di Paolo Rausa
Nella ‘Cucina del Salento’ Giorgio Cretì passa in rassegna il repertorio delle ricette salentine, non prima di aver definito il Salento o Terra d’Otranto coincidente grossomodo con la parte della provincia di Lecce posta a sud del capoluogo, la terra dei ‘Pòppiti’, suddivise in cumpanaggi, gli antipasti, le minestre e i sughi, i secondi di terra e di mare, – non dimentichiamo che la penisola italica, come dice Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia, ‘apre il suo grembo da ogni lato al commercio dei popoli e lei stessa che, come per aiutare gli uomini, si slancia ardentemente verso i mari!’ – gli ortaggi, i legumi e le verdure agresti, e infine le coseduci, i dolci.
Ma prima di addentrarsi nelle pietanze, negli ingredienti e nella grammature l’autore sottolinea il fatto che il recupero della cultura contadina, espressa nei muretti a secco, nelle pagghiare, nelle aie, nei manufatti, nelle ceramiche e nell’uso della pietra leccese, passa anche attraverso la tutela del patrimonio popolare rappresentato dalla tradizione culinaria, tipica di chi lavorava in campagna dal mattino al sorgere del sole e che non aveva tempo e sostanze per una cucina che non prevedesse l’utilizzo dei prodotti della terra coltivata.
Anche dopo il lavoro, nei rari momenti di socialità trascorsi alla puteca de mieru, le cose non cambiavano molto, anche se qui si potevano gustare i pezzetti di cavallo, la matriata, i turcinieddi annaffiati da ucale di vino, che andavano e uscivano dalla cucina. Ed è lì che ci riporta questo ricettario di Giorgio Cretì con i termini rigorosamente in dialetto salentino, il cui significato si perderebbe nella notte dei tempi se non fossero indicati meticolosamente i nomi e le quantità delle materie prime, che siano erbe e legumi (ciceri e la pignata, fae e fogghe, sanapi e alici, cecore e fae, rape nfucate, ecc), pasta fatta in casa (maccaruni de uergiu cu la recotta scante, recchie cu le rape, tianu de risu pidate e cozze, ecc), pesce e raramente carne (pezzetti e gnemmarieddi o purpu a la pignata) e dolci (mustazzoli, cupeta, carteddate, ecc.).
Una rassegna succulenta che si sofferma di tanto in tanto a spiegare dal punto di vista antropologico i prestiti e le origini di certe pietanze oppure le usanze ex voto delle tavole di San Giuseppe. Ora non resta che mettersi a prepararle, così da gustare i sapori di un tempo perduto e ritrovato. Giorgio Cretì, Cucina del Salento, Capone Editore, Lecce, 2011, € 7,00.