di Armando Polito
Ciò che sto per documentare è un esempio ante litteram di lotta biologica e risale al XVI secolo. Antonio de Ferrariis alias Galateo (1444-1517) nel De situ Japygiae scritto tra il 1506 e il 1511 ma pubblicato postumo a Basilea per i tipi di Pietro Perna nel 1558 così ricorda una delle calamità che affliggevano la Terra d’Otranto ai suoi tempi: Gignit etiam regio bruchos; ii parum peninsulae fines trasgrediuntur. Peculiare huic regioni malum, animalia sunt, quae omnia solo tactu foedant, omnia devorant, omnia more hostium vastant: nihil qua transeunt virens, nihil intactum relinquunt. Videre saepe rustici suas messes, suos annuos labores pene maturos, ac falcibus vicinos, una qua ibi bruchi nocte castrametati sunt, atra ingluvie, et acutis dentibus corrosisse, et quandoque ab arboribus non abstinent. Vacavit Provincia hac peste multis annis, ope marinarum avium, quas Gainas appellant, quarum ova, aut pullos ne quis violaret, lege cautum est. Hae bruchorum foetus tamquam a Deo missae, rostris e terra excavant; deinde post aequinoctium vernum, quum e terra prodire incipiunt, devorant implumes, ut sic dicam, seu non dum alatos, deinde volantes depascuntur. Hoc contigisse Plinius ait incolis Casii montis, quibus praesidio erant Seleucides aves, locustis eorum fruges vastantibus. Nunc autem avium, quas diximus defectu (eorum enim foetus post bruchorum interitum vastare coeperunt) aut deorum ira aut aliqua ignota nobis iniuria bruchi rediere, et iterum felices Salentinos campus populari coeperunt.
Traduzione: La regione pure genera cavallette; esse quasi oltrepassano I confini della penisola. Flagello peculiare per questa regione, sono animali che recano rovinano tutto col solo contatto, divorano ogni cosa, ogni cosa distruggono secondo il costume dei nemici: per dove passano nulla nessun vegetale lasciano intatto. Spesso i contadini hanno constatato che i bruchi, laddove una sola notte avevano messo gli accampamenti, avevano divorato con l’atra bocca e con gli acuti denti le loro messi, le fatiche di un anno quasi mature e vicine alla falciatura; e talora non si tengono lontani neppure dagli alberi. Fu al riparo la provincia da questa peste per molti anni grazie agli uccelli marini che chiamano gabbiani, le cui uova o i piccoli perché nessuno toccasse ci si cautelò con una legge. Questi, quasi mandati da Dio, col becco estraggono dalla terra i feti delle cavallette; poi, dopo l’equinozio di primavera, quando cominciano ad uscire dalla terra, li divorano implumi, per così dire, o non ancora alati, poi li divorano pure quando sono in grado di volare. Plinio dice che ciò capitò agli abitanti del monte Casio ai quali erano di aiuto gli uccelli seleucidi [Seleucia era il nome di varie città dell’Asia] quando le locuste devastavano le loro messi. Ora invece per difetto degli uccelli di cui abbiamo parlato (infatti cominciarono a sterminare i loro piccoli dopo la morte delle cavallette) o per ira degli dei o per qualche offesa a noi sconosciuta le cavallette son tornate e hanno cominciato di nuovo a devastare i felici campi salentini.
Ho tradotto con cavalletta il bruchus dell’originale. Tale voce evoca subito l’italiano bruco, al quale ha dato origine. Ora qualcuno dirà che tra il bruco e una cavalletta c’è una bella differenza. Certo, ma il problema è che bruchus nel latino classico indica costantemente la cavalletta, in quello medioevale (anche nella variante brucus) sia il bruco che la cavalletta. Io ho privilegiato in traduzione la cavalletta sulla scorta di una delle testimonianze che seguono e, quando arriveremo, riprenderò il discorso.
E poco dopo, siamo sempre al Galateo, con riferimento particolare a Gallipoli: Longe ab urbe mille passibus insula est pari ambitu. Hic Gainarum avium, quas diximus, magnus proventus, et toti provinciae salutaris.
Traduzione: Lontano dalla città un miglio c’è un’isola di pari circonferenza. Qui grande è l’abbondanza di uccelli gabbiani, dei quali ho detto, e salutere per tutta la provincia.
Che il flagello fosse antico lo confermano alcune memorie anteriori rispetto al Galateo. La prima fa parte del Chronicon neritinum di un certo abate Stefano e risalente al XIV secolo, testo che, però, la critica quasi concordemente considera un falso settecentesco, uno dei numerosi attribuiti al Tafuri:
1220 Fora li grillli per omne loco di terra d’Otranto e fecero de lo grande danno, che se mangiariono li seminati.
1230 Foro tanti grilli, che se mangiaro omne cosa, che foe na compassione, et dicti grilli foro per tutto lo Reame, che lo imperadore mandao ordine, che omneuno dovisse andare pe ammazzareli. Ma non si fece nulla; et lo abbati de placare la ira de Dio ordenao se dovessi fare processioni di penitenzia, e s’incomenzao de la prima giovedì de pascha, et duraro fin’a la festa de la Pentecoste: et così se fece pure in omne anno pe liberare la cettate da sì brutti animali, che fanno mulcto danno e rovina.
