di Rocco Boccadamo
Secondo le ultime statistiche ufficiali, il debito pubblico italiano, a fine ottobre 2013, ha raggiunto la cifra di 2085 miliardi d’euro.
Pensare, che il sottoscritto serba ancora vivo il ricordo del momento in cui, intorno al 1980, la medesima risultanza arrivò a toccare la soglia di 516 miliardi (per l’esattezza, all’epoca si trattava di un milione di miliardi delle cessate lire), suscitando molti clamori e fiumi di commenti, ma, a seguire, nella sostanza, ahinoi niente altro.
L’attuale esposizione, come è noto, corrisponde ad oltre il 130% del prodotto interno lordo e, ragguagliandola alla popolazione del nostro paese, sarebbe come dire che, sul capo di ogni cittadino, gravi pressappoco un fardello di 34.750 euro.
Da notare che su questo autentico «baratro» corrono anche gli interessi e, di conseguenza, viene quotidianamente a determinarsi una sensibile lievitazione.
Eppure, di siffatto dato che caratterizza i conti dello Stato si sente parlare meno che di altre faccende (si crede forse che qualche grazia divina metterà le cose a posto?), laddove, abnorme spesa pubblica a parte, la più pesante palla al piede dell’Italia è rappresentata proprio dal debito. Il guaio è che, oggi come oggi, non si discerne minimamente attraverso quali strumenti porvi rimedio, nemmeno proiettando e diluendo la soluzione del problema nell’arco dei decenni a venire.
Per la verità, un percorso esisterebbe: visto che si va da sempre affermando che nel nostro Paese alligna un’enorme evasione fiscale (redditi non dichiarati per diverse centinaia di miliardi e, in correlazione, minori imposte riscosse dallo Stato stimate da autorevoli fonti nell’ordine di centotrenta miliardi all’anno), perché, una volta per tutte, non si focalizza l’attenzione su questo punto?
In proposito, una mia piccola personale idea: dal momento che intratteniamo, ormai in via consolidata, cordiali e amichevoli rapporti con gli U.S.A. ed essendo notorio che in tale Paese le tasse vengono pagate da tutti e su qualsiasi reddito, perché non ricorriamo alla collaborazione delle Autorità americane, facendoci aiutare ad organizzare e a mettere a regime un’efficiente macchina fiscale?
Credo che basti volerlo, però volerlo veramente.
Non capisco nulla di economia e di finanza, ma succede che a volte anche il parere di un ignorante, buttato lì per caso, risulti poi risolutivo. Premesso che è utopistico immaginare che da parte nostra l’evasione fiscale sia considerata un reato gravissimo (tanto più per uno stato che si dichiara cattolico e, perciò, seguace dei principi cristiani …) e, comunque, un atteggiamento moralmente schifoso (l’America sotto questo punto di vista è avanti anni luce), considerato che coloro che hanno il compito di fare le leggi, soffocati da un immane groviglio di interessi e guidati da uno spirito non di servizio ma di asservimento, non hanno alcun interesse a porvi mano, rimarrebbe solo un’iniziativa popolare (chiaramente guidata da persone oneste, le uniche ad averne interesse …) che miri all’eliminazione fisica del denaro. Ogni transazione, dall’acquisto del giornale a quello della Ferrari, ogni movimento, dal dono al prestito, avverrebbe solo tramite carta di credito, emessa anche da qualsiasi banca, con il controllo automatico ed automatizzato di tutti i movimenti da parte dell’Agenzia delle entrate. La tecnologia, come dicono quelli che sanno parlare, già c’è o, comunque, non dovrebbe essere complicato inventare carte di credito miniaturizzate con display e stampantina annessi che consentano al possessore e alla pubblica amministrazione di poter controllare, quando vogliono e in tempo reale, rispettivamente la sua situazione e il gettito. Sarebbe un ulteriore favore alle banche, ma almeno questo sortirebbe l’effetto di porre fine alla nostra peggior vergogna che, però, per chi ci sguazza, rappresenta spesso motivo di vanto. Costoro porterebbero subito il denaro all’estero? Meglio, sarebbero costretti pure a viverci e l’Italia ritornerebbe ad essere il Bel paese e in più diventerebbe anche il Paese degli onesti.