di Leonardo Gatto
Quando dalle consultazioni on line per il Presidente della Repubblica venne fuori il nome di Rodotà mi sentii infinitamente ignorante perché non conoscevo a fondo l’uomo e il suo pensiero, pur sapendo bene cosa rappresentasse quella figura nel mondo della sinistra.
Così decisi di comprare il suo ultimo libro, “Il diritto di avere diritti” e iniziai a leggerlo nei ritagli di tempo che di solito dedico alla lettura.
Pagina dopo pagina mi ritrovo a leggere una riflessione sui diritti dell’uomo nel solco di teorie che conosco bene e che credo stiano diventando sempre più centrali per comprendere quello che oggi molti chiamano “cambiamento”, senza avere piena coscienza della portata di questo termine.
I continui riferimenti del giurista alle teorie degli anni sessanta formulate dalla scuola di Toronto che hanno visto come precursori Innis e Mc Luhan sono chiari pagina dopo pagina, così come è palese il richiamo ad andare “oltre il senso del luogo” per comprendere meglio i limiti e le potenzialità di una società in continua e inarrestabile metamorfosi.
La scuola di Toronto, appunto, formulò quasi 50 anni fa la teoria del determinismo tecnologico, secondo la quale tutti i mutamenti nelle società sono stati in gran parte determinati dalla comparsa sulla scena di nuove tecnologie. Così il fuoco (inteso come la possibilità di avere luce anche di notte e dunque estensione degli occhi), la ruota (possibilità di spostarsi più rapidamente e dunque estensione delle gambe), il papiro poi carta e infine libro (estensione della parola “pensata”), per arrivare all’era elettronica (estensione del sistema nervoso centrale) della quale siamo i protagonisti, sono i motori fondamentale dei vari cambiamenti e rivoluzioni che l’uomo ha in parte subito nel corso della storia.
Da un punto di vista generale l’impatto dei media elettronici sulla società ha alterato il contesto situazionale classico creatosi in seguito alla diffusione della stampa che, negli anni, ha contribuito a “dividere” persone diverse in mondi informativi molto diversi basati su formazioni e interesse per generi diversi.
Questa tendenza è stata accentuata dall’ isolamento di individui in “luoghi” (fisici e informativi) diversi, creando così differenti identità sociali basate sulle esperienze specifiche e limitate che si potevano vivere in determinati “posti” o in base al diverso grado di comprensione della scrittura. Esistono libri per bambini, riviste per sole donne o per gli appassionati di caccia, ma in rete può esistere un sito di politica gestito da un comico di professione. La realtà sociale alla quali siamo abituati si “allarga” in questo luogo nuovo in cui i ruoli sociali classici assumono carattere diverso a seconda degli interessi dei singoli al di là delle loro specifiche professionalità. Si può tornare a fare il mestiere per il quale si ha una specifica preparazione, ma questo non impedisce a nessuno “invasioni” del tutto legittime in altri campi, purché accettate come credibili e al netto dalla pregiudiziale derivante dal settore professionale di provenienza.
Non è un caso che la rivoluzione femminista degli anni sessanta e settanta in America coincida con l’arrivo nelle case statunitensi della televisione, medium elettronico che ha permesso alle casalinghe del tempo di “vedere” la vita oltre le mura domestiche e ribellarsi alla struttura patriarcale che le aveva costrette al perenne ruolo di custodi del focolaio domestico.
Se c’è un aspetto sociale che la rete mette sotto i riflettori permettendo una riflessione non scontata è la partecipazione. Partecipare alla vita sociale di una comunità vuol dire trattare insieme ad altri soggetti questioni che riguardano il senso comune delle cose, dai fatti della vita alle regole della comune convivenza di una comunità. Ecco che partecipare vuol dire interessarsi di un argomento ritenendolo utile al progresso della comunità della quale si ritiene di far parte. Ma se nella vita reale interessarsi, quindi partecipare, richiede la presenza in luoghi specifici in momenti particolari della giornata o in giorni determinati della settimana (vedere una partita di calcio o assistere ad un consiglio comunale richiedono la presenza in luoghi determinati nei giorni prefissati) quando si è in rete la concezione stessa dell’interesse che riponiamo in una determinata attività cambia sostanzialmente a seconda dei fini che personalmente rincorriamo.