E, dopo questa testimonianza quanto meno dubbia, passo ad altre più sicure. Nelle cronache di Antonello Coniger (seconda metà del XV secolo):
1468 Lo Imperatore Federico III venne da la Manghain Roma ad accomandato da Papa Paulu II. Foro in questo Rengho, et sinnanter in Terra d’Otranto tanti li Bruculi, che tutti li Grani, Legumi mangiavanu, et durò pe paricchi anni, et po pe voluntà de Dio sparera suli.
1478 … Foro tante de Campie grandi ad modo di Lucerte, che se mangiavano tutte le Vigne, che fo de besogno mittere gran quantità d’huomini cum forfici a farele talliare, altramente ghastavano tutto.
1506 … in questo anno vennero li Bruchi in Terra d’Otranto, et in Lecce li fero una scomunica, che poco danno fera.
Nei Diarii di Lucio Cardami (XV secolo):
1458 Indictione sexta. A dì 20 Aprile vennero in omne terra d’Otranto tanti de brucoli, che fo no stopore, et se mangiaro omne seminato, vigneto, albori, et omne cosa, et pe tutto l’anno ci fo na penuria grande.
Nelle cronache appena citate i nefasti protagonisti hanno il nome di grilli, brùculi, campie, bruchi, brùcoli. Soffermo la mia attenzione su brùculi (di cui brùcoli è variante) e càmpie, tenendo conto, per comodità, del singolare. Brùculo suppone un *brùchulu(m) diminutivo di bruchus. Càmpia, che nel dialetto salentino indica sempre quello che in italiano intendiamo come bruco, coincide col neogreco κάμπια (leggi càmpia) che è dal greco classico κάμπη (leggi campe), entrambi col significato di bruco. Nel dialetto salentino la cavalletta è chiamata crucùddhu che è da un precedente *brucullu(m) anch’esso diminutivo. come *brùchulu(m), di bruchus, attraverso il passaggio b->c– per influsso della seconda sillaba di *brucullu(m). Tenendo proprio conto della distinzione semantica tra càmpia e crucuddhu io propenderei ad attribuire, perciò a tutti i bruchus/bruco incontrati, compreso quello del Galateo che avevo lasciato sospeso, il significato di cavalletta, anche perché l’attributo di volante più volte ricorrente mal si adatterebbe al bruco propriamente detto.
Bruchi o cavallette che siano, che il problema fosse particolarmente grave anche in tempi successivi a quello del Galateo lo dimostra la Prammatica prima De Bruchis emanata l’8 ottobre 1562 dal Vicerè Duca d’Alcalà D. Perafante de Ribera, il cui testo riporto di seguito (in parentesi quadre le mie note esplicative) da Blasio Altimaro, Pragmaticae, edicta, decreta, regiaeque sanctiones Regni Neapolitani, Raillard, Napoli, 1682, v. I, pagg. 217-218: DE BRUCHIS Titulus XXIII Pragmatica prima. Havendo Noi havuta relatione, che i Bruchi, che l’anno passato furono in Puglia, e nell’altre Provincie fecero gran danno a’ seminati, e che se non vi si rimedia per tempo ad estirparli, nell’anno prossimo da venire, saranno per multiplicare in un numero infinito, e fare un danno eccessivo, e tale, che non sia inteso mai il simile, e sarà per consumare, e rovinare tutti i seminati, che si faranno, e causare una gran penuria, e fame; al che volendo Noi per tutti i modi, e vie possibili rimediare, per loro estirpatione, per evitare sì intollerabile danno, ci è parso con deliberatione, voto e parere del Regio Collateral Conseglio, appresso di noi assistente, far l’infrascritte provisioni, et ordini videlicet.
1 In primis, atteso, che sogliono questi animali a tempo, ch’hanno da morire, che comunemente è nella stagione di Giugno, cercano un luogo duro e arido, dove ponendosi, et essendo loro nato un vermicciuolo nelle parti posteriori, cavano con quello, e tanto battono, che bucano quel terreno, e dentro quelli buchi fanno le lor’ova, e dalla natura si formano certe vainelle [diminutivo di guaina, che è dal fr. ant. guaine, a sua volta dal latino vagina] o cannoli, grossi poco più d’un deto picciolo, e longhi più d’un mezzo palmo, dentro le quali vainelle si conservano quell’ova poste dalla natura strettissimamente, et in tanta quantità, che con gran difficoltà si potrebbero numerare. Per questo noi ordiniamo, e così espressamente comandiamo, che l’Università delle Città, Terre, e luoghi mandino esploratori et huomini pratici per gli loro Territorii, i quali truoveranno i luoghi, dove sono andati a fare le ova, il che è facile a truovare, essendo solito di Massari conservare diligentemente i luoghi, dove sogliono sementare; e trovati detti luoghi, ordinare, che al tempo, che sarà nei mesi di Settembre, et Ottobre, poi d’haver piovuto alquanto s’arino con diligenza quei luoghi, dove stanno; poiche con l’aratro si facciano quelle vainelle, donde stanno, et escono sopra la terra, e che dopo l’acqua le venga ad infracidare, di tal maniera, che non habbiano più effetto, né possano nascere.
