di Armando Polito
Come in Puglia si fa contro il veleno/di quelle bestie, che mordon coloro,/che fanno poi pazzie da spiritati,/e chiamansi in vulgar tarantolati./E bisogna trovar un, che sonando/un pezzo, trovi un suon che al morso piaccia;/sul qual ballando, e nel ballar sudando/colui da sé la fiera peste caccia.
Francesco Berni (1497-1535), Orlando innamorato, XLI, ottava 6, vv. 5-8; ottava 7, vv. 1-4.
Mi ero ripromesso di angustiare il lettore con un post sull’argomento ad agosto, quando il nostro simpatico animaletto è ogni anno oggetto, inconsapevolmente (e, forse, almeno per lui è una fortuna …), di attenzione mondiale. Tuttavia, il recentissimo bel lavoro di Daniele Vigna fruibile, per chi se l’è perso, al link https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/12/12/la-scherma-il-codice-la-ronda-nella-notte-di-san-rocco-a-torre-paduli/, mi ha ispirato e indotto a bruciare i tempi, anche per non suscitare il sospetto di sfruttare l’evento della stagione per qualche contatto in più …
Quanto sia grande il quasi che nel titolo precede tutto lo lascio intuire al lettore (anche se l’ho anticipato con la dichiarazione d’invidia nei confronti dell’incolpevole protagonista) dichiarando apertamente che ciò che mi sta bene (cioè il fenomeno antropologico e, ancor più, il simpaticissimo presunto responsabile) è ormai un dettaglio fagocitato dal modo perverso di agire del nostro tempo che crede di fare opera meritoria contaminando artificiosamente la memoria storica col businnes1 (e questo non mi sta bene) …
Il lettore avrà pure intuito che qui non troverà clamorose ipotesi ad effetto sull’origine, magari aliena, della taranta ma solo osservazioni di natura etimologica che inizieranno dopo una parentesi iconografica.
Tavola tratta da Attanasio Kircher (1602-1680), Magnes sive de arte magnetica, Ludovico Grignano, Roma, 1641, pag. 874. Il cartiglio superiore contiene l’Antidotum tarantulae (L’antidoto della tarantola), cioè la composizione musicale con finalità terapeutica2; quello centrale reca la scritta Tarantulae Sive Phalangÿ Apuli Vera Effigies (Vera immagine della tarantola o falangio di Puglia); in quello inferiore si legge: a sinistra: Inferior pars Tarantulae Ventrem Exhibens (Parte inferiore che mostra il ventre della tarantola); al centro: Musica sola mei Superest medicina Veneni (Resta la sola musica come medicina del mio veleno); a destra: Superior pars dorsum Tarantulae exhibens (Parte superiore che mostra il dorso della tarantola). I tre cartigli, insieme con tre tarantole, hanno come sfondo una carta della Puglia in cui dall’alto in basso si leggono i toponimi: Bari, Bitonto, Polignano, Conversano, Aquaviva (Acquaviva delle fonti), Gravina (Gravina di Puglia), Cassano (Cassano delle Murge), Martina (Martina Franca), Cisternino, Taranto, Oria, Brundusi (Brindisi), Usano (Uggiano Montefusco), Scelino (Cellino San Marco), Maliano (Magliano), Maruzo (Maruggio), Lecce, Otranto, Nardo (Nardò), Galipoli (Gallipoli), Alesano (Alessano).
Tavola tratta da Attanasio Kircher, Phonurgia nova, R. Dreherr, Campidona, 1673, pag. 206. Nella parte superiore il titolo Typus Tarantiacorum saltantium (Tipo di tarantati che ballano) che mostra la danza delle spade o pizzica-scherma che l’autore, evidentemente, assimila alla pizzica terapeutica (notare in alto a sinistra la tarantola; non giungo ad affermare che lo sfondo potrebbe rappresentare Torrepaduli, però l’ho pensato …).
Tavola tratta da Kaspar Schott (1608-1666), Magia universalis naturae et artis, Herbipoli, s. n., 1657, tomo II, pag. 239. È l’evidente ricalco di quella del Kircher che dello Schott fu il maestro. C’è anche qualche differenza nei toponimi riportati che sono: Bari, Bitonto, Polignano, Conversano, Aquaviva (Acquaviva delle fonti), Gravina (Gravina di Puglia), Cassano (Cassano delle Murge), Martina (Martina Franca), Taranto, Oria, Cisternino, Unsano (Uggiano Montefusco), Maruzo (Maruggio), Brundusi (Brindisi), Nardo (Nardò), Otranto, Aresano (Alessano).
