di Pino de Luca
Al mio paese c’era Mesciu Ginu. Mesciu Giunu era un omone alto e grosso che di mestiere faceva il ciabattino. Appena si comprava un paio di scarpe, specialmente da ragazzini, si andava da Mesciu Ginu per farsi mettere i “minzetti”. Dei parasuola che i possidenti si curavano fossero di cuoio mentre i meno abbienti mettevano di ferro. Altro che gli anfibi, il passo di un ragazzino si riconosceva da lontano.
Lui era li, da mane a sera, a cucire tomaie, a incollare suole seduto dietro al finestro della porta sempre aperta o sul marciapiede. Perché Mesciu Ginu soffriva di meteorismo cronico, sarà stata l’alimentazione, le colle, o il lavoro sedentario o tutte le cose insieme ma Mesciu Ginu scoreggiava come un facocero.
Essendo un brav’uomo, educato e ligio alle leggi, aveva un certificato medico incorniciato nella sua bottega che dichiarava la sua malattia e diceva a tutti “iu li pepiti li pozzu fari, me l’ha dittu lu tottori” tradendo, nel linguaggio, le sue origini brindisine.
Mesciu Ginu era informato di tutto, colto e attento osservatore della piazza dalla sua botteguccia. E dal ciabattino ci passano tutti prima o poi.
Si racconta che una signora locale, di nome Salvatrice ma per tutti Tota, ospitasse per la ricorrenza del Santo Natale il figlio e la nuora, Anita sposata nel nord Italia.
La signora Anita accompagnata dalla Tota acquistò delle scarpe con il tacco alto, la Tota suggerì alla nuora di “minzittare” tacco e punta da Mesciu Ginu. Le due signore passarono dalla bottega, mentre entravano la Tota, in fretta e furia, raccontò la particolarità “espressiva” del maestro e disse alla nuora che non doveva scandalizzarsi.
Mentre discutevano sulle modalità del rivestimento da applicare alla scarpa elegante della bella signora, l’amica locale chiacchierava con “Mesciu Ginu”.
“Mesciu ce dici te ste votazioni alla parrocchia?”
“Se ne sentinu tante cummare Tota, ssignuria vai cu minti la cruce?
“Ulia cu vau Mesciu Gi’, ma moi tegnu figghiuma a casa e nu ne sta capiscu nienti, ma se vota te Santa Lucia o te la MMaculata?”
“Te la MMaculata cummare…”
“Ma ssignuria ci tici ca ince cumpare Ginu?” disse la Tota con voce ammiccante … e continuando disse “Lu Gianni te l’altitalia?” e lì, Mesciu Ginu aggrottò le ciglia e diede fiato alle trombe intonando un Sol vibrante.
La Tota sorridendo continuò “o lu Gianni te quabbasciu?” A mesciu Ginu venne una scorreggina piccola che sul pentagramma sarebbe stato un Mi.
“Nu creu ca ince lu Pippi” disse la Tota e Mesciu Ginu accompagnò la frase con un Re breve ed intenso.
“E ci è ca è rimastu? Ah lu Matteu cu la camisa bianca” e qui Mesciu Ginu si esibì in una di quelle espressioni come un Do di petto lungo e squillante.
La signora Anita era, insieme, esterrefatta e divertita. “Che strano modo di commentare” pensò e disse alla suocera “ma sono sondaggi attendibili?”
E Mesciu Ginu dal suo trono: “cu la vocca si potinu tire buscei, lu culu è sempre sinceru!!!”
Uscendo dalla bottega, la nuora disse alla suocera: “Però non si sente cattivo odore …”
“Figghia mia, queste so’ Prim’arie, e le prim’arie non puzzano mai, è quando ti avvicini alla mberda, con rispetto parlando, ca si sente lu fetore. Ma quelle non si sentunu, si fannu cittu cittu e quando ti arriva allu nasu già t’anu futtutu. E nu ni l’ha dittu mancu lu dottore!!!” rispose la Tota nella sua ipotetica lingua italiana.
E andarono via caracollando sulla strada accidentata le cui buche testimoniavano l’incuria che ne avevano i parrocchiani