di Armando Polito
L’immagine (tratta da http://www.gsneretino.it/gs/index.php?option=com_content&view=article&id=100%3Aaspettando-larticolo-dei-ragazzi&Itemid=79) mostra l’ingresso del Fùrchiu ti la zzappa, una cavità ipogea in prossimità di Torre Inserraglio, nel territorio di Nardò.
Non essendo uno uno speleologo e non potendo fornire nemmeno il resoconto da esploratore dilettante, al lettore interessato a questo aspetto segnalo il link http://www.ilmiosalento.com/?p=9860.
Non sono in grado nemmeno di dire nulla sul nome della cavità, se non che zappa potrebbe contenere il ricordo di tante leggende connesse con l’acchiatura (il rinvenimento di un tesoro nascosto) e questo che è il principale ferro del mestiere del contadino potrebbe essere il protagonista di un racconto in cui alla fine si erge moralisticamente al ruolo di simbolo di quello che oggi, paradossalmente più di ieri, è diventato raro come un tesoro: il lavoro, quello onesto, e il pane, non rubato a nessuno, grazie ad esso guadagnato.
Pura ipotesi, così come tutt’altro che certa appare l’etimologia dell’altra parola scelta come titolo.
Nel dialetto neretino fùrchiu è la tana di un animale e, per traslato, dispregiativamente, un ambiente ad uso umano di dimensioni molto ridotte.
Cominciamo col vedere i lemmi presenti nel vocabolario del Rohlfs (per fare più presto riporto i dettagli fotografici):
Per il Rohlfs, dunque, tutto deriva dal latino fùrcula che, aggiungo io, significa piccola forca, forcella in Livio, puntello, sostegno in Festo e che è diminutivo di furca che può significare forca, forcone, appoggio, puntello a forma di forcone, patibolo, giogo.
La filiera fùrcula>fùrchia sarebbe indiscutibile e varrebbe anche per il nostro fùrchiu se rivelasse sul piano semantico la stessa perfezione che mostra su quello fonetico. Il rapporto concettuale tra la forca e la tana da una parte e la forca e la stalluccia per gli agnelli dall’altra mi sembra, infatti immaginabile pensando solo ad una sineddoche (la parte per il tutto), cioè ad almeno tre (dico tre) puntelli a forca che reggono la stalluccia; le difficoltà aumentano, poi, con la tana.
Tutto ciò indipendentemente dal fatto, che pure potrebbe contare, che nel latino classico non c’è ombra di questo significato e in quello medioevale (Glossario del Du Cange, tomo III, pag. 80) fùrcula è pars pectoris, ubi venae, quae ab hepate profiscuntur in furculas in furculas dividuntur (la parte del petto dove le vene che partono dal fegato si dividono in diramazioni che hanno la forma di forcelle).
E allora? Secondo me fùrchiu potrebbe essere nato per aferesi da cafùrchiu, lemma anch’esso presente nel Rohlfs e che di seguito riproduco.
Il lettore noterà in particolare che la voce è registrata pure per Nardò, dove in effetti essa è usata con lo stesso significato di fùrchiu. E allora, se cafùrchiu è dall’antico spagnolo cabuerco=buco, cosa impedisce di pensare che fùrchiu derivi per aferesi da cafùrchiu (lo stesso varrebbe per i composti ‘nfurchiarsi e ‘ncafurchiarsi usati come sinonimi di rintanarsi)?