De Apula Aranea sive Tarantula ad Musicum subsiliens sonum (Sul ragno pugliese o tarantola che salta fuori al suono della musica). Tavola tratta da Cornelis Stalpart Van Der Wiel, Observationum rariorum medicarum anatomicarum chirurgicarum centuria prior, Petrum Van Der Aa, Leyde, 1687, pag. 439.
Tavola tratta da Wolferdus Senguerdius, Rationis atque experientiae connubium, Bos, Rotterdam, 1715, pag. 277. È evidente il plagio, sia pur parziale, dalla tavola precedente.
Tavola tratta da Antonio Pitaro (1767-1832), Parallèle physico-chimique entre le calorique, la lumière, l’électricité, le magnétisme, le galvanisme animal et le galvanisme métallique, ou Introduction à la théorologie galvanique, suivi de trois autres mémoires, dont un sur le tarentulisme, Giguet e Michaud, Parigi, 1805, pag. 72.
Le didascalie: 1 Tarentule de Baglivi prise dans les campagnes de Lecce (Tarantola di Baglivi3 presa nelle campagne di Lecce); 2 Tarentule de Valletta prise dans les campagnes de Nocera de Pouille (Tarantola di Valletta4 presa nelle campagne di Nocera di Puglia); 3 Tarentule de Pitaro prise dans les campagnes de Squillace (Tarantola di Pitaro presa nelle campagne di Squillace); 4 Tarentule d’Albin existante dans la collection de Sir Hans Sloanès prise dans le campagne d’ Otranto (Tarantola di Albin5 esistente nella collezione di sir Hans Sloane6 presa nelle campagne di Otranto). Didascalia dell’immagine in alto a destra senza numero: Tarentule vue en dessous ou par le ventre (Tarantola vista da sotto o dalla parte del ventre).
Da notare come in tutte le tavole riportate (altre non ne conosco) compaiono la tarantola e i musici terapeuti, mai il tarantato o la tarantata; tuttavia, nella tavola di Cornelis Stalpart Van Der Wiel vista precedentemente in taranta subsiliens (tarantola che salta fuori) taranta può essere inteso in doppio passaggio metaforico come veleno della taranta che salta fuori dal corpo del tarantato.
Termina qui la digressione iconografica e inizia la trattazione etimologica.
Mi piace iniziare riportando le parole di un grande conterraneo (in senso stretto, neretino), cioè il medico Achille Vergari che al tarantismo dedicò il saggio Tarantismo o malattia prodotta dalle tarantole velenose, uscito per i tipi della Società Filomatica a Napoli nel 1859.7
Proprio la parte iniziale del lavoro reca un sintetico elenco di proposte etimologiche. Per poter inserire le mie note di commento ho preferito riportare in formato testo e non immagine la parte che ci interessa (pagg. 5-6): “L’etimologia della Tarantola8, chi la crede derivata da θηράνθορα9 , θηρ fera – ἄυθορα venenum – animale velenoso. Chi da terrentula, pel terrore che produce la sua veduta10, o perché in terra latitat11. Chi da tarantin12, commovere grandemente; fenomeno proprio dell’animale e de’ morsicati dallo stesso, quando dall’azione del suono armonico vengono attivati. Chi da Taranto13, luogo nelle cui vicinanze più abbonda. Chi da Tarando14, animale di vari colori proprio della Scizia. Serao credeva che il vocabolo tarantola avesse potuto derivare da tara tara replicato, espresso nelle modulazioni musicali adatte a curare i tarantolati”.
