pietra dei muretti a secco e comprano le verdure nei supermercati a …km0.
Una precisazione. Achille Tamborrino, morto pochi anni fa, non era il senatore, ma suo figlio. Fu lui a testimoniare al processo, non avanzando alcuna rivendicazione. L’istruttoria fu promossa esclusivamente dalla forza pubblica, formatasi durante il periodo fascista ed incapace di gestire un movimento di tale portata. I proprietari dei terreni in questa vicenda rimasero in disparte. Certo fu una bella pagina di storia.
Su questo punto non posso essere pienamente d’accordo. Se è vero che il processo lo volle Magrone (della PS) Tamborrino tenne una linea doppia. Da un lato non prese di petto le occupazioni evitando la rivoluzione e dall’altro negoziò col governo quale parte del latifondo farsi espropriare. Non è un caso che alla fine sarà espropriata la parte peggiore del suo latifondo e gli assegnatari saranno scelti dalla DC e dagli stessi Tamborrino!
Camillo la legge stralcio prevedeva l’esproprio delle terre incolte o mal coltivate. Era la legge che prevedeva che la parte coltivata, prevalentemente le Fattizze per intenderci, rimanesse a loro, la restante parte doveva essere espropriata. Considera che loro subirono espropri anche nell’otrantino. Tuttosommato non erano preoccupati dalla vicenda. Erano talmente ricchi! Considera che vi erano i Basile, i Del Balzo, i Malfatti…i proprietari erano tanti. Non solo i Tamborrino. Per quanto riguarda l’assegnazione li ebbe un ruolo la DC e a loro non sfuggi nulla. Ai Tamborrino ed agli altri poco interessava se un assegnatario aveva o meno la tessera del PCI del PSI o della DC. Ho incontrato Tamborrino quando girai il documentario. Era ancora vivo. A loro venne ingiunto di lasciare le terre, con una certa celerità e metodi spicci proprio dalla DC. L’unica cosa che ha raccontato era che non sapevano come fare con gli animali da transumanza, le famose vacche podoliche, le pugliesi. Sul resto in processo non disse nulla. Si trincerò dietro ripetuti “non so, non ricordo”. Ci sono gli atti del processo. Comuqnue mi è piaciuto l’articolo.
Ciao Luigi,sapevo che sei uno specialista della materia e mi induci a nuovi approfondimenti. Sono felice che i fatti dell’Arneo interessino altri. Per me scrivere sull’Arneo è stato bisogno di identità e quindi ricerca dei fatti, nella Storia, che la determinano. Sono stata insegnante in tutta la mia vita e credo di aver fatto anche una operazione didattica:dare ai giovani non solo i fatti della Storia ma anche le emozioni e i sentimenti che muovono le persone a d agire. Migliaia di persone umili che trovano la forza di ribellarsi a condizioni ingiuste di vita. Che bella storia da gridare per il Salento!
Ho condiviso il post cosi’:”A nome di mio padre e dei suoi compagni di lotta,ringrazio per questo bel post.”