di Franco Contini
Ezio Sanapo è un artista contemporaneo.
L’affermazione, solo apparentemente scontata, trova sostegno nella acquisita consapevolezza che l’arte del passato continua a comunicare, comunque e, indipendentemente dalla conoscenza che si ha della vita privata e, a volte, intima, degli artisti che l’hanno generata.
Chiariamo il concetto:
L’arte contemporanea, intendendo con questi termini anche e soprattutto, quella di ricerca più avanzata, per essere compresa appieno e quindi goduta, consumata, fruita, non può, assolutamente, prescindere dal vissuto quotidiano dell’autore, dell’uomo-artista.
Soprattutto del quotidiano vissuto in età giovanile, cioè durante la formazione della coscienza civica ma, anche, senza ordine di importanza, della coscienza etica, estetica, sentimentale ed emozionale dell’Uomo.
Per queste ragioni, in questa sede, parleremo dell’uomo prima, per arrivare, poi, a dare spessore alla affermazione iniziale: EZIO SANAPO, artista contemporaneo.
La storia personale di Sanapo è una storia che si dipana con una serie di fatti, di eventi significativi, di quelli che segnano la memoria in modo indelebile. Fatti da lui stesso rievocati durante alcuni colloqui con il sottoscritto. E’ una storia, potremmo dire, fatta, in sostanza, di negazioni e impedimenti.
Sanapo non vanta paternità artistiche, non ha frequentato una scuola di formazione specifica. Nè istituto d’arte, nè Liceo Artistico. Neppure lo studio privato di un qualsiasi maestro locale. Si ritiene, con un velo di orgoglio, autodidatta assoluto.
Dopo la quinta elementare è impedito agli studi dal padre, muratore, il quale vuole che il figlio segua le sue stesse orme.
Da ragazzino, in conflitto con il padre è costretto a inventarsi, per rendersi autonomo, attività riduttive. A diciotto anni appena compiuti, sempre per volere del padre, emigra in Svizzera.
Tutte queste circostanze gli consentiranno la conoscenza e l’importanza dei rapporti umani a contatto con lavoratori di paesi ed etnie diverse.
L’irrigidimento dei sentimenti, dunque, diviene sistema-espediente educante alla durezza della vita che, per la psiche di un bambino, è come fuoco ardente di una forgia, che rende molli i metalli, ai quali, se non si da nuova forma, restano materia grezza.
La pittura è il suo modo di comunicare e riempire il vuoto di sentimenti non corrisposti ma anche e soprattutto, per conoscere la realtà che lo circonda e smascherarla quando assume forme virtuali e fittizie.
Sostiene che “l’arte è militanza civile, serve per stimolare le coscienze”, per lui “l’artista è uno stato d’animo”.
Al suo ritorno in Italia prende coscienza della perdita di identità del ceto popolare al quale sente di appartenere e perciò, negli anni settanta, cerca di recuperarla svolgendo concretamente volontariato in attività politiche e sindacali.
Acquisisce la consapevolezza che il suo essere artista debba considerare non solo gli aspetti estetici ma anche e, soprattutto, la responsabilità etica e politica, di rendere visibili le forme possibili della realtà irreale, priva dei punti di riferimento, tradotte in maniera figurativa.
Orienta la sua ricerca artistica con una certa attenzione al mondo operaio e contadino, trattando argomenti come i diritti negati allo sfruttamento dei lavoratori. Tematiche sociali riguardanti attività lavorative insolite quanto provocatorie.
Estremamente provocatore per quel periodo, come ad esempio nell’opera raffigurante l’uomo dedito al ricamo, un tempo esclusiva attività della identità femminile. Non si comprese, invece che era la rappresentazione di un cambiamento epocale della società. Che il lavoro non sarebbe appartenuto più ai generi maschile o femminile. Non ci sarebbero stati più netturbini o soldati solo maschi, ne ostetriche o ricamatrici solo femmine. Ce l’avrebbe imposto la precarietà e la diminuzione del lavoro, il grande problema che oggi tutta l’Europa conosce bene. Sanapo si rivela dunque più provocatore, vate, trent’anni prima, di una drammatica e irrisolvibile, sembra, situazione lavorativa attuale.