Il Serao citato dal Vergari è Francesco Serao (1702-1783), medico, fisico e geologo napoletano e il Vergari sostanzialmente ha tratto tutte le notizie etimologiche prima riportate (eccetto quelle riguardanti θηράνθορα, terrentula e tarantin) dalla prima delle due lezioni universitarie che lo studioso napoletano dedicò all’argomento (Della tarantola ossia falangio di Puglia, s.n., Napoli, 174215). Dopo aver motivato la scarsa attendibilità della derivazione di tarantola da Taranto e, secondo me arrampicandosi sugli specchi, il suo favore a Tarando (vedi la mia nota n. 9), il Serao a pag. 35, quando si accinge a passare ad altro, ha un sussulto che registra nella nota o che riproduco di seguito: “Prima di uscir di questo proposito (che io non intendo avvolgermi di più in queste seccaggini) mi si permetta ch’io accenni un altro mio pensiero, sovvenutomi improvvisamente a favore di una nuova etimologia; che io non voglio proporre ad altro fine, se non per far vedere, che quando si tolga di mezzo l’originazione insipidissima presa dalla città di Taranto, qualunque altra cosa avrà più colore e grazia. Potremmo immaginarci, che i Pugliesi fossero stati usi di chiamare o tutte, o una sola particolar canzone, Taranta, o Tarantara, o Taratantara (voce, come ognun sa, usata già da Ennio16, Pugliese anch’esso, per esprimere il suono della trombetta, imitandone in certo modo lo strepito): e perciò quella famosa volgarissima canzonetta, chiamata Tarantella, sarebbe stata così chiamata da principio per questa guisa. Or poiché cominciarono i Pugliesi a sperimentare che il fuoco facesse tanto strano effetto in coloro, cui essi credevano morsi dal Falangio del lor paese; potrebbe esser vero, che eglino avessero voluto chiamar a quel modo il Falangio, come quello che avea tanta alleanza col suono per conto de’ mortificati da lui: nel qual caso la prima origine della voce Tarantola, della quale si quistiona, sarebbe da riferirsi al Tara replicato, e variamente profferito, per esprimere il suono di qualunque musico istrumento, o di alcuno in particolare, e di qualunque aria, o di alcuna certa e determinata. Torno a dire: io non mi fermo in questa conghiettura; contro di cui non mancherebbe che dire: ma pure ella mi sembra più naturale e giusta, che non è la comune degli Etimologisti”.
Accanto al taratàntara (con questo accento va letto per motivi metrici) di Ennio (III-II secolo a. C.) che rivendicherebbe l’origine antica di taranta c’è un altro taratàntara, sempre di natura onomatopeica, attestato in epoca medioevale. Ecco come il lemma è trattato nel Glossario del Du Cange (la traduzione a fronte è mia):
Non saprei dire se alla comune origine del taratantara enniano (suono della tromba di guerra) e di quello medioevale (rumore prodotto dal setaccio) corrisponda un rapporto di parentela o se l’uso della stessa voce sia puramente casuale. Se non è casuale ciò è un dettaglio non di poco conto, anche ai fini di risalire alle origini del fenomeno da cui siamo partiti, che in passato si ritenevano medioevali17 e per le quali recentemente è stata ipotizzata una drastica retrodatazione18. E se il suono sincopato della tromba di guerra ben si adatta a quello altrettanto sincopato della pizzica, come non pensare alla suggestiva somiglianza di forma tra il tamburello e il setaccio e, più che al rumore che lo strumento produce, al movimento regolare e cadenzato cui è (meglio, era) obbligato chi lo usa (meglio, usava)? Ma né la storia né l’antropologia culturale possono lasciarsi condizionare più di tanto dalla suggestioni che nell’impervio cammino della conoscenza sono sempre a tendere insidie dietro l’angolo. Insomma, come sempre, la ricerca della verità continua …
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1 Questa mia valutazione, della cui smentita sono da qualche anno in ansiosa quanto vana attesa, non riguarda solo l’evento Notte della taranta ma pure la saga di romanzi storici sui Messapi di Fernando Sammarco e la saga di fesserie su questo argomento ed altri di Tania Pagliara che chiunque può leggere in rete nella rubrica La lupa che tesse de Il tacco d’Italia all’indirizzo http://www.iltaccoditalia.info/sito/index.asp?s=4&t=82. Il fenomeno è particolarmente pericoloso se si pensa che ai romanzi del Sammarco è attribuita quella dignità che io ero abituato ad ascrivere solo alle fonti storiche; e non è attribuita da uno qualunque ma da Maurizio Nocera, docente di antropologia culturale dell’Università del Salento, in un suo post leggibile all’indirizzo http://www.unigalatina.it/index.php?option=com_content&view=article&id=608:salento-terra-che-un-tempo-aveva-nome-messapia&catid=37:sallentina&Itemid=61.
