di Mimmo Ciccarese
Il mito di Myrsine si perde nei secoli del mediterraneo e rende il nome alla pianta del Mirto comune, così diffusa tra le macchie salentine. La pianta si associa alle virtù di una fanciulla imbattibile nelle competizioni ginniche dell’antica Attica uccisa a tradimento dall’imboscata di un uomo invidioso della sua vitalità.
In questi casi a rendere giustizia tra le piante c’è sempre una dea che si commuove e tramuta eroi e martiri in arbusti, foglie e fiori odorosi.
Il mirto di Mirsyne è considerato il simbolo di molte forme dell’amore, della bellezza e della gioia; era sacro perfino alla sensuale Afrodite, madre di Enea, che si rifugiò tra i suoi arbusti per sfuggire ai satiri che la rincorrevano.
I fiori propiziatori erano usati per decorare le case nuziali e il bouquet della sposa, i rametti intrecciati simboli di vittoria diplomatica di una battaglia e per premiare i poeti e letterati nell’antica Roma.
La pianta ricca di tannini è stata utilizzata dalle concerie del cuoio, della stoffa o dall’industria della cosmesi, della fitoterapia, i suoi fiori si raccolgono in piena estate mentre le sue bacche in novembre. Le foglie insieme all’alloro sono impiegate per insaporire le olive in salamoia e i piccoli frutti per fare ottimi liquori. Dal mirto si ricavano oli, decotti, estratti, che già i romani utilizzavano per proteggersi da malattie come quelle delle vie respiratorie. Il mirtolo olio etereo ricavato dalla distillazione del mirto, un tempo impiegato nella cura della malaria, è usato come antisettico, sedativo o balsamico.