di Armando Polito
Il toponimo
In attesa che le risultanze archeologiche emerse dagli scavi del 2007-2008 (vedi Castrum Minervae, a cura di Francesco D’Andria, Congedo, Galatina, 2009) confermino definitivamente, magari grazie ad ulteriori fortunati nuovi ritrovamenti (una bella statua di Minerva, per esempio, o anche una sua parte, purché l’una e l’altra siano in grandezza naturale o, meglio ancora, ultranaturale, sarebbe la prova quasi finale …1) che Castro sia da identificarsi proprio come il luogo del primo sbarco di Enea immortalato da Virgilio, riporto di seguito, in ordine cronologico, le testimonianze letterarie a me note e che mettono in campo per il nostro territorio un tempio di Minerva. Come si noterà solo quelle del poeta mantovano e di Dionigi d’Alicarnasso contengono qualche dettaglio descrittivo:
a) Lo Pseudo Probo (III secolo d. C.) nel suo commento In Vergilii Bucolica, VI, 31 ci ha tramandato un frammento dalle Antiquitates rerum humanarum di Varrone (II secolo a. C.-I secolo a. C.): Idem Vergilius in tertio Aeneidos ubi primum Italiam, quo auspicati sunt, ac templum in arce Minervae accesserint, quod est oppidum Minervae sacrum, unde nomen castrum Minervae habet conditum ab Idomemeo et Salentinis. De qua re haec tradit Varro. In tertio Rerum Humanarum refert: Gentis Salentinae nomen tribus e locis fertur coaluisse, e Creta, Illyrico, Italia. Idomeneus e Creta oppido Blanda pulsus per seditionem bello Magnensium cum grandi manu ad regem Divitium ad Illyricum venit. Ab eo item accepta manu cum Locrensibus plerisque profugis in mari coniunctus per similem causam amicitiaque sociatis Locros appulit. Vacuata eo metu urbe ibidem possedit aliquot oppida condidit, in queis Uria et Castrum Minervae nobilissimum. In tres partes divisa copia in populos duodecim. Salentini dicti, quod in salo amicitiam fecerint [La stessa cosa (dice) Virgilio nel terzo (libro) dell’Eneide quando per la prima volta, conformemente agli auspici tratti, si sarebbero accostati all’Italia e al tempio sulla rocca di Minerva, che è una città sacra a Minerva, donde ha il nome di Castrum Minervae, fondata da Idomeneo e dai Salentini. Su questo Varrone tramanda queste cose. Nel terzo (libro) de I fatti umani riferisce: Si dice che Il nome della gente salentina si sia formato dalle combinazione di tre luoghi, da Creta, dall’Illirico, dall’Italia. Idomeneo cacciato da Creta dalla città di Blanda per una sedizione durante la guerra contro i Magnensi venne con un grande esercito nell’Illirico presso il re Divizio. Dopo aver ricevuto pure da lui un esercito, unitosi in mare con i Locresi e parecchi profughi accomunati da un progetto simile e dall’amicizia, approdò a Locri. Dopo che la città per la paura era stata evacuata lì se ne impadronì e fondò parecchie città tra cui Uria e la famosissima Castrum Minervae. L’esercito fu diviso in tre parti e in dodici popoli. Furono detti Salentini perché avevano fatto amicizia in mare).
b) Virgilio (I secolo a. C.): Aeneis, III, 530-536: Crebrescunt optatae aurae portusque patescit/iam propior, templumque apparet in arce Minervae;/vela legunt socii et proras ad litora torquent./Portus ab euroo fluctu curvatus in arcum,/obiectae salsa spumant aspergine cautes,/ipse latet: gemino demittunt bracchia muro/turriti scopuli refugitque ab litore templum (Cresce il vento favorevole a lungo desiderato e un porto ormai alquanto vicino si apre e sulla rocca di Minerva appare un tempio; i compagni ammainano le vele e volgono le prue a riva. Il porto è curvato ad arco dal mare di levante, gli scogli spumeggiano battuti da spruzzi salati e lo stesso (porto) è nascosto: scogli alti come torri stendono le (loro) braccia in un doppio muro e il tempio si allontana dalla riva).