Se l’operazione del Nocera può essere definita quantomeno avventata, gli scritti della Pagliara, frutto di letture superficiali e di un raffazzonato copia-incolla, costituiscono un vero e proprio atto criminale, perché è un crimine costruire delle fandonie sapendo (ma forse l’autrice non si rende conto neppure di questo …) che i fruitori superficiali (magari fossero la minoranza …) della rete ne faranno man bassa e provvederanno a loro volta a diffonderle; e sarà il trionfo della scemenza fatta verità agli occhi degli ignoranti creduloni , complici anche le implicazioni e le suggestioni magico-religiose di certi argomenti.
2 Il Kircher in occasione di un suo viaggio in Puglia fatto nel 1630 per approfondire le sue teorie sul ruolo terapeutico della musica nei culti dionisiaci raccolse questa e le altre melodie che pubblicò nello stesso testo (pagg. 975-876) e che di seguito riproduco.
Una rielaborazione non filologica ma reinterpretativa dell’Antidotum tarantulae è nel brano Antidotum (S. Di Lauro-P. Mastronardi) incluso nel cd La favola di Bellafronte e altre storie uscito nel 2009 per l’etichetta Ph musica Worx. Di taglio filologico, invece, l’omonimo brano, eseguito da L’arpeggiata diretta da Christina Pluhar, che fa parte del cd, corredato di un corposo, non convenzionale libretto, La tarantella. Antidotum tarantulae uscito nel 2004 per l’etichetta Alpha.
3 Giorgio Baglivi (1668-1707), autore di De anatome, morsu et effectibus Tarantulae, D. A. Ercole, Roma, 1696. L’immagine che segue, tratta dalla pag. 270 dell’edizione di tutte le opere per la quale vedi alla fine della nota 13, ricalca lo schema grafico delle tavole di Kircher prima e Scott poi con qualche differenza solo nei toponimi che qui sono: Bisceglie, Bari, Monopoli, Conversano, Ostuni, Rutigliano, S. Vito, Brindesi (Brindisi), Gravina, Matera, Mottola, Oria, Otranto, Lecce, Taranto, Noha, Nardò, Gallipoli, Alessano, S. Maria (S. Maria di Leuca).
4 Ludovico Valletta, autore del De phalangio Apulo, De Bonis, Napoli, 1706, da cui è tratta l’immagine che segue.
5 Eleazar Albin, autore di Insectorum Angliae naturalis historia, 1731, testo integralmente consultabile e scaricabile da
6 Hans Sloane (1660-1753), questa è l’esatta grafia del nome, fu un medico e naturalista inglese; dal 1727 al 1741 successore di Isacco Newton alla guida della Royal Societ, fin da giovanissimo manifestò passione per il collezionismo.
7 Testo integralmente consultabile e scaricabile da http://books.google.it/books?id=XCsxAQAAMAAJ&printsec=frontcover&dq=achille+vergari&hl=it&sa=X&ei=Ki2CUubLIciThgfmgoD4CQ&ved=0CDQQ6AEwAA#v=onepage&q=achille%20vergari&f=false
8 L’italiano taràntola (dal latino medioevale taràntula) rispetto al salentino taranta mostra la stessa tecnica di formazione del toscano formìcola (furmìcula in salentino) rispetto a formica, dell’italiano spìgola rispetto a spiga e, per fare un esempio relativo al mondo vegetale, del salentino irdìcula rispetto all’italiano ortica. A proposito di taranta (probabile madre di tarantola) l’attestazione più antica che io conosca del vocabolo è contenuta nel De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius di Goffredo Malaterra (XI secolo) che così ricorda per l’anno 1064 (cito il testo originale da E. Pontieri, Rerum italicarum scriptores 2, v. I, 1928; la traduzione che segue, come tutte le altre, è mia): … Panormum usque perveniunt; atque in monte, qui postea Tarantinus [dictus est] ab abundantia tarantarum, a quibus ibidem exercitus eorum plurimum vexatus est, iubente duce – quem postea poenituit -, tentoria fixa sunt. Nam mons totus insitus tarantis, viris et mulieribus inhonestum, quamvis iis qui evaserint, ridiculosum hospitium praebuit. Taranta quidem vermis est, araneae speciem habens, sed aculeum veneni ferae punctionis omnesque, quos punxerit, multa et venefica ventositate replet: in tantumque angustiantur, ut ipsam ventositatem, quae per anum inhoneste crepitando emergit, nulla modo restinguere praevaleant et, nisi clibanica vel alia quaevis ferventior aestuatio citius adhibita fuerit, vitae periculum incurrere dicuntur. Tali inhonestate nonnulli nostrorum vexati, tandem locum mutare coguntur … (… alla fine giungono a Palermo e le tende furono fissate, per ordine del duca che dopo se ne pentì, sul monte che poi fu chiamato Tarantino dall’abbondanza di tarante dalle quali il loro esercito lì fu molto tormentato, Infatti tutto il monte è disseminato di tarante, ripugnante per uomini e donne, sebbene esso abbia offerto un risibile riparo a coloro che vi erano saliti. La taranta è un verme avente l’aspetto del ragno ma un pungiglione velenoso dalla dolorosa puntura e infonde in tutti coloro che ha punto una diffusa e venefica flatulenza e sono tormentati a tal punto che non sono in grado in nessun nodo di placare la stessa flatulenza che vergognosamente crepitando esce attraverso l’ano e si dice che corrono pericolo di vita se non viene applicato al più presto il calore di una teglia o qualsiasi altro che riscalda piuttosto energicamente).
