di Rocco Boccadamo
Purtroppo, l’assunto di cui al titolo di queste note non è una celia, bensì una dolorosa e triste realtà.
Ho recentemente letto che, durante il 2012, nel nostro paese si è registrato un fatturato legale per giochi e scommesse pari a novantaquattro miliardi d’euro, cifra che fa letteralmente tremare le vene ai polsi, considerando anche che va integrata di ulteriori dieci miliardi relativi all’analogo giro d’affari illegale.
E dire, che si sta attraversando una lunga parentesi di crisi, anzi di crisi tremenda, paragonabile unicamente a quella del 1929.
Siamo proprio sicuri che la piaga della ludopatia sia una conseguenza della fase congiunturale depressiva, come taluni vogliono sostenere? Non è che, al contrario, sia l’abnorme spesa in giochi e scommesse a incidere, in parte, sulla crisi?
Ad ogni modo, di fronte ai novantaquattro o centoquattro miliardi scialacquati maldestramente entro i nostri confini, si pensi che i cinque paesi più poveri del mondo – Sierra Leone, Guinea Bissau, Burundi, Liberia e Congo – dove vivono oltre cento milioni di persone, vantano un prodotto interno lordo, in totale, di appena trentacinque miliardi d’euro, su cui, evidentemente, si deve basare il mantenimento o sopravvivenza di, giustappunto, cento milioni di nostri simili.
E noi giochiamo.
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Il governo ha appena deciso, con un decreto, l’abolizione
del finanziamento pubblico, o rimborso delle spese elettorali o contributi che dir si voglia, a beneficio dei partiti politici. La notizia è stata data con toni solenni e roboanti, quasi si trattasse di evento storico.
Riguardo alla cancellazione in parola, che sarà operante definitivamente a far data dal 2017, un comunicato di Palazzo Chigi rende noto che ”già con riferimento alla dichiarazione dei redditi relativa al 2013, ciascun contribuente potrà destinare il due per mille della propria imposta sul reddito delle persone fisiche a favore di un partito politico che si sia dotato di statuto”.
Ma, a parere dello scrivente, il meccanismo di soccorrere i partiti con una percentuale dell’Irpef è semplicemente una diavoleria, non sta né in cielo né in terra, giacché i milioni d’euro che pioveranno nelle casse dei partiti andranno pari pari in diminuzione del gettito nelle casse dell’Erario.
Insomma, una colossale presa in giro, quando, specie di questi tempi, ciò che è pagato sottoforma di tasse dalla generalità dei contribuenti deve restare, sino all’ultimo centesimo, allo Stato.
Finiamola, una volta per tutte, i partiti siano mantenuti unicamente da contribuzioni volontarie di simpatizzanti, iscritti, sponsor, eccetera, ma niente rivoli o rivoletti a valere sulle imposte pagate dalla generalità dei cittadini.
Né vale il particolare che è lasciato alla discrezionalità di ogni singolo dichiarante di crociare oppure no la casella del due per mille: siffatto percorso non deve essere proprio previsto.