di Gianni Ferraris
Pensavo al cuore che batte senza stancarsi mai. “Che macchina perfetta” diceva mio padre. Perché il cuore? Boh, mi è venuto in mente così. Il cuore in fondo è anche un simbolo, si dice per dire amore, o per dire infarto, dipende dai punti di vista. Viaggiando si impara, sculture di sabbia sulle spiagge, culi dorati, occhi chiusi al sole. Qualche libro. Poi la sera mangiando pesce fritto seduti su uno scoglio, poi la mareggiata contro le rocce, poi il cemento alzato e ancora rialzato perché il molo tenga. Un molo multistratificato a Castro marina. Dietro al molo, non verso il mare, proprio dietro, al bar, si legge il giornale e si commentano notizie. La politica (nulla a che vedere con la polis, piuttosto con il caos) stanca un po’. Un po’ tanto, un po’ troppo, e noi ne parliamo comunque, convinti che forse cambierà qualcosa… domani.
Intanto le rondini volano basse verso il tramonto, cercano qualcosa da mangiare, cercano di sopravvivere, anche loro hanno un cuore che batte.
“Visto che dice Berlusconi?” mi dice il barista che sa della mia insana passione per le cose della politica. Oggi non commento, lo guardo e gli chiedo “un bianco fresco, la primavera è calda quest’anno” non gli dico del cuore, neppure degli occhi sorridenti del bimbo sul passeggino. Macchè, sto pensando ad altro, a quel dolorino che mi perseguita ed io dal medico prima o dopo ci andrò. Ma sto pensando a quelle alzate alle quattro del mattino perché gli occhi si spalancano da soli e cercano l’orologio che spara sul soffitto i numeri delle ore. Comodo guardare l’ora stando coricati. Poi il primo caffè. Poi il secondo mentre il tempo batte con il cuore e i pesci nel mare che si fanno gli affari loro, e fuori le rondini del mattino iniziano con le prime luci a svolazzare qua e là. Lo so, sto scrivendo parole in libertà, senza coda e senza capo, senza capo e senza coda. Parti dal cuore e finisci nel pesce fritto così, come se fosse normale. Le parole sopra le scrivevo nella primavera 2013. Le ho trovate sperse fra le pagine del computer il giorno della befana del 2014.
Neppure fosse passato un attimo, anche oggi ero a Castro al sole. Quasi un pellegrinaggio a sentire il profumo del mare, a vedere barche stanche e il barista, un altro stavolta, una botta di vita non guasta, a Castro si può. Questo non dice di politica, in realtà dice solo l’essenziale, forse ha esaurito le parole. Forse le emozioni, chissà.
Castro, il mare, un bianco fresco bevuto al sole caldo. E un pensiero banale che mi sfarfalla in testa come una falena da qualche giorno: “due è fatto da uno e un altro uno. Due non esiste nella realtà”. Ecco, l’ho detto. La coppia è fatta di due facce, due corpi, due modi di emozionarsi, di pensare, di vedere il rosso e il giallo, di pensare al sorriso del bimbo sul passeggino. Se così non fosse sarebbe un Giano bifronte.
Ogni/uno ha la sua specificità, a volte la sua incomunicabilità. Ogni uno ha la capacità di vedere l’altro uno, a volte di parlargli. Apparentemente questione di lana caprina, l’ovvio, l’assurdo. Però poi condividi e ci pensi, e va a finire che ti dici che in fondo è la meraviglia dell’essere uno che avvicina, intreccia, sublima, integra. Essere due volte uno, spesso aiuta a stare da soli. Si è due (uno più uno) anche quando ci si tiene per mano ognuno con il suo pensiero.
Salento! Terra di ulivi e terra dove c’è Castro e il mare che ti fa pensare (quando sei in due) che in fondo è bello essere uno. Salento di Dolmen e Menhir. San Giuliano è una frazione di pochi abitanti, la notte è silenziosa con il cane che abbaia quando passi e rompi il silenzio senza parlare, basta muoversi per farsi ascoltare. A San Giuliano c’è un ristorante con il ristoratore che ama l’arte. Se vai in bagno ci sta appeso il puzzle di uno dei quadri più imponenti della storia dell’arte contemporanea, in realtà non è bello, però è di una potenza che ti fa volare, l’Urlo di Munch. Lo guardi e ti chiedi se quel signore che corre urlando (lui è uno) sta fuggendo da una tragedia o sta andando verso il dramma che ha visto. Per meglio vedere, forse per portare aiuto e conforto. Magia del Salento anche questa, magia di un altro Uno (il ristoratore) che ti costringe, anche in bagno, a pensare di non poter essere solo.
In Piemonte, a Natale, ho mangiato agnolotti e porceddhuzzi. Poi ho portato qui un vino che mi hanno regalato, è portoghese. Dalla terra del Negramaro a quella del Barolo e del Barbera ed io arrivo in Salento con vino portoghese. Ah, la globalizzazione