di Pino de Luca
Fine di una lunga giornata, ho conosciuto un giovane che si chiama Tonio e che ha riprese l’antico mestiere di fare le cose di argilla.
Mi ha detto una cosa che condivido in tutto. Chissà se riusciremo a riprodurre alcuni antichi strumenti di cottura?
Io mi sono fatto persuaso che se voglio riprodurre una antica ricetta ho bisogno di riappropriarmi non solo degli ingredienti ma anche delle antiche sapienze. Non me ne frega una cippa delle “tendenze dei nuovi SuperMasterChef”, ho voglia di rifare la “menza”, lu “tiestu” e la “quatara”, voglio la mia parte di vino nel capasone e nella ozza. e non per un “ritorno nell’aulico passato” ma proprio per ricominciare a ricostruire quel futuro del quale siamo stati derubati!!!!
Anch’io! Ma proprio per un “ritorno nell’aulico passato” e per motivi ecologici. L’estate scorsa a San Foca in una assolata giornata d’Agosto ho scoperto lu ‘mbile. E’ incredibile come riesca a mantenere fresca l’acqua o il vino senza la necessità del frigo!
Convengo. Ho scoperto con raccapriccio che molti cucinano il risotto (il Signor risotto) in pentola a pressione. A prescindere dal fatto che si cuoce a temperatura decisamente più elevata che nel metodo tradizionale e che, per conseguenza, la forza, esiste un problema che definirei “etico”, un risotto deve essere accudito, coccolato, accarezzato e deve cuocere alla giusta temperatura per il tempo dovuto, con la giusta densità, mai troppo all’onda, mai troppo asciutto. Il metodo principe ed insostituibile (sfido qualunque pentolaccia a pressione) rimane la pentola di coccio o di terracotta che dir si voglia. Quando la si acquistava doveva essere affogata in acqua per una notte, poi asciugata e strofinata con aglio o cipolla in ogni sua parte, poi poteva venire utilizzata per secoli. Incamera e ridistribuisce il calore in modo uniforme, accogliente, avvolgente. La cottura a pressione, anche se apparentemente dignitosa, restituisce un risotto con un retrogusto plasticoso, sfibrato, anemico.