Una volta che le informazioni sono in rete tutto cambia, abbiamo la possibilità di scegliere di vedere il consiglio comunale piuttosto che la partita quando vogliamo, dando all’informazione una nuova vita che va oltre il luogo fisico o il tempo nel quale è stata generata. Questo nuovo luogo, la rete, non decontestualizza l’informazione come fanno i vecchi media cartacei o i primi media elettronici (televisione) ma la conserva nella sua forma essenziale in quanto riproduce fedelmente la realtà che ha prodotto quella stessa informazione, il contenuto è stato prelevato alla fonte e “congelato” in rete così come è nato. E se modificato, alterato nel senso del significato o ulteriormente mediato viene riconosciuto come falso, manipolato e non accettato come credibile. Ecco che nasce un percorso inverso a quello che ci ha portati all’individualismo cronico di cui le società contemporanee sono la massima e, contemporaneamente, ultima espressione.
Il fatto stesso di sentirci partecipi di più esperienze nello stesso momento e indipendentemente dal luogo fisico in cui ci troviamo rende vulnerabile il nostro individualismo, messo a dura prova dagli effetti collettivistici che contraddistinguono l’ambiente creato dalle nuove tecnologie elettroniche, che oggi hanno la forma materiale di un libro pur non presentando i limiti informativi e di portabilità che contraddistingono il classico volume cartaceo. Il mondo così come lo conosciamo sta per finire, o comunque è in profonda crisi proprio perché affronta questo cambiamento epocale, del quale la storia ricorda pochi ma incisivi precedenti. Ultimo di questi è senza dubbio collocabile intorno al XV secolo quando Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili, la prima stampante in serie della storia. Da quel momento il libro passò da oggetto per pochi a strumento di molti, insieme alle informazioni e alla professionalità che in esso erano racchiuse. Allo stesso modo Jobs, circa 500 anni dopo, ha messo nelle mani di molti una tecnologia altrettanto innovativa e dallo stesso carattere rivoluzionario. Non è difficile immaginare gli sviluppi dei prossimi decenni se si analizza il passato in chiave tecnologica, così come non è impossibile ignorare la portata del cambiamento in atto imposto dalla presenza sulla scena mondiale di strumenti che fanno girare informazioni di ogni tipo e che di fatto mettono l’individuo mettendolo in condizione di “essere dove vuole quando vuole”, in base alle informazioni che ritiene opportuno andarsi a cercare.
In quest’ottica assume un significato nuovo anche il binomio Globale/Locale, che lo stesso Rodotà identifica come “Glocale”, un nuovo modo di intendere il rapporto tra singoli locali e l’insieme che uniti, o meglio connessi, rappresentano; sia per quanto riguarda l’approccio ai diritti fondamentali dell’individuo sia per quanto riguarda la gestione collettiva degli spazi fisici che come piccola comunità, tutti i giorni, siamo chiamati ad occupare.
Parlare oggi del futuro di un luogo inteso come Locale nel quale ci rapportiamo non può prescindere da queste considerazioni, così come non si può parlare di cambiamento se non si prendono in seria considerazione tutte le implicazioni che questo termine deve portare nelle vite dei cittadini della nostra comunità, sia dal punto di vista del singolo individuo sia come comunità. Il rischio di continuare ad essere provinciali, approssimativi e poco incisivi nel sistema è alto, così come è indubbio la nostra scarsa propensione alla “concorrenza leale” nei confronti di un globale del quale facciamo parte e che riguarda tutti quei borghi che fanno della loro unicità il punto di forza per uno sviluppo sostenibile della popolazione e del territorio. Lavorare per un’inversione di rotta non è cosa semplice e non lascia, a mio avviso, spazio a mediazioni o intese tra parti politiche orientate alla pura conservazione di strutture ormai obsolete e non in grado di rappresentare istanze di carattere collettivo.
Solo un ricordo, Rodotà passò molto tempi in Parlamento, faceva parte di un gruppo di intellettuali di sinistra che venivano eletti nelle liste del PCI e formavano il gruppo parlamentare “indipendenti di sinistra”. Elaboravano teorie e strategie e facevano da cerniera fra le variegate anime della sinistra dentro e fuori dal parlamento. Tanto è vero che venivano rispettati anche dai gruppi extraparlamentari che nei cortei lanciavano slogan anche contro Berlinguer.