c) Dionigi di Alicarnasso (I secolo a. C.), Antichità Romane, I, 51, 3: Οἱ δὲ σὺν Αἰνείᾳ ποιησάμενοι τὴν ἀπόβασιν οὐ καθ᾽ ἓν χωρίον τῆς Ἰταλίας, ἀλλὰ ταῖς μὲν πλείσταις ναυσὶ πρὸς ἄκραν Ἰαπυγίας ὁρμισάμενοι, ἣ τότε Σαλεντῖνος ἐλέγετο, ταῖς δὲ λοιπαῖς κατὰ τὸ καλούμενον Ἀθήναιον, ἔνθα καὶ αὐτὸς Αἰνείας ἐτύγχανεν ἐπιβὰς Ἰταλίας. Τοῦτο δὲ τὸ χωρίον ἐστὶν ἀκρωτήριον καὶ ἐπ᾽ αὐτῷ θερινὸς ὅρμος, ὃς ἐξ ἐκείνου λιμὴν Ἀφροδίτης καλεῖται …(Quelli che con Enea intrapresero il viaggio non approdarono a un unico luogo d’Italia ma con la maggior parte delle navi al capo di Iapigia che allora era chiamato Salentino, con le restanti di fronte a quello chiamato Athenaion [=tempio di Atena], dove pure lo stesso Enea capitò dopo aver messo piede in Italia. Questo luogo è un promontorio e nei suoi pressi vi è un ormeggio estivo che da quegli [Enea] è chiamato Porto di Afrodite …).
Interrompo momentaneamente la carrellata degli autori perché credo che particolare attenzione vada riservata alle preposizioni che nei testi originali fin qui riportati corrispondono a tanti cartelli segnaletici o, meglio, costituiscono nel loro insieme i dati di una scatola nera in cui sono registrati i momenti salienti del viaggio:
1) ποιησάμενοι τὴν ἀπόβασι (alla lettera, che avevano fatto l’uscita): qui la preposizione che ci interessa (ἀπό) è incorporata nel sostantivo ἀπόβασιν, che deriva dal verbo ἀποβαίνω (=allontanarsi), a sua volta composto dalla preposizione ἀπό=via da+ βαίνω=andare. Ἀπόβασις (del quale ἀπόβασιν è l’accusativo) nei vocabolari è registrato con i significati di uscita, discesa, sbarco. Tali significati sottintendono come complemento di moto da luogo nave; nel passo di Dionigi, invece, il complemento di moto da luogo sottinteso è Troia e non a caso alla locuzione qui in esame si accompagna Οἱ δὲ σὺν Αἰνείᾳ (alla lettera: Quelli con Enea). Non tutti, come dirà subito dopo, sbarcarono nello stesso posto, dunque è evidente che ἀπόβασιν registra la partenza (che tutti fecero insieme) da Troia, non lo sbarco in Italia.
2) οὐ καθ᾽ ἓν χωρίον τῆς Ἰταλίας, ἀλλὰ ταῖς μὲν πλείσταις ναυσὶ πρὸς ἄκραν Ἰαπυγίας ὁρμισάμενοι (alla lettera: non in un solo posto dell’Italia ma con la maggior parte delle navi al capo di Iapigia approdarono).
Ho sottolineato le preposizioni su ciascuna delle quali farò ora le osservazioni. Κατἀ indica movimento dall’alto in basso e i significati che può assumere sono: giù, sotto, verso, di fronte, contro, durante. Nella traduzione l’ho reso con un diplomatico a che sembra togliere da ogni impiccio ma che non opera nessuna scelta tra diverse posizioni concettuali legate alla vasta gamma di significati offerti, come abbiamo visto, da κατἀ e che qui, tenendo conto del significato del verbo (approdare) potremmo restringere a sotto e a di fronte).
Πρὸς può significare verso o presso; nel primo caso, tenendo conto che il verbo è sempre approdare è privilegiato il movimento, nel secondo l’immediato risultato della sua cessazione).
