Cinema. Mine vaganti

mine vaganti

di Barbara Melgiovanni

Numerosa e stravagante famiglia leccese: i Cantone. Gli occhi blu di Riccardo Scamarcio. Mine vaganti che entrano nei panni di Tommaso, in fuga da Lecce, perchè in cerca di libertà e indipendenza. Si trasferisce a Roma, nascondendo ai genitori il reale indirizzo di studi universitari (lo credono un commercialista), Tommaso, invece, si è laureato in Lettere, (ottima la scelta). Non vuole dar di conto, ma fare lo scrittore. Il padre, Vincenzo (Ennio Fantastichini) è il tipico uomo del sud, proprietario di un pastificio, orgoglioso dei suoi due figli maschi. Come confessargli quindi, la propria omosessualità?L’occasione si fa ghiotta: l’espletamento di alcune pratiche notarili per l’ingresso di un nuovo socio nell’azienda di famiglia portata avanti dal fratello Antonio (Alessandro Preziosi), si offre come la scusa adatta per tornare a Lecce e confessare tutto, magari seduto a tavola davanti a tutto il parentato. Confessa il suo intento ad Antonio, anch’egli all’oscuro che il fratello fosse gay, ma durante una cena con tanto di ospiti importanti, mentre Tommaso finalmente prende coraggio per fare la sua rivelazione… Colpo di scena: Antonio lo anticipa. Sono due gli omosessuali in famiglia. Antonio, disonore della famiglia è messo alla porta e il padre per la concitazione del momento ha un infarto e finisce in ospedale. Ha così inizio, quindi, la pantomima di Tommaso, che per evitare il colpo di grazia al padre, si mette a capo dell’azienda di famiglia. Intensità tagliente e corale, tanto da rimanerne spiazzati. Con sacrificio ognuno racconta e mette in scena i suoi drammi. E va oltre, molto oltre. Da sfondo un grande triangolo d’amore durato fino alla morte. Memorabile Ilaria Occhini, nonnina chic e sprint, sobria anticonformista, che si muove come una danzatrice classica tra pennellate surreali e oniriche di un barocco che, schivo, la osserva. Volteggia sulle punte tra presente e passato, intrecciandoli e allo stesso tempo dipanando e districandone i nodi. (Echi felliniani di estrema eleganza). Una bellissima Lecce da cartolina. Ulivi contorti. Pasticciotti. Il mare gallipolino. Sanguigni e incatenanti topos: “questo non si dice, questo non si fa”. Cliche’. Sembrerebbe un film banale, scontato. Ma non lo e’. Lo definirei giocato su un falso: “Ho già capito tutto”. Anticonformista. Anticonvenzionale. Rappresentativa in tal senso una delle scene più eloquenti del film: la bellissima cena di Tommaso e Alba (affascinantissima Nicole Grimaudo, personaggio enigmatico, ma che rimane in ombra), a base di tramezzini. Mandati giù a suon di sguardi. Senza parole, con sottofondo di Pensiero stupendo di Patty Pravo. Un’amore che non nasce, non sboccia. Fortissima la valenza data al cibo. I dolci di ogni forma e colore accompagnano anche la morte della nonna. Se ne abbuffa fino a morirne, riappropriandosi di quei piaceri che le sono stati a lungo, per tutta una vita, negati.

Un’aria turca su cui tutti danzano chiude questo suggestivo film. Gli opposti si riconciliano e danzano abbracciati. I vivi con i morti. Il presente con il passato. La realtà con i sogni.
“Sei felice?” – chiede la sorella a Tommaso. Alla fine solo questo conta.
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