Lo stesso autore per l’anno successivo: Antequam iret versus Panormum dux Robertus, et in monte Tarantarum, iuxta Panormum, tentoria fixisset, dux et comes Rogerius … (Prima che il duca Roberto andasse verso Palermo e ponesse le tende sul monte delle tarante presso Palermo, il duca Ruggero …)
Un tarentum (ma questa volta si tratterebbe di un serpente, a meno che nel testo serpentibus non debba intendersi nel suo valore originario di ablativo plurale di serpens, participio presente di sèrpere=strisciare (in tal caso a serpentibus andrebbe inteso da animali striscianti; va ricordato a tal proposito che serpens può avere anche il valore specifico, oltre che di serpente, anche di verme) fu il responsabile di altri guai, si direbbe ben più gravi, per i crociati secondo la testimonianza di Alberto d’Aix (XII secolo) nella sua Historia Hyerosolimitana expeditionis (cito dall’edizione della Patrologia Latina del Migne, v. 166, libro V, capitolo XL, colonna 534): Illic plurimos acervos lapidum repererunt, inter quos infinita manus debilis et pauperis vulgi dum fessa quiesceret et accubaret, a serpentibus, quos vocant Tarenta, quidam percussi, interierunt tumore, et prae intolerabili siti inaudita inflatione membris eorum turgentibus (Lì trovarono parecchi mucchi di pietre; mentre stanca si riposava e giaceva l’infinita schiera della gente debole e povera, alcuni, morsi da serpenti [o da animali che strisciavano?] che chiamano Tarenti morirono per il gonfiore e per via dell’intollerabile sete a causa dell’inaudito rigonfiamento mentre le loro membra si inturgidivano).
A distanza di due secoli da Goffredo Malaterra e di uno da Alberto d’Aix s’incontra un darentarum (genitivo plurale di darenta), con riferimento allo stesso fatto storico, nella cronaca del XIII secolo del frate domenicano Corrado (in Giovan Battista Carusio, Bibliotheca historica regni Siciliae, tomo I, Francesco Cichè, Palermo, 1723, pagg. 47-50); il passo sembra la sintesi e il ricalco del primo malaterrano e darentarum è da leggere tarentarum o da valutare come una sua variante: … item anno 1064 iverunt ad obsedendum Panormum, et nihil fecerunt ex abundantia darentarum, a quibus exercitus fuit valde vexatus … (… parimenti nell’anno 1064 andarono ad assediare Palermo e non fecero nulla per l’abbondanza di tarante dalle quali l’esercito fu molto tormentato).
Gilberto Anglico nel settimo libro del Compendium medicinae tam morborum universalium quam particularium nondum medicis sed et cyrurgicis utilissimum scritto nella prima metà del XIII secolo (cito dall’edizione De Portonaris, Lione, 1510, pag. 316): Taranta animal est parvum habens sex pedes, tres hinc et tres inde … (La taranta è un piccolo animale che ha sei zampe, tre da una parte e tre dall’altra …)
Nel bestiario di Leonardo da Vinci (1452-1519) si legge (cito da Augusto Marinoni, Leonardo da Vinci. Studi letterari, Fabbri, Milano, 1996, s. p.): TARANTA: il morso della taranta mantiene l’omo nel suo proponimento, cioè quello che pensava quando fu morso. Qui Leonardo riprende sinteticamente il concetto di “congelamento” delle condizioni psichiche del paziente, quali erano prima del morso, già espresso da Sante Ardoini, per cui vedi la nota 8.