3) ταῖς δὲ λοιπαῖς κατὰ τὸ καλούμενον Ἀθήναιον (alla lettera: con le altre a quello chiamato Athenaion). Anche qui ho reso κατἀ con un generico a. Ho già detto che la preposizione greca può significare sotto ma anche di fronte. Sostituendo nella traduzione a con sotto metto in risalto l’altezza della scogliera, sostituendolo con di fronte metto in risalto il tempio che, tenendo conto dell’idea originaria di movimento dall’alto verso il basso che κατἀ contiene, evoca una situazione nella quale è come se i marinai per un attimo si sentissero “guardati dall’alto in basso” dal tempio proprio mentre loro lo guardano dal basso in alto, finché, procedendo, esso non è più visibile. Ma tutto questo, forse, non è parallelo al refugitque ab litore templum (il tempio si allontana dalla riva) virgiliano?
Riprende ora la carrellata sugli autori poco fa interrotta.
d) Strabone (I secolo a. C.-I secolo d. C.): Geographia, VI, 3, 5: Τοὺς δὲ Σαλεντίνους Κρητῶν ἀποίκους φασίν. Ἐνταῦθα δ᾽ ἐστὶ καὶ τὸ τῆς Ἀθηνᾶς ἱερὸν πλούσιόν ποτε ὑπάρξαν, καὶ ὁ σκόπελος, ὃν καλοῦσιν ἄκραν Ἰαπυγίαν, πολὺς ἐκκείμενος εἰς τὸ πέλαγος καὶ τὰς χειμερινὰς ἀνατολάς, ἐπιστρέφων δέ πως ἐπὶ τὸ Λακίνιον ἀνταῖρον ἀπὸ τῆς ἑσπέρας αὐτῷ καὶ κλεῖον τὸ στόμα τοῦ Ταραντίνου κόλπου πρὸς αὐτόν (Dicono che i Salentini sono coloni di Creta. Qui c’è anche il tempio di Atena un tempo prestigiosissimo e il promontorio che chiamano capo Iapigio, che si distende per largo tratto verso il mare e verso l’oriente invernale volgendosi all’incirca verso il Lacinio che gli si oppone da occidente e che chiude la bocca del golfo tarantino di fronte ad esso).
Il riferimento generico ai Salentini non obbliga, secondo me, ad intendere che Strabone abbia dato un’unica collocazione geografica ristretta al Capo Iapigio (Leuca) e al tempio di Minerva e che, perciò, quest’ultimo potrebbe benissimo non essere quello su cui poi venne eretto il tempio cristiano.
e) Livio (I secolo a. C.-I secolo d. C.): Ab Urbe condita, XXXII, 7, 3: Ii magna inter se concordia et senatum sine ullius nota legerunt et portoria venalicium Capuae Puteolisque, item Castrum portorium, quo in loco nunc oppidum est, fruendum locarunt colonosque eo trecentos , is enim numerus finitus ab senatu erat, adscripserunt et sub Tifatis Capuae agrum vendiderunt (Essi [i censori P. C. Scipione Africano e P. E. Peto] con grande concordia tra loro e senza osservazione di alcuno scelsero il senato e appaltarono la riscossione delle tasse portuali a Capua e a Pozzuoli, parimenti appaltarono come dogana portuale Castro, nel qual luogo ora c’è una città e reclutarono per quel posto trecento coloni, questo infatti era il numero stabilito dal senato, e vendettero il territorio di Capua sotto il [monte] Tifata).
L’identificazione qualche tempo fa proposta (M. Pagano, Sull’identificazione di due centri fortificati del Salento: Rocavecchia e Castro, in Römische Mitteilungen 93, 1986, pagg. 345-356) del Castrum citato nel testo con la nostra Castro mi lascia piuttosto perplesso per l’ambito campano dei restanti dettagli toponomastici: Capua, Pozzuoli, il monte Tifata.
f) Servio (IV secolo), In Vergilii Aeneidos libros, VIII, 9: APPARET IN ARCE MINERVAE hic dubium est utrum “Minervae templum” an “in arce Minervae” debeamus accipere. Sane Calabria ante Messapia vocata est. Hoc autem templum Idomeneus condidisse dicitur, quod etiam Castrum vocatur (APPARET IN ARCE MINERVAE qui è dubbio se dobbiamo intendere “il tempio di Minerva” o“sulla rocca di Minerva”. Veramente la Calabria prima fu chiamata Messapia. Si dice poi che Idomeneo fondò questo tempio che si chiama anche Castrum).
Il problema interpretativo sollevato da Servio è strettamente connesso con il carattere più ambiguo della poesia rispetto alla prosa. Se, infatti, in prosa il genitivo per lo più precede il nome da cui dipende, lo stesso non avviene in poesia dove, anche per esigenze metriche, la disposizione delle singole parole è più libera. Perciò, se si fosse trattato di un testo in prosa saremmo stati quasi obbligati ad intendere Appare sulla rocca il tempio di Minerva. Tuttavia direi che la questione posta da Servio mi appare come un discutere di lana caprina perché è irrilevante, soprattutto ai nostri fini, se di Minerva è la rocca su cui appare il tempio (arx, nominativo di arce che è ablativo retto da in) oppure se di Minerva è il tempio che appare sulla rocca. In entrambi i casi arx può essere considerato per sineddoche (parte per il tutto) come sinonimo di castrum e sarebbe strano, oltretutto, che sulla rocca di Minerva ci fosse il tempio di un’altra divinità o che un tempio di Minerva proprio sulla rocca non fosse prova che la città era consacrata a tale dea. In fondo sembra ammetterlo lo stesso Servio nel periodo finale e, se dobbiamo stabilire delle priorità, direi che il problema poteva già considerarsi risolto con Varrone e il suo Castrum Minervae, locuzione della quale il Castrum serviano appare abbreviazione.
g) Tabula Peutingeriana (IV secolo), VI, 5: …. Ydrunte VIII Castra Minervae
h) Guidone (XII secolo), Geographia, 29: Hydrontus, Minervum, in qua templum Minervae, ubi Anchises pater Aeneae primo omen equos pascentes Italiam advectus prospexit, ut infit Virgilius (Otranto, Minervo, nella quale c’è il tempio di Minerva dove Anchise padre di Enea accostatosi all’Italia vide per la prima volta come presagio cavalli pascolanti, come comincia a raccontare Virgilio); 69-71: Si subtilius scire voluerit totas civitates circumquaque parte per litora maris positas ordinatim unam post alteram … designabo, incipiens ab urbe Ravenna … Barium quae et Monopolis, Augnatium, Spelunca, Saunium, Valetum vel Valentium quae et Carpinium, Brundisium, Liccia, Ruge, Ydrontus, Minervum, Beretos quae nunc Leuca, Yentos quae nunc Augentum (Se uno vorrà sapere più dettagliatamente tutte le città tutto all’intorno poste sulle coste del mare una dopo l’altra … indicherò cominciando dalla città di Ravenna … Bari che è detta anche Monopoli, Egnazia, Spelonca, Saunio, Valeto o Valenzio che è detta anche Carpinio, Brindisi, Lecce, Rudie, Otranto, Minervo, Vereto che ora è chiamata Leuca, Iento che ora è chiamata Ugento).
Se Guidone è attendibile, Minervum appare, toponomasticamente parlando, come la tappa intermedia tra Castra Minervae della Tabula Peutingeriana e l’attuale Castro.
i) Anonimo, Chronicon breve Northmannicum de rebus in Iapygia et Apulia gestis in Graecos (1041-1085), pubblicato per la prima volta nel 1794 da Ludovico Antonio Muratori nel tomo V dei Rerum Italicarum scriptores: Humphredus fecit praelium cum Graecis circa Oriam et vicit eos. Gaufredus comes comprehendit Neritonum et Ditium. Robertus comes ivit super Callipolim et fugatus est iterum exercitus Graecorum in terra Tarentina et captum est Hydrontum et castrum Minervae (Umfredo fece un combattimento con i Greci intorno ad Oria e li vinse. Il conte Goffredo prese Nardò e Diso. Il conte Roberto andò su Gallipoli e in terra tarantina l’esercito dei Greci fu messo in fuga per la seconda volta e furono prese Otranto e Castrum Minervae).
Mi pare doveroso informare il lettore che l’opinione prevalente tra gli studiosi è che questa cronaca sia una delle falsificazioni settecentesche di G. B. Tafuri entrate nella raccolta muratoriana3.