2 Praeterea, vogliamo, e così ordiniamo, che l’Università delle Città.Terre e luoghi debbano far raccorre nel loro territorio, dove si truoveranno questi animali, videlicet: Per ciascuno fuoco un quarto di tumolo, e quelli ciascuna sera presentare a Capitani, et Eletti delle Terre, i quali debbano farli mettere dentro de i fossi, et ivi consumargli, e triturarli, con bruciargli, e dove vi fosse acqua corrente, o mare, buttarli nell’acqua, dove putrefatti non daranno più noia; e questo debba durare per alcuni dì, e tanti, quanti parerà a detti Ufficiali, accioche totalmente s’estirpino
3 Di più vogliamo, e così espressamente comandiamo, che al tempo, che cominciano a nascere, e saltare questi velenosi animali, i padroni de’ seminati da quella parte delle terre salde, dove si sogliono porre al mangiare herba, facciano un fosso, convenientemente grande; et essendo la natura loro di andare sempre al fresco, come sentiranno un poco di caldo, s’andranno a porre dentro di quel fosso, dove essendovi entrati, si debbano ricoprire della terra cavata dal fosso, la qual terra, , quando si caverà, s’ha da porre su la sponda, et orlo de’ seminati, e lasciare piana e libera la parte dove quelli stanno, e da dove hanno da entrare nel fosso, perche truovandosi alcuno impedimento di terra, o d’altra cosa, non correrieno al fosso: atteso, che non possono volare tanto in quel tempo; per questo s’ha d’avvertire, che la parte, d’onde hanno da entrare nel fosso, resti piana, e libera. Et ancora vogliamo, e così espressamente ordiniamo, e comandiamo, che al tempo, che saranno nati questi animali, che è verso l’Aprile, poco più, o meno, tutti coloro, che tengono porci, debbano fargli andare a mangiare i Bruchi, atteso, che detti porci gli appetiscono, e tanto, che li cercano, e cavano fin da sotto terra; e li truovano dovunque stanno. Et oltre ciò ordiniamo, e così expresse comandiamo, che tutti i Massari a’ tempi congrui, e debbiti, debbano spandere un lenzuolo, o ragana (che dicono) in terra, e là gittar’alcuno di questi Bruchi, dove vedendoli gli altri, si vengono a porre dentro al lenzuolo, o ragana, e così li debbano pigliare, poi piegare detto lenzuolo, et adunarvi dentro tutti quelli, che vi sono, e di tal sorte, stirpargli. Et acciòche le sopradette provisioni s’habbiano da osservare, et eseguire, per convenire, così al servitio di S. M., e beneficio universale de’ suoi sudditi, ci è parso darne carico a Voi, per esser dell’importanza, che sono; e perciò vi diciamo, et ordiniamo, che dobbiate al presente farla pubblicare per tutte le Città, Terre, e luoghi di coteste a voi decrete Provincie, con dar ordine a’ Sindaci, Eletti, Università, Huomini, e Massari di quelle, che debbano con ogni esattissima diligenza, e sollecitudine attendere ad eseguire quanto di sopra si contiene, con imponer pena di ducati mille, et altra maggiore, a nostro arbitrio riservata, a quelli, che contravverranno, e voi tenerete particolar pensiero, che ne i tempi congrui, e debbiti s’osservino, et eseguiscano i detti nostri Ordini, e Provisioni, e contro de’ trasgressori eseguirete, e farete eseguire per le sudette pene irremissibilmente; tenendoci avvisati di passo in passo di quanto occorrerà, non fando il contrario per quanto s’ha cara la gratia, e servitio della Prefata Maestà. Datum Neap. Die 8 Octob. 1562. D. Perafan. Vidit Albertinus Reg. Vidit Villanus Reg. Vidit Reverterius Reg. Vidit Patign. Reg. Soto Secret. Dirigitur Gubernatori Principatus Citra.
Il fenomeno, comunque, era così eclatante e l’opera dei gabbiani così preziosi da restare immortalati nella mappa Apulia, quae olim Iapygia, nova corographia di Giacomo Gastaldi uscita nel 1595, che in basso riproduco dal sito della Biblioteca Nazionale di Francia.
In dettaglio: