di Armando Polito
Le recenti abbondanti piogge avranno sicuramente procurato qualche infiltrazione di acqua dal tetto e qualche giovane avrà sentito non dal padre (che, ormai, si vergogna di usare il dialetto …) ma dal nonno che ha la fortuna inconsapevole di avere in casa espressioni del tipo eri bbutu cciare li chiamienti1 (avresti dovuto rimarginare le connessure del rivestimento del tetto). Il verbo in questione, però, può riferirsi a qualsiasi fessura o buco di una superficie.
Ciare ha il suo esatto corrispondente italiano in cibare (tal quale dal latino cibare, a sua volta da cibus=cibo) e questo la dice lunga sulla cura e il rispetto, oserei dire l’amore, che in passato si aveva anche delle cose, tanto che in riferimento all’uomo non si diceva ti cce tti si ccibbatu osce? (di che ti sei cibato oggi?) o ti cce tti cibbi? (di che ti cibi?) ma, rispettivamente, cc’è t’ha mmangiatu osce? (che hai mangiato oggi?) e ti cce c campi? (di che campi?). E il cibo era lu mangiare (il mangiare).
Poi vennero il benessere ed il consumismo, ancelle devote del profitto, spropositato e quasi mai onesto di pochi, e tiranni di sudditi che pensavano di aver raggiunto la definitiva loro realizzazione umana (indipendentemente dall’età …) solo se in possesso di qualche feticcio, anche tecnologico, status symbol che sancisse in positivo il loro status puro e semplice, l’apparire, mentre l’esse si allontanava sempre più.
Forse non tutto il male viene per nuocere e l’attuale crisi sta mettendo impietosamente in luce la demenzialità di quel sogno sbagliato che le leve della finanza (l’economia, sanamente intesa, tanto per cambiare …, nel suo significato etimologico, è altra cosa) e della politica (di ogni colore e di ogni ideologia, perché anche la più “cristiana”, quale poteva sembrare agli ingenui, nonostante il suo anticlericalismo figlio naturale dell’ateismo, quella di sinistra, è destinata al fallimento quando il potere non è inteso come servizio) hanno per troppo tempo tenuto in piedi.
Non vorrei sembrare cattivo e vendicativo ma, nonostante le mie tante colpe, mi auguro solo che il sogno tradito di tanti si rivolti in incubo per i pochi che lo hanno coscientemente alimentato non certo per filantropia ma, al contrario, per egoismo, solo perché faceva loro comodo in un modo o nell’altro approfittando del fatto che chi non ha nulla si accontenta anche delle briciole, e che l’umanità torni ad avere rispetto per se stessa prima ancora che per le sue cose, ammesso che i due comportamenti possano convivere, sia pure per poco, scissi.
È questo, per chi non l’avesse ancora capito collegandolo al mio cognome, il significato delle virgolette del politico del titolo. Quanto a poesia ricordo che essa è dal greco ποίησις (leggi pòiesis), a sua volta dal verbo ποίεω=fare, creare (e non distruggere, com’è avvenuto a danno di un’intera generazione e, forse, anche per la successiva).
_______
1 Vedi la nota 2 in https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/09/13/la-chianca/
Ogni volta che leggo qualcosa della vostra lingua salentina, mi rendo conto che, come sempre le lingue locali riescono ad esprimere dei concetti con meno parole di quelle che sono necessarie alla lingua nazionale. La stessa cosa la riscontro quasi sempre anche nella nostra lingua piemontese. E in generale, come tu dici in questo caso, nel parlare quotidiano, c’è più poesia che nelle chiacchiere insulse in italiano. Evviva a chi cerca di non far morire del tutto questo patrimonio linguistico
Sergio