di Marco Cavalera
“Quando ero piccolo e andavo in campagna con mio padre, mi portavo a casa delle pietre che dall’esterno non comunicavano nulla, potevano anche sembrare brutte. Ma le pietre sono come le persone. Ognuna ha dentro di sé qualcosa di buono, basta conoscerla e scoprirla. Così ogni pietra di scarto (cit. don Tonino Bello), ogni frammento ha una bellezza nascosta e accarezzandola, levigandola si apre e ci mostra il suo lato più intimo e celato. In ogni materia che incontri ci sono infinite forme, tante quanto la mente ne sa creare e quanto le mani ne sanno trovare. La pietra si racconta e ci racconta, è un palinsesto di segni e tracce che testimonia la storia della nostra terra”
(tratto da “VITO RUSSO, SCULTORE E PITTORE SALVESE. LA BELLEZZA, LA SEMPLICITÀ E L’ARMONIA D’INSIEME NELLA SUA FILOSOFIA ARTISTICA”, di M. Cavalera e S. Sammali).
L’anima della pietra. E’ inquietante, sconvolgente sapere che cammini su secoli di storia. Mi successe la prima volta a Firenze. Passavo nei luoghi di Dante e Cellini, fu emozione. Mi succede camminando in terra salentina, magari accarezzando una lastra che copre un dolmen, messa lì (proprio lì) secoli fa, con fatica, credendo di fare cosa grata agli dei, forse. Quella pietra ha storie da raccontare, troppe. Talmente tante da non riuscire a ricordarle tutte. Mi successe lassù, nel Monferrato vedendo spuntare dal tufo il fossile di una conchiglia, là dove il mare neppure si vede più. E solo l’artista sa che dentro ad una pietra ci sono secoli di emozioni. Michelangelo sceglieva a Carrara i marmi per le sue sculture, li segnava e li accompagnava fino a Roma, li coccolava, perchè sapeva che dentro quello (e solo dentro quello) c’era la vita che lui avrebbe tirato fuori. Era sufficiente rompere il guscio che la ricopriva o la proteggeva. L’artista, lo scultore, parla con la pietra. Lo scrittore non sempre riesce a dialogare con la pagina bianca, è diverso. Anche se l’emotività d’artista è indispensabile per creare. “Riesco a creare solo quando la tensione è altissima” mi diceva un amico pittore. A volte stava mesi senza produrre nulla, poi improvvisamente scatenava la sua permanenza in studio per giorni, notti. Erano pieni di pathos quei dipinti. E sono pieni di emozioni i sassi dai quali escono figure, che speso sono già figure esse stessi, sapendoli leggere.