9 Non so chi sia il chi citato dal Vergari. So solo che θηράνθορα in greco non esiste e, quindi, si tratterebbe di una parola ricostruita, perciò oggi andrebbe scritta correttamente preceduta da un asterisco. Tuttavia, se il primo presunto componente (θήρα=bestia, corrispondente al latino fera) va bene, il secondo (ἄυθορα), che si fa corrispondere al latino venenum=veleno, in greco non esiste. Insomma, questa etimologia, tutt’al più, avrà il capo ma non la coda …
10 Secondo questa anonima proposta, dunque, terrentula deriverebbe dal verbo latino terrère=atterrire.
11 Il chi questa volta dovrebbe essere Giulio Cesare Scaligero (1484-1558) che in Exotericarum exercitationum liber XV de subtilitatead Hyeronimum Cardanum, Eredi di Paul Wechel, Francoforte, 1582, pag. 611, così scrive: Alia est ab hac diversa, quippe lacerti facie, quam, quod sub terra lateat, a Romanis putant Terrentulam nominari. Eam non vidi. Si est, ut aiunt, nigra, luteis maculosa notis, Stellionem puto (Ce n’è un’altra diversa da questa [dalla tarantola propriamente detta], a dire il vero con l’aspetto di lucertola, che, per il fatto che si nasconde sotto terra, si crede che dai romani sia chiamata terrentula).
Terrentula, dunque, deriverebbe da terra ma secondo lo stesso Scaligero è da identificare con lo stellione (una specie di geco) e non con la nostra tarantola. Insomma, il Vergari ha attribuito allo Scaligero, sia pure senza citarne espressamente il nome, un etimo da lui mai proposto.
12 Questo tarantin, anch’esso di anonimo padre, per la definizione che subito dopo viene data (commovere grandemente) dovrebbe essere un infinito presente, ma in quale lingua?
13 La prima proposta è di Thomas Moffet (1553-1604) in Insectorum sive minimorum animalium theatrum , Cotes, Londra, 1634, pag. 219: Ultimum appulum vocamus, vulgo tarentulae nomine, non incelebrem, a Tarentino agro in Appulia, ubi frequentiores vivunt, cognominatam. Eius hic iconem … exhibemus … ecce vobis lentiginosum et verum Tarantulam, a nemine, quod sciam, hactenus vere descriptum (L’ultimo lo chiamiano appulo, popolarmente detto tarentula, non infrequente, così chiamata dalla campagna di Taranto in Puglia, dove questi animali vivono più numerosi … Qui … mostriamo la sua immagine [riprodotta in basso] … ecco a voi, cosa vera e lentigginosa, la tarantola, da nessuno finora, a quanto sappia, descritta).
Prima di lui Sante Ardoini così si era espresso nel capitolo 5 (intitolato De tarantula) del libro VIII del suo De venenis (opera, composta tra il 1424 e il 1426 e pubblicata la prima volta per i tipi di Scoto a Venezia nel 1492; qui cito dall’edizione Pietro Perna, Basilea, 1562, pag. 482): Et in quibusdam locis, utputa in Apulia, et praesertim in Tarento a quo forte nomen unum ex praefatis assumpsit, accidit ex puntura eius quod vir vel mulier punctus vel puncta ab ea efficitur melancholicus vel melancholica, adeo ut perseveret illa melancholia cum illa phantasia et appetitu et cogitatione cum quibus tempore punctionis erat, quousque venenositas resolvatur (E in certi luoghi, per esempio la Puglia e soprattutto a Taranto dalla quale per caso assunse un unico nome tra quelli che ho detto prima, succede che un uomo o una donna punto o punta dalla sua puntura vien reso [dalla tarantola] malinconico o malinconica a tal punto che permane quella malinconia con quell’aspetto e inclinazione e immaginazione che aveva al tempo della puntura, finchè l’avvelenamento non si risolva).