Pacichelli (A), pag. 165
Pacichelli (C, anno 1686)
Fuori della città di Alessano, la terra di San Pietro in Galatina grande e vaga del Duca Spinola, e Castro (in collina questa) nel Capo, che a pena si sa dove sia, passando in proverbio per tutto.4
Pacichelli (A)
B Castello (mappa/http://www.bbmarina.it/wp-content/uploads/2011/02/DSC_3277-e1320955696768.jpg)
D Vescovato/Chiesa dell’Annunziata (mappa/http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/1/1c/Vescovado_Castro.jpg)
G Porto (mappa/immagine tratta ed adattata da Google Maps)
Stemma di Castro (mappa/http://it.wikipedia.org/wiki/File:Castro_(Puglia)-Stemma.png)
(CONTINUA)
Prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/12/19/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-114-presentazione/
Seconda parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/12/23/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-214-alessano/
Terza parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/01/05/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-314-brindisi/
Quarta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/01/09/la-terra-dotranto-ieri-414-carpignano/
Quinta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/01/14/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-514-castellaneta/
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1 Quella, per così dire, iniziale è costituita da una statuetta bronzea di Atena iliaca (in basso nelle immagini tratte da http://relicsquest.blogspot.it/2010/04/lathenaion-di-castro-fu-il-salento.html) che, insieme con altri reperti di uso cultuale autorizza a supporre che l’area corrisponda all’Athenaion citato, come vedremo, da Dionigi di Alicarnasso, che, così, non sarebbe altro che il templum Minervae citato, come anche in questo caso si vedrà, da Virgilio.
2 Il suffisso –ιον (leggi –ion) aggiunto al nome di una divinità ne indica per lo più il tempio [Ἡραῖον (leggi Eràion)=tempio di Era], raramente il simulacro [Παλλάδιον (leggi Pallàdion)=statua di Pallade]. Qui è evidente che l’Athenaion è il tempio e non certo il simulacro.
3 Nel presentarlo il Muratori così si esprime: Quare ante Annum 1127 Historiola haec scripta videtur, adeoque non contemnenda. Debeo illam Nobili, simulque Literarum amantissimo Viro, Ignatio Mariae Como Neapolitano, qui exemplar obtinuit a praeclarissimo, & doctissimo Viro Petro Polidoro. Monente autem Polidoro ipso, descriptus fuit hic Libellus ex Codice Msto Archivi Episcopalis Ecclesiae Neritinae, et collatum cum altero Clarissimi Viri Jacobi De Franchis, et unius ex Marchionibus Taviani. Neritinus Codex circiter Annum 1530 scriptus videbatur; alter vero ex scripturae forma, aliisque coniecturis credebatur exaratus sub finem Seculi XII, aut initium sequentis XIII (Perciò [in base ad elementi cronologici interni] questa breve storia sembra scritta prima del 1127 e perciò non è da disprezzare. La debbo al nobile e nello stesso tempo amantissimo delle lettere Ignazio Maria Como di Napoli che ottenne una copia dal famosissimo e dottissimo Pietro Polidoro Su consiglio poi dello stesso Polidoro questo libretto fu trascritto da un codice manoscritto dell’archivio vescovile della chiesa neretina e confrontato con un altro dell’illustrissimo Iacopo De Franchis e di uno dei marchesi di Taviano. Il codice neretino sembrava scritto intorno al 1530; l’altro invero per la forma della scrittura e per altre congetture si credeva scritto verso la fine del secolo XII o all’inizio del XIII).
4 Ignoro quale sia questo proverbio (a meno che non sia riferito a Capo) ma sento l’eco delle parole del Pacichelli in Cesare Brandi (1906-1988), Pellegrino di Puglia, Laterza, Roma, 1977, s. p.: Ora io dirò di Castro, come se Castro fosse un luogo famoso; e invece nessuno lo conosce. A parte gli abitanti, siamo davvero pochi ad essere arrivati su quel punto quasi estremo della costa, a cavaliere fra Santa Maria di Leuca e Santa Cesarea.
Complimenti, Armando, per questo interessantissimo documento.
Nulla di eccezionale, a parte l’originalità di qualche riflessione testuale. Grazie, comunque, per i complimenti.
Si tratta di puntualizzazioni testuali molto interessanti, che creano varchi di luce tra le cognizioni approssimative che può avere, seppure attento, il lettore comune. Complimenti, Armando e… buon lavoro.