Se il forte (per caso) è un semplice intercalare e non esprime un’ipotesi di genesi casuale l’Ardoini è da considerare il primo che abbia avanzato l’ipotesi della derivazione di Taràntula da Tàranto.
L’ultimo in ordine di tempo fu Giorgio Baglivi per cui vedi la nota 3 (cito da Opera omnia, G. Girardi, Venezia, 1761, pag. 271): Vocatur Tarantula, non quia Tarenti hoc animal virulentius fit, quam in reliquis Apuliae Regionibus; sed forsan quia Graecorum, et Romanorum temporibus, Civitas illa caeteris erat, aut frequentior, aut nobilior, et ideo existentibus ibidem maiori numero aegrotis hoc veneno laborantibus, nomen exinde animalculum desumpsisse non inficiarer (Si chiama tarantola non perché questo animale diventa più velenoso a Taranto che nelle altre zone della Puglia ma forse poiché quella città ai tempi dei Greci e dei Romani era o più frequentata o più nobile e perciò, essendoci in maggior numero malati sofferenti per questo veleno, non negherei che l’animaletto da ciò abbia preso il nome).
14 Il chi è proprio il Serao citato poco dopo, che nell’opera che successivamente indicherò così si esprime (pag. 30): “… volgendo io alcuni degli Storici naturali per lo mio intendimento, e Greci, e Latini, mi avvenni appresso tutti costoro nella descrizione uniforme di un animal esotico, nativo della Scizia, chiamato da’ Greci τάρανδος, e così pure da’ Latini tarandus, il cui carattere, e singolar proprietà è quella, di cambiar colore in tutte le occorrenze, quando cioè gli torni in bene de’ fatti suoi. Dicono adunque, che essendogli dato la caccia per prenderlo, ed egli adattando il colore della sua pelle (anzi della sua lana, o peli; ciò che fa maravigliar doppiamente Plinio al colore delle cose, che gli sono più vicine, venga con questo artificio a deludere la vista de’ cacciatori, ed a campare perciò dalle lor mani. Or da questa voce τάρανδος o tarandus, cambiando con naturalissimo e facil passaggio il D in T, sarà nato tarantus, e quindi taranta … e poi o per diminuzione , o per modulazione dissoluta e sdrucciola dell’ultimo suono della parola, tarantolo, o tarantola.
15 Integralmente leggibile e scaricabile da http://books.google.it/books?id=c3A2AQAAMAAJ&printsec=frontcover&dq=francesco+serao&hl=it&sa=X&ei=u1SHUt7TOeyS7QbImICQBg&ved=0CDsQ6AEwAQ#v=onepage&q=francesco%20serao&f=false
16 Sul verso enniano rinvio per brevità alla nota 3 in https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/10/28/curiosita-antiquarie-da-una-biblioteca-conventuale-2/
17 E. De Martino, La terra del rimorso. Il Sud tra religione e magia, Il Saggiatore, Milano 1961.
18 R. Rossetti, Nel nome di Asclepio. Il Tarantismo oltre la lettura di Ernesto De Martino, in Segni e comprensione (rivista telematica quadrimestrale), anno XXVI nuova serie, n.76, Gennaio Aprile 2012, pagg. 88-118.
Ottimo articolo, anche nelle note a piè pagina. Concordo sostanzialmente su tutto, anche sullo scempio storiografico legato al business e sulle miriadi di sciocchezze che si dicono da più anni e che, purtroppo, hanno talmente invaso i campi dello scibile dal singolo cittadino al docente universitario, che qualunque altra considerazione storiografica possa sembrar sminuire tali invenzioni viene considerata “eretica”
Complimenti. Un lavoro impegnativo e serio. Personalmente ritengo decisamente plausibile il pensiero del Maestro Antonio Infantino (cfr. il suo lavoro id ricerca di diversi anni fa premiato dall’Unesco come patrimonio dell’umanità) in cui ci rammenta che la radice ‘tar’ è ‘tàr’ in sanscrito (una delle lingue d’origine nel Mediterrano) che significa ‘cerchio’ e ‘Taràn’ era uno dei nomi della dea madre. Fatti un po’ di conti con la storia della spiritualità nel bacino del Mediterraneo e con la valenza terapeutica dei suoni e delle danze nel tarantismo, mi pare che tutto…si metta in armonioso cerchio :)
Saluti, Antonella S. ^_^
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